CULTURA

L’invenzione del compleanno di Jean-Claude Schmitt

Attention, un train peut en cacher un autre, sta scritto in Francia vicino ai passaggi a livello. E, “attenzione, una parola può nasconderne un'altra”, viene in mente leggendo il saggio di Jean-Claude Schmitt L'invenzione del compleanno (nell'originale L'invention de l'anniversaire, traduzione di Roberto Cincotta, pp. 109, euro 18), uscito per la casa editrice Laterza, che ha già pubblicato diversi testi di questo eminente storico dell'Ehess di Parigi, curatore tra l'altro con Jacques Le Goff del Dizionario dell'Occidente medievale (Einaudi 2004). Solo in parte, infatti, il francese “anniversaire” e l'italiano “compleanno” coincidono, e questo piccolo slittamento di senso si aggiunge ai tanti, più significativi, che l'autore cita per dimostrare come un rito familiare oggi diffusissimo – la celebrazione della propria data di nascita – sia un fenomeno relativamente recente e abbia alle spalle un retroterra tutt'altro che univoco: basti pensare che in tutto il Medioevo cristiano l'anniversarium o dies natalis non si riferisce al giorno della nascita (giorno in qualche modo infausto, perché segnato dalla macchia del peccato originale), bensì a quello della morte, considerato come l'inizio della vera vita.

A interessare Schmitt non è però la storia della festa di compleanno in sé, quanto l'evoluzione di uno dei rituali che punteggiano i ritmi della nostra esistenza individuale e collettiva. Non a caso lo studioso prende le mosse, nella sua ricerca, da due annotazioni, di Marcel Mauss (“Lo scopo del calendario non è di misurare, ma di ritmare il tempo”) e di Émile Durkheim (“È il ritmo della vita sociale che sta alla base della categoria del tempo”), cui Schmitt ribatte che “lo sguardo dello storico può e deve aggiungere ancora qualcosa: un'osservazione di questi ritmi e di queste 'categorie del tempo' nella diacronia della storia, i cambiamenti di ritmo nel tempo... la comparsa o la scomparsa di ritmi nuovi”. 

La nascita, o invenzione che dir si voglia, del compleanno, rientra dunque in questo quadro. E con notevole abilità lo storico francese, anziché seguire un andamento cronologico, sceglie di far ruotare il suo studio intorno a una figura emblematica, quella  di Matthäus Schwarz, nato il 20 febbraio 1497 ad Augusta e morto a settant'anni dopo una vita ricca di successi  (fu a lungo direttore finanziario della rinomata azienda Fugger) e di accidenti (fra i quali un ictus cerebrale, dal quale tuttavia riuscì a riprendersi completamente nell'arco di cinque anni). La singolarità di questo facoltoso banchiere tedesco sta però nel fatto che scrisse diversi libri: un manuale di contabilità, una raccolta di preghiere, una autobiografia (andata perduta) e soprattutto un “Libro degli abiti” (Trachtenbuch), dove Schwarz ripercorre la propria esistenza attraverso le immagini dei suoi vestiti, accompagnate da brevi commenti, in cui l'autore non manca di inserire con precisione la propria età, prestando in più occasioni una attenzione particolare – e fino ad allora inedita – al suo compleanno. 

Il banchiere di Augusta si pone così, nel quadro tratteggiato da Schmitt, a mo' di cerniera fra un Medioevo riluttante, per motivi soprattutto religiosi, a festeggiare il compleanno e una età moderna dove la celebrazione di sé è sempre più frequente, una celebrazione che verrà definitivamente “consacrata” quando il 28 agosto 1802 a Goethe verrà regalata per il suo genetliaco una torta con 53 candeline, la prima della storia, a quanto si sa. “Al tempo circolare dell'anno liturgico, supporto delle feste religiose e della memoria dei defunti – scrive Schmitt – ha fatto seguito un tempo lineare, che capitalizza gli anni anziché riprodurli uno uguale all'altro”. Così è, oggi – ma fino a quando?

 

Maria Teresa Carbone

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