CULTURA

L’Italia e il colonialismo rimosso

Quando si pensa ai militari italiani nei territori occupati durante il fascismo la mente va alle immagini del film di Gabriele Salvatores, Mediterraneo (vincitore di un Oscar nel 2002) e forse a quelle del film Le rose del deserto diretto da Mario Monicelli (2006), o a Nicolas Cage ne Il Mandolino del capitano Corelli (2001). In queste pellicole l’esercito italiano, che sia in Grecia o in Africa, è rappresentato come una allegra combriccola di buoni soldati, inviati in terre lontane e attanagliati dalla nostalgia di casa.

Il mito della bonomia naturale, gli “italiani brava gente” è la rappresentazione usuale che viene proposta in tema di colonialismo italiano e di ruolo dei soldati italiani verso i civili nella seconda guerra mondiale. Spesso, però, come sottolinea lo storico contemporaneo Nicola Labanca nel suo studio rigoroso su La guerra italiana per la Libia 1911-1931(Bologna, Il Mulino, 2012), questa immagine, erede diretta delle rappresentazioni della propaganda del tempo, è molto lontana dalla realtà storica. Anzi, vi è addirittura una rimozione di questa parte della storia italiana ad opera dell’opinione pubblica, delle istituzioni e anche di una parte di storici che trascurano la storia dell’espansione coloniale italiana, come se fosse cosa diversa e divisa rispetto alla nostra storia nazionale. A parte il lavoro quasi solitario di Angelo del Boca e alcuni studi degli ultimi anni, rivolti però in particolare ai Balcani, si tratta di aspetti non molto frequentati dalla storiografia italiana.

Quello che si propone il testo di Labanca, dunque, non è tanto superare un revisionismo – nulla è stato revisionato, perché agiva una rimozione –  quanto offrire la conoscenza di una vicenda della nostra storia troppo spesso trascurata. Nemmeno il 2011, anno in cui in Libia iniziava una rivolta popolare contro Gheddafi, sfociata poi in una guerra civile, è diventato l’occasione per parlare della Libia, della sua conquista italiana, delle guerre africane. E sì che proprio il 2011 è coinciso con il centenario della guerra tra l’Italia (allora liberale, con alla guida Giovanni Giolitti) e l’Impero Turco per il controllo della Tripolitania e della Cirenaica.

Da queste rimozioni parte Labanca per raccontare, invece, una lunga storia – dal 1911 al 1931 – in cui la presenza italiana in Libia ha significato una guerra ventennale che oggi definiremmo “sporca”. L’occupazione italiana è da inserire nella storia che ha visto la “vecchia” Europa conquistare militarmente i territori d’oltremare, in Africa anzitutto ma non solo: l’Italia, benché in ritardo, non si sottrae da questa competizione finalizzata alla conquista di nuove terre e reclama anch’essa la sua “quarta sponda”, dopo il sanguinoso scacco subito in Etiopia con la sconfitta di Adua (1896). Come chiedevano a gran voce nelle piazze i nazionalisti, bisogna avere “una più grande Italia”.

Il bagno di sangue per il posto al sole solletica – si badi bene – non solo la destra italiana (nazionalisti e liberali), ma anche i cattolici, parte dei socialisti (altri si opporranno in ogni modo) e pure l’unico italiano insignito dal premio Nobel per la pace nel 1907, vale a dire Ernesto Teodoro Moneta. La guerra – voluta dall’Italia liberale, proseguita e conclusa da quella fascista – si rivela, fin dall’inizio, un azzardo: l’esercito non è pronto e lo strumento militare si mostra subito inadeguato. L’Italia liberale di Giolitti, infatti, invia sulle coste libiche un vero e proprio esercito di massa – agli inizi del 1912 i soldati italiani che attraversano il Mediterraneo raggiungono la quota di 100.000 unità – senza nessuna specializzazione in tema di guerra coloniale (che presto si trasforma in guerriglia) e senza nessuna componente autoctona.

La vicenda italiana in Libia è scandita da una prima fase (1911-1913) durante la quale l’esercito italiano si scontra con quello turco. Tuttavia, nonostante l’accordo di pace con l’Impero ottomano, la cui debolezza era stata correttamente valutata, la guerra continua anche dopo il 1913 e si apre una nuova fase – quella che vede l’Italia opporsi agli stessi libici. C’è continuità, dunque, tra l’Italia liberale e quella fascista: la guerra limitatasi in un primo momento all’occupazione dei centri costieri viene ripresa da Mussolini e il fascismo la “perfeziona”, anche a livello ideologico, inserendo nella propria visione totalitaria tutta la popolazione libica come nemica, senza più differenziare i combattenti dai civili.

Con l’Italia giolittiana l’aspetto più truce della repressione si dispiega soprattutto con la deportazione dei nemici nelle colonie penali e con i domicili coatti in Italia; con il fascismo si alza il tiro: rastrellamenti, spostamenti coatti di popolazione (le lunghe marce, costellate di cadaveri, che avevano già caratterizzato il genocidio armeno e che saranno un emblema anche di quello ebraico), bombardamenti con gas e campi di concentramento contraddistinguono la guerra di Mussolini. Si giungerà anche alla costruzione di un muro – simbolo così tristemente “moderno” dei conflitti contemporanei – fatto erigere da Graziani nel 1931 per interrompere i sostegni (ma anche i commerci) che dall’Egitto giungevano ai libici.

Nomi come Marsa Brega, Agedabia, el-Agheila, Sidi Ahmed el Magrun, Soluch, el-Abiar sono presumibilmente ignoti a un cittadino italiano di oggi e, forse, anche di allora. Sono i nomi dei principali campi di concentramento istituiti dagli italiani in Cirenaica. Conosciamo, invece, a malapena la figura di Omar Al-Mukhtar, guerrigliero libico che guidò la resistenza contro l’esercito  fascista, perché il suo nome trovò spazio nelle nostre cronache giornalistiche quando nel 2009 Gheddafi – in visita in Italia – giunse a Roma con la sua foto appuntata sulla divisa. L’eroe libico è stato raccontato anche da un film in pieno stile hollywoodiano (Il leone del deserto), vietato nelle sale cinematografiche italiane per trent’anni per vilipendio delle forze armate italiane.

La lettura di questo studio permette di affrontare con una prospettiva rigorosa questa lunga rimozione – tutta italiana – del nostro passato coloniale.

Giulia Simone

Nicola Labanca, La guerra italiana per la Libia 1911-1931, Bologna, Il Mulino, 2012

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