CULTURA

La cultura è azione creativa, informativa, critica

Accade che ci si interroghi sul significato delle parole che, al pari delle età dell’uomo, sono soggette a mutare registro. Un termine d’uso nella comunicazione quotidiana, e ancor più nella discussione istituzionale, è la parola “cultura”, che rischia spesso di appiattirsi nell’opinione che sia un inutile esercizio riguardante artisti, intellettuali e professori. Eppure, fin dal suo apparire nell’età moderna e nel secolo della ragione, il termine “cultura” rimandava a una “attività finalizzata” all’evoluzione della civiltà, come sottolinea Zygmund Bauman (L’etica in un mondo di consumatori). La “cultura” si associa, insomma, al principio di miglioramento sociale, di progresso e di anti-decadenza; nella società borghese assume a pieno titolo una funzione di governo e di organizzazione delle conoscenze. 

La sfera culturale ingloba in sé il principio dell’azione creativa, informativa, critica e formativa, mentre tende a perdere i confini di un fatto aggiuntivo, se non superfluo rispetto alla vita di ogni giorno, fino a divenire una “sovrastruttura” necessaria. Oggi la cultura tende a fondersi con due livelli considerati essenziali nella contemporaneità: la produttività e la globalizzazione. Forse si dovrebbe rammentare, senza scomodare le tesi socio-antropologiche, come ogni tipo di attività umana contribuisca all’evoluzione culturale generale. 

Nell’era dell’informazione diffusa è possibile pensare e agire in uno spazio-tempo sterminato e rapido. Nonostante le conseguenze spesso traumatiche, che si traducono nell’emergere di chiusure e del rifiuto verso il non-conosciuto, il nostro orizzonte è divenuto globale: un elemento che impone inevitabilmente una affinamento della coscienza culturale. Non a caso la parola cultura rimanda alla categoria della filosofia, alla concezione generale del mondo, e alle sue declinazioni morali, economiche, legislative, artistiche, e così via. Tale procedimento non è indolore, perché inevitabilmente si accentuano sia il senso di smarrimento dell’individuo, sia le dinamiche del conflitto, che si presenta come una condizione permanente. Nell’idea di cultura si possono scorgere, come sulle facce di una stessa moneta, la percezione della complessità e, di contro, il bisogno di atti normativi, di tutele sociali, di zone maggiormente garantite alla coesione e alla condivisione. Pertanto, di fronte a tale principio di contraddizione, aumenta di parecchio la responsabilità delle istanze di mediazione: sia la mediazione amministrativa, che attiene alle istituzioni politiche, a quelle riconosciute (come la scuola), alle strutture d’impresa e all’intero sistema del governo e dell’economia; sia la mediazione esecutiva, affidata a operatori qualificati (si pensi all’accrescersi a dismisura delle aspettative sul versante del lavoro, della salute, dell’assistenza, della giustizia).

Il concetto di “cultura” non prescinde più dalla visione d’impresa (questo è un altro termine che presenta una forte ambiguità di significato), tanto più se si declina sulla linea della valorizzazione del patrimonio culturale, che nelle varie contrade italiane è immenso; non prescinde dalla connessione fra artigianato e produzione di azioni durature (ovvero di processi continuativi e “permanenti”). Dice Hannah Arendt: “Un oggetto può dirsi culturale nella misura in cui resiste al tempo, la sua durevolezza è in proporzione inversa alla funzionalità” (La crisi della cultura nella società e nella politica). Vale a dire: l’atto culturale deve poter mantenersi oltre la logica del consumismo, dell’usa e getta. Pertanto, è urgente incrementare le prospettive culturali del futuro. Si tratta, cioè, di investire in ricerca e formazione: la ricerca coniuga le lingue della modernità e dell’innovazione, mette in contatto ogni realtà con le altre, risana le storture e i ritardi nella crescita individuale, immagina soluzioni relazionali immediate; la formazione d’insieme, dalla scuola al lavoro, dall’aggregazione associativa all’uso del proprio tempo, può garantire l’esistenza di una società in cui sia possibile lo scambio di memorie e di saperi. Ma, mentre si progetta il nuovo, occorre stare attenti a che la parola “cultura” non passi a significare uno stato di sogno, utopia, immaginazione di una realtà impossibile a concretizzarsi mentre qualsiasi mediocre prodotto dell'industria culturale viene spacciato per un capolavoro.

Carmelo Alberti

Università Ca' Foscari

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