SCIENZA E RICERCA

Sulle tracce dei primi abitanti del tetto del mondo

Sono almeno 5.100 anni che la nostra specie si è adattata a sopravvivere alle difficili condizioni ambientali dell’altopiano del Tibet. Lo dimostrano i risultati di un recente studio condotto da alcuni genetisti evoluzionisti dell’Accademia cinese delle scienze di Pechino. Questo lavoro di ricerca si basa sul campionamento dei genomi di 89 individui antichi, i resti dei quali sono stati ritrovati in 29 siti archeologici del Tibet.

Soprannominato “tetto del mondo”, l’altopiano del Tibet – che oggi è una provincia autonoma della Cina in cui abitano circa sette milioni di persone – ha un’altitudine media di ben 4500 metri sopra il livello del mare. A causa delle temperature rigide, l’aria rarefatta e il clima arido, è uno dei luoghi apparentemente più inadatti alla sopravvivenza degli esseri umani.

Per questo motivo, da circa un decennio l’origine dei tibetani moderni è oggetto di interesse per la ricerca in genetica e antropologia molecolare. Nella grotta carsica di Baishiya Karst, situata a nord-est dell’altopiano, è stata ritrovata una mascella fossile di un uomo di Denisova – una specie umana estinta “cugina” dei Sapiens e dei Neanderthal – risalente a circa 160.000 anni fa. Le prime tracce che suggeriscono la presenza di Sapiens sull’altopiano provengono invece dal sito paleolitico di Nwya Devu, a 4600 metri sopra il livello del mare, dove sono stati rinvenuti dei manufatti litici databili tra i 30.000 e i 40.000 anni fa. Queste scoperte ancora non bastano, però, per capire se e quando si siano incontrati Denisova e Sapiens sull’altopiano e quando questi ultimi abbiano iniziato a formare i primi insediamenti permanenti.

Alcuni studi condotti negli ultimi anni, basati sull’analisi di genomi antichi e moderni, hanno rintracciato un’ascendenza comune tra gli attuali abitanti del Tibet e delle regioni limitrofe dell’Asia orientale. Queste evidenze non erano sufficienti, però, per spiegare alcune differenze genetiche tra i moderni tibetani e le popolazioni dell’Asia orientale, né tantomeno per identificare il periodo a cui risale questa comune origine genetica. Non essendo mai stati campionati, finora, genomi di individui vissuti in quest’area in un periodo antecedente ai 3400 anni fa, non era possibile ricostruire i percorsi migratori delle diverse popolazioni sull’altopiano in epoche così remote.

Il nuovo studio pubblicato su Science allarga finalmente di altri 1700 anni l’orizzonte temporale delle indagini genetiche: il dataset utilizzato per la ricerca comprende infatti anche 21 genomi di esseri umani vissuti tra i 3900 e i 5100 anni fa. Tra questi è incluso anche il materiale genetico tratto dai resti del più antico individuo mai rinvenuto finora in queste regioni, vissuto 5100 anni fa nei pressi del bacino del Gonghe, nella zona nord-est dell’altopiano.

L’analisi genetica si è basata quindi sui campioni di dna provenienti da un totale di 89 individui vissuti tra i 100 e i 5100 anni fa. I genomi sono stati comparati tra loro, sempre tenendo conto della posizione geografica in cui sono stati ritrovati e della loro datazione, per individuare legami di parentela e ascendenze comuni tra gli antichi gruppi di popolazione che abitavano in Tibet nell’arco di tempo considerato.

I risultati dello studio confermano che la composizione genetica dei tibetani moderni è in continuità da almeno cinque millenni, perché l’ascendenza genetica più antica, quella dell’individuo vissuto 5100 anni fa, è ancora conservata nel dna degli abitanti odierni della regione. Ma la questione è un po’ più complicata di così. I tibetani moderni non discendono solo da questa popolazione ancestrale che viveva nell’area già 5100 anni fa (la cui origine è ancora tutta da scoprire). Il loro patrimonio genetico è stato plasmato anche da mescolanze con altri popoli avvenute nei secoli e nei millenni successivi, quando nuovi flussi migratori, provenienti soprattutto dall’Asia orientale, interessarono l’altopiano e le zone a bassa quota circostanti. I ricercatori sono riusciti a ricostruire alcune di queste antiche dinamiche demografiche tramite l’incrocio tra dati genetici, archeologici e filogenetici (ossia tenendo conto della posizione geografica in cui sono stati ritrovati i resti ossei degli individui considerati).

Durante i primi tre millenni di questa storia, ovvero nel periodo compreso tra i 5100 e i 2500 anni fa, era possibile distinguere tre gruppi genetici principali: uno situato nella zona a nord-est dell’altopiano, fino al bacino del Gonghe, un secondo gruppo diffuso nel sud-ovest della regione, fino all’arco Himalayano del Nepal, e un altro ancora localizzato nelle zone centrorientali del sud.

Secondo i risultati dello studio, sembra che la composizione genetica del primo gruppo sia stata plasmata dall’incrocio, avvenuto circa 4700 anni fa, tra la popolazione ancestrale antecedente al 5100 e alcuni individui provenienti dalle aree oggi comprese nella Cina nord-orientale sopra il Fiume Giallo, i quali erano probabilmente coltivatori di miglio del bacino del Gonghe.

Le aree sud-occidentali della regione, quelle limitrofe all’arco himalayano, sembrano invece essere state colonizzate circa 3400 anni fa da alcune delle popolazioni già presenti in Tibet che iniziarono a espandersi lungo il fiume Yarlung Tsangpo, un corso d’acqua lungo più di 2800 km che taglia orizzontalmente la parte meridionale dell’altopiano e che attraversa anche l’India (dove viene chiamato invece Brahmaputra). Quasi tutti i tibetani odierni sembrano discendere da questo gruppo meridionale, ma alcune comunità che oggi vivono nelle zone ad est conservano nel dna anche una piccola quota di ascendenza dal terzo gruppo, quello sud-orientale.

Successivamente, nel corso degli ultimi 700 anni, nuovi flussi di popolazione provenienti dalle pianure dell’Asia orientale contribuirono a plasmare ulteriormente il patrimonio genetico dei tibetani moderni.

Grazie all’analisi dei genomi antichi, gli autori dello studio hanno anche ricostruito le dinamiche evolutive che hanno permesso alle popolazioni tibetane di adattarsi alle condizioni ambientali apparentemente proibitive dell’altopiano. I ricercatori hanno osservato, in particolare, come variasse nel tempo la prevalenza di una specifica mutazione genetica (relativa, in particolare, a un gene chiamato EPAS1) molto diffusa tra i tibetani moderni. La mutazione in questione rende gli esseri umani più adatti a sopravvivere negli ambienti a basso contenuto di ossigeno tipici dell’altopiano tibetano.

Gli studiosi hanno riscontrato un aumento della prevalenza di questa variante nel corso del tempo: Se infatti fino a 2500 anni fa solo un terzo degli individui ritrovati negli scavi archeologici possedeva questa mutazione, essa era invece presente nel patrimonio genetico del 60% degli esseri umani vissuti tra i 1600 e i 700 anni fa e nell’86% dei tibetani moderni. Il primo individuo che conservava nel genoma la variante in questione era il più antico di tutti, ossia quello vissuto 5100 anni fa; perciò, tale carattere potrebbe essere stato ereditato proprio da quella popolazione ancestrale antecedente alle successive incursioni. E non finisce qui. Volendo fare un passo ancora più indietro nel tempo, è ipotizzabile che la mutazione abbia origini ancora più remote e provenire addirittura dai nostri lontani cugini Denisova.

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