SCIENZA E RICERCA
L’alba della storia. Le rivoluzioni del Neolitico che plasmano il nostro presente

La nostra è un’epoca di trasformazioni profonde, caratterizzata allo stesso tempo da importanti rivoluzioni tecnologiche e serie crisi ambientali, sociali, geopolitiche. Eppure, quando pensiamo alle grandi sfide del nostro tempo, spesso dimentichiamo che il cambiamento non è una novità nella storia umana, e forse non stiamo nemmeno vivendo il più radicale.
Con questa considerazione Guido Barbujani apre il suo ultimo libro, L’alba della storia (Edizioni Laterza 2024), riportandoci indietro di circa 10.000 anni fino al Neolitico, un periodo caratterizzato dal graduale passaggio dalle economie di caccia e raccolta all’agricoltura e all’allevamento, oltre che dalla nascita di forme più stabili e strutturate di società.
“ Una rivoluzione che influenza anche il nostro presente, perché ha modificato il paesaggio, le nostre strutture sociali, le abitudini, i costumi, e anche gli altri esseri viventi, piante e animali. Il dna di tutti loro, e anche il nostro è cambiato Guido Barbujani ne “L’alba della storia”
Barbujani – genetista, scrittore e professore all’università di Ferrara – racconta non solo i grandi cambiamenti del Neolitico, ma anche la scienza che cerca di ricostruire queste complesse dinamiche antiche. Un’impresa complessa, che si basa sull’analisi di dati archeologici, genetici e linguistici spesso frammentari, e che, pur accumulando sempre più conoscenze, non riesce mai a eliminare del tutto l’incertezza, lasciando molte domande ancora aperte.
Ad esempio, spiega l’autore, sono ancora dibattuti i motivi per cui le comunità neolitiche siano passate dalle economie di caccia e raccolta a quelle basate sull’agricoltura. I vantaggi sembrano evidenti: uno sfruttamento più intensivo del territorio garantisce una maggiore produzione di cibo e una conseguente crescita demografica. Ma coltivare significa anche adottare uno stile di vita sedentario e basato sulla convivenza di molte persone l’una accanto all’altra, una condizione che aumenta la frequenza dei conflitti violenti interpersonali e la diffusione di malattie infettive.
Ci è davvero convenuto, quindi, diventare sedentari e iniziare a coltivare il cibo necessario alla nostra sussistenza? Questa domanda, spiega l’autore, ha ispirato numerosi studi, come quello pubblicato nel 2019 dal team dell’antropologo Clark Larsen, basato sull’analisi di 740 resti ossei ritrovati nel sito di Çatal Hüyük, in Anatolia. Lo studio ha confermato che le condizioni in cui vivevano gli abitanti di questa antichissima città erano a dir poco provanti dal punto di vista fisico, ma anche che l’agricoltura e l’allevamento garantivano loro un’alimentazione varia e adeguata, sufficiente a rendere le loro condizioni di vita comparabili a quelle di una popolazione moderna ben nutrita.
Sebbene lo sviluppo delle società agricole abbia reso le società antiche più strutturate e stabili, il Neolitico è stato anche un periodo caratterizzato da grandi flussi migratori. A partire da circa 11.000 anni fa, i primi agricoltori provenienti dal Vicino Oriente si sono diffusi nel corso dei millenni successivi in tutto il resto dell’Eurasia occidentale, portando con loro un prezioso bagaglio non solo culturale, con anche genetico, le cui tracce sono osservabili ancora oggi nei genomi degli odierni abitanti di queste regioni. È per questo che, come sottolinea Barbujani, il passaggio al Neolitico ha ridisegnato il nostro dna.
E non solo. Sebbene il dibattito sugli OGM (Organismi geneticamente modificati) sia molto attuale, l’autore ci ricorda che è da millenni che manipoliamo la struttura biologica degli organismi vegetali. I primi agricoltori neolitici, infatti, hanno sperimentato innumerevoli tipi di incroci tra specie vegetali diverse, ottenendo ibridi e privilegiando determinate caratteristiche – come il sapore, la dimensione o la resistenza – per coltivare varietà che non esistevano in natura. Insomma: a differenza della selezione naturale descritta da Darwin, basata sulla sopravvivenza degli organismi dotati casualmente delle mutazioni più adatte all’ambiente in cui vivono, la selezione operata da questi primi agricoltori ha seguito criteri completamente diversi, basati sulle preferenze degli esseri umani.
Qualcosa di simile è avvenuto anche con gli animali. L’aspetto e il comportamento che oggi contraddistinguono cani, gatti, cavalli – ma anche, maiali, ovini e bovini – sono frutto di millenni di incroci programmati e allevamenti selettivi. La lunga storia della domesticazione animale e della convivenza tra persone e specie selvatiche è un'altra importante dimostrazione della capacità umana di plasmare l’aspetto e la genetica degli organismi che la circondano.

Nel capitolo conclusivo dell’opera, l’autore utilizza le conoscenze raccolte durante questo “viaggio nel passato” per affrontare tre temi di grande attualità: la presunta esistenza di razze umane, il timore della cosiddetta “sostituzione etnica” e la già citata produzione di OGM.
Barbujani definisce “eterna e inconcludente” la discussione sulle razze che attraversa da secoli il pensiero scientifico e culturale. Ci ricorda che le differenze genetiche che contraddistinguono le diverse “razze umane” – il cui numero varia di volta in volta in base alle svariate classificazioni proposte nel corso della storia – non sono neanche paragonabili a quelle che si riscontrano, ad esempio, tra le varie razze canine. Gli studi di genetica dimostrano, infatti, che i dna di due individui appartenenti allo stesso gruppo umano possono essere diversissimi e che, allo stesso tempo, due persone appartenenti a popolazioni molto lontane possono mostrare inaspettate affinità. Anche la paura che i flussi migratori possano causare la “sostituzione etnica” di un’intera popolazione su larga scala non trova conferma nei dati scientifici. Come sottolinea l’autore, non sono le migrazioni, bensì i conflitti violenti, a causare questo tipo di fenomeno.
Per quanto riguarda invece gli OGM, Barbujani ribadisce che la manipolazione genetica di piante e animali è cominciata oltre 10.000 anni fa, con l’obiettivo – valido ancora oggi – di nutrire una popolazione in continua crescita. Con l’arrivo dell’ingegneria genetica, nata tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, queste pratiche sono continuate nei laboratori, dando vita a un acceso dibattito pubblico e scientifico riguardante i limiti e le implicazioni legate all’uso di questa tecnologia.
L’autore non esprime un giudizio definitivo a riguardo. Ripercorre, piuttosto, le principali posizioni a favore e contro (da un lato, ad esempio, l’aumento della resa agricola, dall’altro i rischi per l’ambiente, la biodiversità e il lavoro dei piccoli coltivatori) e invita ad affrontare la questione con razionalità e spirito critico. Solo mantenendo aperto il dialogo – sostiene – e restando consapevoli di quel margine d’incertezza che sempre caratterizza il metodo scientifico, saremo in grado di affrontare con lucidità le grandi sfide del presente.
“ Come il diritto, la scienza è un tentativo di ridurre i conflitti per mezzo della razionalità. […] Bisogna tener duro, aggrapparsi al ragionamento con le unghie e con i denti. Bisogna anche avere l’umiltà, qualche volta, di cambiare idea Guido Barbujani ne “L’alba della storia”