SCIENZA E RICERCA

Le ibridazioni ridisegnano l’albero dell’evoluzione umana

Solo 10 anni fa pensavamo a Neanderthal come a un cavernicolo da cui noi sapiens, specie dall’intelletto superiore, ci differenziavamo nettamente. Oggi questo pregiudizio è infranto: sappiamo non solo che i Neanderthal disponevano di una cultura materiale paragonabile a quella dei nostri antenati, che erano capaci di pensiero simbolico come testimoniano le pitture rupestri rinvenute in Spagna a loro attribuite, ma sappiamo anche che con i Neanderthal abbiamo avuto incroci genetici: ci siamo accoppiati.

Gli eventi di ibridazione tra popolazioni umane antiche scoperti dai genetisti negli ultimi anni hanno ridisegnato la nostra storia evolutiva. Ora un nuovo studio pubblicato il 20 febbraio su Science Advances rivela il più antico evento di ibridazione mai registrato tra due popolazioni umane arcaiche. Gli antenati di Neanderthal e Denisova, ribattezzati Neandersovani, sono usciti dall’Africa circa 700.000 anni fa e si sono incrociati con una popolazione euroasiatica del genere Homo, probabilmente erectus, che aveva lasciato l’Africa molto prima, circa 1,9 milioni di anni fa.

Il ruolo delle ibridazioni diventa sempre più cruciale per comprendere non solo l’evoluzione della nostra specie Homo sapiens (originata in Africa tra i 200.000 e i 300.000 anni fa), che con Neanderthal e la sua “specie sorella” Denisova si è scambiata geni in ripetute occasioni, ma anche l’evoluzione di tutto il genere Homo.

Secondo gli autori dello studio, ciò che è avvenuto tra i 700.000 e i 600.000 anni fa tra Neandersovani e erectus si è sostanzialmente ripetuto intorno ai 50.000 anni fa tra sapiens da una parte e Neanderthal e Denisova dall’altra. Così come i Neandersovani si sono accoppiati con la popolazione “super-arcaica” che hanno trovato in Eurasia, arrivando lentamente a sostituirla, sapiens ha incontrato Neanderthal e Denisova fuori dall’Africa, con questi si è prima accoppiato e poi li ha sostituiti. In entrambi i casi però i nuovi arrivati si sono portati dietro nel proprio genoma le tracce di queste ibridazioni.

Se prima l’albero della nostra evoluzione aveva un tronco (l’antenato comune) da cui si separavano rami ben distinti l’uno dall’altro (le singole specie: habilis, erectus, heidelbergensis, neanderthal, sapiens), ora quei rami appaiono sì separati, ma connessi l’uno con l’altro da ramoscelli secondari: gli eventi di ibridazione tra una popolazione e l’altra (rappresentati dalle frecce blu e rosse in figura).

Il genere Homo nasce in Africa circa 2,5 milioni di anni fa. La prima consistente uscita dall’Africa che vede protagonista una delle sue specie avviene intorno ai 1,9 milioni di anni fa. Si pensa possa essere stata una popolazione di Homo ergaster, che diffusasi in Eurasia è stata rinominata Homo erectus. Circa 700.000 anni fa un’altra popolazione originata in Africa è uscita per avventurarsi in Eurasia. Protagonisti di questa seconda migrazione sono i Neandersovani, come li ha definiti Alan Rogers, genetista dell’università dello Utah di Salt Lake City, autore dello studio appena pubblicato.

“Gli autori li chiamano Neandersovani, ma forse basterebbe chiamarli heidelbergensis euroasiatici” commenta Luca Pagani, professore associato di antropologia molecolare al dipartimento di biologia dell’università di Padova. Heidelbergensis è una specie del genere Homo vissuta tra 600.000 e 100.000 anni fa e i cui resti fossili sono stati ritrovati in Africa, Europa e Asia. I primi esemplari fossili rinvenuti in Europa furono scambiati per Homo sapiens arcaici e infatti Homo heidelbergensis è uno dei maggiori indiziati per esser stato l'antenato comune di Homo sapiens e Neanderthal.

Gli antenati di Neanderthal e Denisova dunque (Neandersovani secondo Rogers, heidelbergensis probabilmente) hanno incontrato le popolazioni arcaiche che già abitavano l’Eurasia (erectus presumibilimente) e con queste poco dopo, prima di 600.000 anni fa, si sono accoppiate. Erectus è sopravvissuto in Eurasia fino a 100.000 anni fa, ma alcune sue popolazioni arcaiche sarebbero gradualmente state sostituite dalle nuove arrivate, che sono andate a costituire a occidente i Neanderthal e a oriente gli uomini di Denisova, una popolazione sorella dei Neanderthal che ha abitato le grotte di Denisova nei monti Altai in Siberia. Le popolazioni arcaiche sono sì andate estinguendosi, ma gli accoppiamenti hanno lasciato una traccia del loro Dna sia in Neanderthal sia in Denisova, andando a costituire, secondo quanto riportato dagli autori, circa il 2% del loro genoma.

Quello di Rogers è solo un modello che tenta di mettere ordine a uno scenario, quello dell’evoluzione umana, che non è mai stato così intricato. In quanto tale non è una fotografia definitiva di quello che è avvenuto e avrà bisogno di numerose verifiche e conferme.

Metodi di estrazione del dato genetico

Le tecniche di analisi del Dna antico estratto dai resti fossili hanno introdotto una piccola rivoluzione in genetica delle popolazioni. Nel 2010 il gruppo di antropologia evoluzionistica del Max Planck di Lipsia, guidato da Svante Pääbo, è riuscito a sequenziare l’intero genoma dei Neanderthal. Pochi anni dopo è arrivato anche quello di Denisova. Gli studi sul Dna antico però ci consentono di recuperare un dato genetico, nel migliore dei casi, non più antico di 500.000 anni. Il Dna è una molecola fragile che solo in casi fortunati si conserva nel tempo dopo la morte del suo portatore. Per ricostruire quindi gli incroci tra popolazioni arcaiche Alan Rogers e colleghi hanno imboccato un’altra strada: cercare tracce di Dna antico nei genomi degli esseri umani che popolano oggi la Terra.

Il lavoro ha esaminato il Dna di 3 Yoruba (una popolazione dell’Africa occidentale), di 5 francesi, 2 inglesi, quello di un neanderthal ritrovato in Croazia nella grotta di Vindija, di uno ritrovato in Siberia nella grotta dei Denisova e il Dna un uomo di Denisova dello stesso sito.

Le analisi statistiche, basate su complessi modelli di ereditarietà, tassi di mutazione e incrocio di popolazioni, hanno restituito 8 possibili scenari capaci di spiegare l’assortimento genetico osservato nelle popolazioni odierne. La spiegazione che i ricercatori hanno ritenuto più plausibile è quella che prevede un antico evento di ibridazione tra gli antenati di Neanderthal e Denisova e una popolazione “super arcaica” eurasiatica, probabilmente rappresentata da erectus, avvenuta fuori dall’Africa tra i 700.000 e i 600.000 anni fa (prima freccia rossa in alto a sinistra in figura).

Eventi di ibridazione antichi e moderni

Così come il genoma di noi sapiens contiene una porzione di Dna neanderthaliano (dal 2% al 4%) e denisoviano (fino al 6% nelle popolazione melanesiane) derivante dagli eventi di ibridazione occorsi tra il nostro e i loro rami, Neanderthal e Denisova a loro volta recavano con sé una porzione di genoma di popolazioni arcaiche che abitavano l’Eurasia prima di loro, con cui si erano accoppiate. Tra questo antico evento di ibridazione (600.000 anni fa circa) e i più recenti (da 50.000 anni fa in avanti) ce ne sono stati molti altri.

Sappiamo che Denisova e Neanderthal si sono incrociati tra loro perché abbiamo avuto la fortuna di trovare i resti fossili di Denny, una ragazza di almeno 13 anni, vissuta circa 90.000 anni fa nella caverna di Denisova sui monti Altai in Siberia, figlia di un genitore Neanderthal e uno Denisova (fraccia blu con doppia estremità in figura).

Noi sapiens, come si è detto, ci siamo ibridati sia con Neanderthal sia con Denisova. Noi portiamo loro tracce nel nostro genoma, ma anche loro probabilmente ne portavano di nostre nel loro Dna mitocondriale, segno di un incrocio avvenuto più di 100.000 anni fa. Alcuni ricercatori fanno risalire questo evento di introgressione fino a 270.000 anni fa (freccia blu da destra a sinistra).

“Queste evidenze, derivate in gran parte dalla disponibilitá di DNA antico, mostrano sempre di piú che eventi passati di mescolanza fra individui appartenenti a gruppi umani diversi dovrebbe essere considerata come la norma, piú che come una saltuaria eccezione” spiega Pagani.

Sappiamo infatti che negli esseri umani di oggi è presente il Dna di almeno altre due popolazioni di cui non sappiamo granché, e che per questo chiamiamo popolazioni fantasma (ghost population – potrebbe trattarsi di erectus o qualche suo stretto parente ancora non identificato). Anche con loro, a un certo punto, ci siamo accoppiati e c’è stato uno scambio orizzontale di geni (freccia rossa lunga in figura).

Altro muro che le nuove scoperte genetiche hanno abbattuto è la convinzione, saldamente presente fino a pochi mesi fa, che solo gli esseri umani moderni che vivono fuori dall’Africa fossero portatori di Dna neanderthaliano. È stato invece scoperto, a febbraio di quest’anno, che anche popolazioni africane odierne possiedono una piccola porzione di Dna neanderthaliano (freccia blu da neanderthal a popolazioni africane). Ciò dovrebbe significare che alcune popolazioni di sapiens euroasiatici portatrici di Dna neanderthaliano sono tornate in Africa e hanno disperso lì alcuni dei loro geni.

Sempre a febbraio di quest’anno, abbiamo anche scoperto che il Dna degli africani di oggi è più composito di quello che pensavamo: non solo possiedono una porzione di Dna neanderthaliano, ma anche una porzione di Dna appartenente a una popolazione fantasma, di cui non sappiamo molto al di fuori del fatto che sia esistita. Anche in questo caso si sospetta possa essere stata una popolazione di erectus, forse di heidelbergensis, o una stretta parente ancora non identificata che si sarebbe incrociata con gli antenati degli africani odierni intorno a 120.000 anni fa.

La questione delle specie

Così come quando Charles Darwin scriveva L’origine delle specie senza avere una definizione univoca di specie, ancora oggi dopo oltre 160 anni le specie restano un’entità sfumata. Nelle tresche evolutive della storia del genere Homo è difficile tracciare con sicurezza i confini. Se due popolazioni sono in grado di scambiarsi geni significa non esiste quella barriera riproduttiva che ne determina la distinzione in due specie. Secondo questa definizione biologica di specie non dovremmo dunque parlare di specie umane distinte, bensì solo di popolazioni umane distinte. È anche vero che in alcuni gruppi come i felini specie distinte possono risultare interfeconde tra loro. Uno degli esempi più noti sono il leone e la tigre che se incrociati possono dar vita a un ibrido, chiamato ligre o leontigre.

Altre specie estinte come gli orsi delle caverne e i mammuth mostrano pattern di divergenza e mescolanza simili a quelli presenti tra le popolazioni del genere Homo, come riporta il genetista Pontus Skoglund dell’Istituto Francis Crick di Londra in un commento su Science. Un tempo si pensava che l’isolamento geografico di una popolazione comportasse nel giro di breve tempo un equivalente isolamento genetico, per via dell’accumulo di nuove mutazioni e il conseguente innalzamento di una barriera riproduttiva. “Stiamo abbandonando l’idea che la separazione tra popolazioni sia conseguenza del semplice isolamento” commenta Skoglund. L’accoppiamento tra gruppi rimasti a lungo isolati tra loro può anzi rappresentare un vantaggio adattativo, grazie alla rapida introduzione di nuove varianti genetiche: alcuni dei geni arcaici trovati nelle popolazioni africane odierne ad esempio sono coinvolti nella soppressione dei tumori e nella regolazione ormonale.

sapiens hanno vissuto, in Africa, per centinaia di migliaia di anni separati dalle popolazioni di Neanderthal e Denisova. Allo stesso modo gli antenati di questi ultimi sono restati separati per ancora più tempo da chi prima di loro aveva popolato l’Eurasia. In entrambi i casi i nuovi arrivati (sapiens e Neandersovani) hanno conosciuto fuori dall’Africa i propri cugini e zii evolutivi. Non sappiamo se questi incontri siano stati amichevoli o conflittuali. Forse l’uno e l’altro. Sappiamo però che hanno lasciato traccia, genetica, all’interno di ognuno di noi.

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