CULTURA

L'enigmatico umano Denisova

Forse ci sono alcune certezze sui nostri antenati comuni. Le specie del nostro genere hanno vari milioni di anni, sono tutte comparse in Africa evolvendo in molteplici ecosistemi del continente africano. Poi alcune si sono spostate lentamente in diverse direzioni verso altre parti dell’attuale continente euroasiatico, camminando erette e a piedi, in gruppo, sopravvivendo e riproducendosi altrove. L’evenienza dei Sapiens alcune centinaia di migliaia di anni fa in Africa ci ha fatto convivere con altre specie umane ed evolvere accanto a loro, anche fuori dall’Africa quando siamo riusciti a migrare pure noi. E con loro ci siamo ibridati. Lo abbiamo fatto con i Neandertal: ve ne è rilevante pervasiva traccia genetica anche oggi in chi si è stabilito prevalentemente in Europa. Lo abbiamo fatto anche con un’altra specie umana: ve ne è differente specifica pervasiva traccia genetica anche oggi in chi si è stabilito prevalentemente in Asia, sia dell’ibridazione con noi che dell’ibridazione con la “seconda”. Questa “terza” specie (tutte e tre “derivanti” da precedenti specie umane), da una quindicina d’anni e per ora, ha solo una riconoscibilità genetica, non fossile e archeologica. Non ha dunque ancora un nome ufficiale comparabile alle altre, li chiamiamo denisoviani per intenderci (sulla base della grotta in cui sono stati scoperti).

Da quasi una decina di anni stiamo seguendo passo passo le scoperte, le diffidenze le ricerche, gli antenati comuni e le fertili ibridazioni relative a questa recente nuova specie del genere Homo. Ora è da poco uscito un volume che riassume lo stato dell’arte sui denisoviani, recentemente tradotto in italiano: Silvana Condemi e François Savatier, L’enigma DenisovaDopo Neandertal e Sapiens, la scoperta di una nuova umanitàillustrazioni di Benoît Clarystraduzione di Susanna BourlotBollati Boringhieri Milano 2025 (orig. 2024)pag. 244.


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Una scienza giovane

Il riferimento è agli ultimi tre milioni di anni, circa, giorno più giorno meno. La paleoantropologia ha più o meno 170 anni, è una scienza giovane, oggi in fase di accentuata accelerazione. Penetra i segreti dei fossili umani fino a rivelare con squisita precisione i gruppi sanguigni degli individui a cui appartenevano, la loro età geologica, i loro microbi, i loro legami di parentela, la loro alimentazione, i loro incroci e le loro migrazioni. Nei decenni scorsi è emerso che una specie del genere Homo era europea (molte oltre i confini geopolitici dell’attuale Unione), sorella dei Sapiens (precedente a noi e vissuta finora più centinaia di migliaia di anni di noi), ci siamo tante volte da più parti “ibridati” e ne conserviamo rilevante traccia nel DNA (intorno al 2%), nonostante noi siamo da una quarantina di migliaia di anni probabilmente rimasti l’unica specie del genere nel globo terracqueo. 

Il terzo “incomodo”

Nel 2010, poi, in un’oscura grotta nel massiccio dell’Altaj è stato scoperto un genoma umano sconosciuto, né Neandertal né Sapiens. Chi accidenti è e cosa vuole da noi? È toccato soprattutto ai genetisti impostare la ricerca, a lungo fra sconcerti, diffidenze, contrasti. Ormai è un dato abbastanza acquisito: in parallelo a quanto accaduto nel nostro Estremo Occidente, nell’estremo Oriente ovvero nell’Eurasia orientale è ben vissuta un’altra specie recente del genere HomoStanno ancora cercando il nome, possono essere collettivamente denominati i denisoviani per intanto. Risulta dunque confermato e fa piacere: sono le migrazioni antiche che ci hanno reso ovunque ciò che siamo (meticci), siamo scimmie sociali e tecnologiche, ci siamo evoluti cooperando e migrando, sorelle e fratelli. Ancora circa cinquanta millenni orsono circolavano in Eurasia almeno cinque specie umane.

Due esperti scienziati francesi, la paleoantropologa Silvana Condemi (figlia di emigrati calabresi, nata in Francia con mamma italiana), direttrice di ricerca al CNRS presso l’Università di Aix-Marseille, e il fisico comunicatore scientificoFrançois Savatier (1961), collaborano da tempo, questa volta pubblicando il frutto di quattro anni di esplorazioni scientifiche per offrirci la soluzione più parsimoniosa sull’enigmatico umano di Denisova (da cui il titolo e la copertina del loro volume). Gli euroasiatici preistorici, sia Neandertal che denisovoviani, hanno una linea umana di antenati comuni e sono stati per lungo tempo animali culturali che si adattavano all’ambiente nel quale si addentravano. Migravano (perlopiù per dinamiche climatiche), si mescolavano con altre popolazioni locali che incontravano, si scambiavano idee e geni. La narrazione dei due autori è meticolosa, con frequenti chiari riassunti delle informazioni evidenti e dei dubbi aperti via via che l’indagine prosegue, foto disegni figure mappe, in fondo tavole a colori e bibliografia degli articoli scientifici distinti per capitolo. 

I quindici capitoli del saggio di Condemi e Savatier sono distribuiti in tre parti: Il terzo uomo; Le origini; Nella pelle di Denisova. A formulare per primi l’enigma nell’estate 2010 furono alcuni genetisti dell’Istituto Max Planck di Antropologia evolutiva di Lipsia, dopo aver estratto un barlume di DNA dalla punta di falange rinvenuta all’interno della grotta di Denisova collocata nella parte russa del massiccio dell’Altaj, una catena montuosa lunga quasi duemila chilometri, abbastanza facilmente superabile o aggirabile, crocevia di popoli e lingue. In altre grotte, distanti meno di cento chilometri, erano già stati scoperti fossili neandertaliani. Con l’aiuto dei loro potenti computer, i ricercatori avevano calcolato l’albero di parentela più probabile che collegata i DNA mitocondriali sapiens, neandertaliano e denisoviano, abitanti o transitanti lì nei periodi caldi interglaciali. Gli antenati delle tre specie non derivavano da Homo erectus e si erano separati circa un milione di anni fa. Ricostruendo la vicenda, gli autori trattano la storia di Svante Pääbo e di quell’Istituto straordinario, i padri e le trasformazioni rispetto alla classificazione scientifica delle specie e altri aspetti di carattere generale.


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Molte domande aperte

In ogni capitolo lunga è la serie delle domande che intercalano la narrazione, di quelle che hanno avuto parziale risposta, di quelle che stanno dietro a ipotesi differenti, di quelle che sono ancora aperte, di quelle sempre nuove. Nell’evoluzione umana la scelta dei tratti ossei che si prendono in considerazione per caratterizzare una morfospecie riveste un ruolo fondamentale: sono stati prodotti dalla speciazione, senza benefici adattativi, o sono il risultato di adattamenti a particolari condizioni? L’orologio genetico suggerisce che Sapiens e Neandertal si siano separati più di mezzo milione di anni fa; la forma neandertaliana risulta molto vicina alla nostra in termini di geni, quanto basta comunque perché le due specie siano interfeconde; sembra che fossero le femmine che cambiavano clan per assicurarsi una discendenza; ed è noto come siamo la specie “residua” con alcuni autonomi caratteri anatomici e genetici, oltre che quella che ha a un certo punto sviluppato (prima di partire dall’Africa la volta buona?) capacità cognitive dotate di linguaggio articolato e pensiero simbolico.

L’origine comune

Nel decennio successivo al 2010 è emerso che Sapiens, Neandertal e Denisova hanno avuto tutti origine da un ceppo comune di Homo heidelbergensis, lo hanno verificato sia con il genoma mitocondriale che, poi, con il genoma nucleare (sono stati trovati anche denti e frammenti di ossa a Denisova), lo hanno confermato aumentando la ricca lettura delle biblioteche di sequenze, stanno ampliando le ricerche con altri campioni di sedimenti prelevate in grotte soprattutto in Cina. I denisoviani occupavano un territorio molto vasto sia nella Cina temperata a nord che nella Cina tropicale a sud, probabilmente a partire da oltre settecentomila anni fa.  Accanto a loro vi erano altre specie umane che si sono evolute simultaneamente o in tempi diversi, in climi e luoghi molteplici. Così, nel corso della “nostra” espansione attraverso il Sudest asiatico (secondo i genetisti a partire da circa settantamila anni fa, i paleoantropologi indicano date precedenti) antichi sapiens sono entrati in contatto con almeno due differenti gruppi di denisoviani e sembra addirittura che le ultime ibridazioni siano avvenute fra i trenta e i quindicimila anni fa (dunque, non saremmo rimasti “soli” da quarantamila ma da molto meno, comunque da prima della fine dell’ultima glaciazione e della complessa sopravvenienza prevalente di coltivatori allevatori), come per i Neandertal in Europa anche con “vantaggi” per noi (per esempio, la migliore resistenza al freddo). Le differenze evolutive dovute alla geografia non impediscono un certo parallelismo cronologico tra l’Eurasia occidentale e l’Eurasia orientale.


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Da circa tre milioni di anni la ripartizione delle masse continentali sulla superficie terrestre è rimasta grosso modo la stessa, poi l’eventuale isolamento di alcune isole o la loro distanza dalle masse dipendeva dai cicli glaciali e dal livello del mare. Condemi e Savatier sottolineano una tendenza “insopprimibile” del genere Homo a ibridarsi, evidente in modo particolare nel caso della specie Sapiens: l’ibridazione, “lungi dall’essere un fenomeno marginale, è piuttosto il tratto sociale fondamentale di tutti gli umani, quello che ha permesso loro di adattarsi ovunque”, forse proprio per questo è stato giusto aggettivare noi soprattutto come “la” specie meticcia. L’incrocio non è un’acquisizione umana tardiva, non ha avuto luogo solo per le più recenti specie del genere Homo, è stato praticato fin dall’inizio dell’evoluzione umana. Gli autori fanno così anche il punto sulla definizione stessa di specie biologica; su tutte le uscite e ondate originarie (sempre e solo) dall’Africa; sull’antenato prossimo dei Denisova, Homo heidelbergensis, lo stesso dei Neandertal; sulle ricerche archeologiche in corso (soprattutto in Cina, seppur poco comunitarie) relative alla nuova specie per ora definibile dal 2010 sulla base del genoma; e ipotizzano infine lo specifico identikit anatomico: corpo massiccio, faccia larga abbastanza verticale, carnagione scura. 

Anche sulla base di alcuni primi modesti reperti fossili, la loro equazione tenta di fornire un ritratto paleontologico: Denisova = cranio di Harbin + mandibola di Xiahe + corpo di Jinniushan. L’impressione di robustezza data dal viso quando lo si guarda frontalmente è rafforzata dalla larghezza del cranio. Questa conclusione sarebbe valida solo per i denisoviani del nord, non per i denisoviani tropicali. E sarebbe un fenotipo abbastanza in contrasto con quello dei neandertaliani, i cui capelli andavano dal rosso al castano, la cui carnagione era chiara e che avevano un colore degli occhi variabile dal marrone all’azzurro. Gli autori ribadiscono che, ovviamente, restano molti enigmi. Resta il fatto che Neandertal e Denisova non sono scomparsi del tutto, sopravvivono dentro di noi: tutti gli euroasiatici possiedono tra l’1,8 e il 2,6 per cento di DNA neandertaliano, mentre tutti gli abitanti dell’Estremo Oriente hanno tra l’1 e il 5 per cento di DNA denisoviano. Fate voi.

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