SCIENZA E RICERCA

Bambino di Taung. Cento anni dalla scoperta del fossile che riscrisse la nostra storia

Nel febbraio 1925, l’antropologo australiano Raymond Dart descrisse su Nature un fossile che mise in discussione molte convinzioni sulla storia dell’evoluzione umana diffuse all’epoca. Si trattava di un piccolo cranio di un individuo di tre o quattro anni, appartenente alla specie Australopithecus Africanus, soprannominato “Bambino di Taung”, dalla località del Sudafrica in cui venne scoperto.

Al Museo della Natura dell’Uomo di Padova è possibile ammirare un calco di questo fossile straordinario, che confermava l’intuizione di Darwin secondo la quale le origini delle specie umane fossero africane.

Come ricorda Nicola Carrara, conservatore delle collezioni di antropologia del museo, “all’epoca in cui avvenne il ritrovamento, il bambino di Taung non ricevette molta considerazione. Il suo scopritore, Raymond Dart, pubblicò immediatamente i dettagli della scoperta, ma il fossile venne quasi del tutto ignorato per circa 40-50 anni.

All’epoca della scoperta, infatti, l’attenzione dei paleontologi era concentrata su un fossile di Homo erectus rinvenuto a Giava, su alcuni resti Neanderthal scoperti in Europa e, soprattutto, su un ritrovamento che si rivelò in seguito il risultato di una truffa. Si tratta dell’uomo di Piltdown, un finto fossile la cui scoperta fu annunciata in Inghilterra nel 1912. Questo falso ottenne molto successo perché soddisfaceva le aspettative dei paleontologi dell’epoca: aveva il cervello grande, i denti ancora simili a quelli degli scimpanzé e dei gorilla e, soprattutto, era stato trovato in Europa. Nel dibattito scientifico dell’epoca, fortemente ideologizzato e razzista, la teoria dell’origine africana dell’essere umano non otteneva molti consensi. Veniva invece preferita l’ipotesi secondo cui le radici della nostra specie fossero europee o, al limite, asiatiche”.

Come ricorda Carrara, furono in particolare tre paleoantropologi – Arthur Smith Woodward, Grafton Elliot Smith e Arthur Keith – all’epoca revisori per la rivista Nature, a screditare il lavoro di Dart, essendo anche membri della commissione scientifica dell’uomo di Piltdown. Solo nel 1949, dopo 37 anni dall’inizio della truffa, l’inganno venne scoperto. Dagli anni Cinquanta in poi, altri ritrovamenti confermarono l’ipotesi dell’origine africana dei primi ominidi.

Nicola Carrara racconta la storia del Bambino di Taung al MNU. Riprese e montaggio di Massimo Pistore

“La fossilizzazione è di per sé un processo straordinario, ma il cranio del bambino di Taung è particolarmente eccezionale, perché comprende non solo le ossa viso, ma anche parte dell'endocranio”, spiega Carrara. “È visibile quindi il cervello, pietrificato: una condizione più unica che rara”.

Dall’analisi di questo reperto, oggi datato tra i 2,5 e i 2,8 milioni di anni fa, è possibile individuare le principali caratteristiche che contraddistinguevano la specie Australopithecus africanus. Questo fossile, che rappresenta il primo reperto di ominino trovato in Africa, mostra una straordinaria combinazione di tratti antichi (tipici dei primati) e moderni (comuni nelle specie appartenenti al genere Homo).

“La principale caratteristica primitiva di questo fossile è la capacità cranica ridotta, simile a quella dei gorilla o degli scimpanzè attuali”, prosegue Carrara. “Anche se il bambino di Taung fosse sopravvissuto abbastanza a lungo da diventare adulto, il volume della sua scatola cranica non avrebbe superato i 400-500 cm³. Dart appurò inoltre che la specie Australopithecus africanus fosse capace di mantenere un’andatura bipede piuttosto stabile”.

Tali osservazioni permisero al paleoantropologo di concludere che il bipedismo fosse un tratto evolutivo precedente all’aumento delle dimensioni del cervello, nonostante entrambe queste caratteristiche siano fondamentali nella differenziazione degli esseri umani dagli altri primati.

Un tratto altrettanto interessante riguarda la dieta. “I denti di Australopithecus africanus, soprattutto quelli anteriori, sono molto più piccoli rispetto a quelli degli scimpanzè e dei gorilla”, spiega Carrara. “Il fossile non presenta inoltre il caratteristico spazio tra gli incisivi e i canini che contraddistingue questi primati. I molari, invece, sono ancora di grosse dimensioni”. Il graduale cambiamento della forma dei denti segna un passaggio cruciale nell’evoluzione umana, in cui gli ominidi, al contrario dei primati erbivori, integrarono progressivamente anche la carne nella loro dieta, diventando perciò onnivori.

Negli anni successivi alla scoperta del bambino di Taung, ulteriori ricerche hanno approfondito la conoscenza di questo fossile. “All’epoca non esistevano le tecnologie necessarie a fornire una datazione precisa”, racconta Carrara. All’inizio degli anni Duemila fu inoltre indagata la causa della morte di questo sfortunato piccolo ominide. “Nel 2006 Lee Berger suggerì che il bambino di Taung fosse stato vittima dell’attacco di un rapace”, continua l’antropologo. “Il fossile presenta infatti delle ferite all’interno delle orbite che Berger giudicò compatibili con gli artigli di alcune aquile preistoriche. Si tratta di un dato interessante che suggerisce come i primi ominini avessero più probabilità di diventare prede, piuttosto che predatori”.

“Negli anni Cinquanta, vennero ritrovate altre tracce di Australopithecus africanus adulti nelle stesse zone del Sudafrica in cui era stato ritrovato il bambino di Taung”, ricorda Carrara. “Nel corso del tempo sono state inoltre descritte altre specie simili, sempre appartenenti al genere Australopithecus, in altre aree dell’Africa. Nelle zone centro-orientali del continente venne accertata, ad esempio, la presenza di Australopithecus afarensis (grazie al ritrovamento del celebre scheletro di Lucy, ndr)”. Questi reperti dimostrarono che gli Australopitechi erano diffusi in un'ampia area che si estendeva dall'Africa centrale e orientale fino al Sud Africa e confermarono ulteriormente le origini africane dei primi ominidi.

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