CULTURA

La poesia del cemento armato

Creo que soy formalista dichiarava l’architetto-ingegnere spagnolo Félix Candela nel 1955. “Io mi considero formalista, perché intendo l’arte come volontà di forma, ma di forma ordinata, armoniosa e stabile”. Una definizione confermata dalla storiografia, che da sempre sottolinea la sua carica rivoluzionaria nel modo di intendere la forma, tradotta in cemento armato attraverso il disegno di membrane e coperture a guscio. Come lui, solo Pier Luigi Nervi. Ma in Candela (1910-1997) l’indagine del rapporto tra forma e struttura va oltre l’abilità di calcolo: si esprime nella scrittura di testi, divenuti poi fondamentali, nei quali a più riprese si interroga sul senso del lavoro del progettista e sul ruolo dell'ingegnere chiamato a dare sostanza a forme da realizzare in cemento armato.  Un pensiero critico, quello di Félix Candela,  indagato da Massimiliano Savorra, in questi giorni ospite nel dipartimento di Ingegneria civile ed ambientale di Padova,  e poi tradotta per Electa nel suo libro La forma e la struttura. Félix Candela, gli scritti, in cui, accanto all’approfondimento storico dell’epoca in cui maturarono le idee e si costruirono forme straordinarie, lo studioso ha tradotto per la prima volta in italiano gli scritti dell’architetto spagnolo. 

 Fin dagli anni giovanili trascorsi a Madrid, dove aveva vinto nel 1936 una borsa di studio all’Accademia de Bellas Artes de San Fernando con un lavoro dedicato a L’influenza delle nuove tendenze nella tecnica del cemento armato sopra la forma architettonica, Candela si era interessato alla creazione di forme nel nuovo materiale  e alla progettazione di strutture a guscio. la sanguinosa guerra civile lo aveva portato pochi anni dopo in esilio in Messico dove, tuttavia, ebbe la possibilità di perfezionare e applicare i suoi studi, anche fondando con la sua famiglia e con i fratelli Fernando e Raul Fernandez Rangel la società di costruzioni Cubiertas Ala. All’interno della città universitaria UNAM di Città del Messico Candela realizzò nel 1951, su progetto di Jorge González Reyna, la copertura del Pabellón de Rayos Cósmicos, una volta a doppia curvatura ideata per garantire una necessaria rigidezza e uno spessore minimo. Primo caso di paraboloide iperbolico da lui utilizzato, l’originale forma geometrica del padiglione diede il via a innumerevoli sperimentazioni di coperture laminari curve, gusci forma-resistenti, superfici a sella e forme hypar (paraboloidi iperbolici), favorite dalla fioritura in questi anni di rilevanti contributi scientifici. Quelle ardite elaborazioni vennero ipotizzate da Candela prima sulla carta e poi messe subito in pratica: in circa 30 anni, egli fu responsabile di 896 costruzioni e di 1.439 progetti: opere come il noto ristorante Los Manantiales a Xochimilco (1958), la Cappella di Lomas de Cuernavaca (1959), le chiese a Monterrey e a Coyoacán (1959), così come il suggestivo stabilimento della Bacardi & Co. a Cuautitlán in Messico (1960) sono considerate delle vere e proprie pietre miliari. 

Il successo ottenuto con le sue costruzioni confermò l’indirizzo intrapreso nei primi anni Cinquanta, che Candela avrebbe poi ribadito in più occasioni attraverso i suoi scritti, a partire dall’intervento presentato al congresso scientifico messicano del 1951, significativamente intitolato “Verso una nuova filosofia delle strutture”. La sua celebrità è dovuta non solo all’attitudine a sciogliere intricati nodi strutturali, ma anche alla personalissima capacità di unire l’intuizione tecnica alla riflessione filosofica, una caratteristica maturata fin dagli anni giovanili trascorsi a Madrid. Lì si era infatti avvicinato al pensiero di José Ortega y Gasset, il filosofo de La deshumanizacion del arte conosciuto nel 1934 e poi spesso rievocato nei suoi scritti, a testimoniare un’influenza sostanziale nelle riflessioni che avrebbero più tardi definito i fondamenti della realizzazione delle sue opere, veri capolavori dell’ingegneria strutturale negli anni Cinquanta e Sessanta. 

Chiara Mezzalira

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