SOCIETÀ

Le vite degli altri. Tra dati, metadati e finestre rotte

La Finestra rotta è uno dei thriller dello scrittore statunitense Jeffery Deaver, vincitore di vari premi letterari tra i quali l'Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year, il British Thumping Good Read Award, il Crime Writers'Association's Ian Fleming Steel Dagger Award oltre ad essere stato più volte finalista all'Edgar Award

Torna in questo libro Lincoln Rhyme, il personaggio chiave di numerosi romanzi di Jeffery Deaver, primo tra tutti Il collezionista di ossa. Criminologo di fama mondiale, Rhyme lavora per la Polizia di New York coordinando il team del Pert (Phisical Evidence Research Team), una branca dell’Fbi che ha contribuito a creare. A seguito di un gravissimo incidente avvenuto mentre esaminava la scena di un crimine in un cantiere è rimasto completamente paralizzato, ed è soltanto in grado di muovere l'anulare sinistro. Nella “linea” di romanzi di cui La finestra fa parte, Jeffery Deaver colloca il detective direttamente nella seconda fase della sua vita, a partire da quando il tenente Lon Sellitto lo richiama all'opera. Rhyme vive al secondo piano di una casa in stile gotico nell'Upper West Side in New York. La camera da letto, le cui le finestre danno su Central Park, è la stanza in cui il detective tetraplegico passa la maggior parte del tempo, e quella che diverrà – data la sua impossibilità a muoversi autonomamente - il laboratorio attrezzato per le sue indagini. 

L’idea del titolo di questo romanzo – ma anche di alcuni dettagli che ne compongono le scene - prende spunto da una celebre teoria sociologica, la “Teoria delle finestre rotte”, descritta per la prima volta nel marzo del 1982 da J. Q. Wilson e G. L. Kelling, in un articolo pubblicato su The Atlantic magazine dal titolo Broken windows. Secondo la tesi, una volta che si manifestavano i primi segni di degrado e abbandono in uno stabile, un isolato o un quartiere (la prima “finestra rotta” appunto), se non si interveniva subito a riparare il danno l’evidenza di un abbandono era destinata a permettere alla criminalità, e segnatamente a quella di strada, di assumere carattere esponenziale e rapidamente non più recuperabile. Questa teoria ebbe all’epoca grande risonanza,  tanto da entrare in quegli anni nel programma governativo “Città Pulite e Sicure” che aveva l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle comunità in 28 città nello Stato del New Jersey, e in parte continua ad averne. Anche se, quando nel 2007-2008 Kees Keizer e i colleghi della Università di Groningen condussero una serie di esperimenti per determinare se l'effetto del disordine esistente, come la presenza di rifiuti o graffiti o di finestre rotte in un quartiere, effettivamente aumentasse l'incidenza di criminalità aggiuntive come il furto, il degrado o altri comportamenti antisociali. Viene da chiedersi, vista l'analogia del testo, se “Finestre rotte” di Francesco De Gregori non abbia preso ispirazione da questa teoria.

Tutto il thriller è caratterizzato da ambienti dove le finestre - rotte, oscurate, strette, impenetrabili - sono come occhi che osservano e inquietano. “Fuori dalla finestra, sull’altro lato della strada, si vedevano file di case di arenaria, e persino una parte dello skyline di Manhattan…”  Sguardi furtivi dai quali ci si deve proteggere, in una NewYork vista dalla prospettiva di una squadra di detective alla ricerca di un serial killer. “Con stupefacente accuratezza - scrive il Chicago Tribune - i computer predicono il comportamento delle persone setacciando le montagne di dati che vengono raccolte sui clienti dalle aziende. Questa sfera di cristallo chiamata “analisi predittiva” è diventata negli Stati Uniti un’industria con un fatturato di due miliardi e trecento milioni di dollari. Si stima che nel 2008 raggiungerà i tre miliardi.

Windows: è sottile la connessione tra mondi di finestre che schiudono, o coprono, squarci dei vite altrui, e agenzie di raccolta e gestione dati, a loro volta “finestre” sulle nostre vite, sbirciando attraverso le quali costruire profili sempre più accurati, informazioni sui cittadini da immagazzinare e vendere a società terze. E sono queste le finestre al cuore del romanzo, centrato sull’informazione costruita da dati e metadati. Tutto ruota attorno al concetto di privacy. I dati in questo thriller sono il protagonista principale, e i furti di identità definiscono le storie personali; i dati sono il fulcro delle nostre vite, e sui dati si possono costruire modelli di identità fasulli. 

Numeri di carte di credito, di social security card o “sedici cifre” sono i codici di sicurezza che ci identificano e consentono di elaborare informazioni in transazioni che entrano nelle vite individuali e collettive, e che in questo modo hanno il potere di estenderle, determinarle, cambiarle. Sequenze digitali, sono ormai, una parte di noi: disponendone, si agisce su di noi, e attraverso i nostri dati si ha il controllo, o lo si perde, su parti della nostra vita e della nostra identità.

Si sente dire spesso che il nostro corpo, completo di tutte le sue parti, vale quattro dollari e mezzo. La nostra identità digitale vale molto di più”. Le cinque parti del libro recano epigrafi eloquenti tratte in parte dal testo di Robert O’Harrow “No Placet o Hide”, in parte da alcuni siti che si occupano di privacy: La maggior parte delle violazioni della privacy non sono causate dalla rivelazione di grandi segreti personali, bensì dalla divulgazione di tanti piccoli fatti... Come le api assassine, una è solo un fastidio, ma uno sciame può essere letale. Uno sguardo inquietante ma a ben guardare assolutamente realistico, che aggiunge fascino a un libro davvero ben costruito. 

Antonella De Robbio

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