SCIENZA E RICERCA

Lo stress degli habitat, in Italia una specie su due è a rischio

“È una situazione che indica una vulnerabilità di specie e ambienti generalizzata”. Maria Berica Rasotto, biologa marina e docente all’ateneo di Padova, non ha dubbi: “Il quadro è preoccupante e fa emergere uno stato di precarietà di cui è necessario prendere coscienza”.

I dati forniti dal III Rapporto direttiva habitat 2007-2012, presentato a Roma dall’Ispra e dal ministero dell’Ambiente, parlano chiaro: il 50% delle specie vegetali, il 51% degli animali e il 67% degli habitat, tra quelli di interesse europeo presenti in Italia, sono in uno stato di conservazione cattivo o inadeguato.

La mappatura segnala una perdita di biodiversità dovuta soprattutto all’antropizzazione e alle modifiche agli ecosistemi apportate in modo non controllato. “Nel 2005 sono stati pubblicati i dati del progetto di ricerca a livello mondiale Millennium Ecosystem Assessment. Da lì veniva fuori che gli ecosistemi più compromessi al mondo, oltre alle foreste tropicali, sono gli ambienti marini e costieri a causa delle forti pressioni antropiche – spiega Rasotto – Un altro punto interessante riguarda l’agricoltura. Spesso si ha l’idea che un campo coltivato sia qualcosa di naturale, ma la verità è che l’agricoltura impatta non solo perché una certa area non è più a bosco o perde la sua natura selvatica ma per l’uso di pesticidi e fertilizzanti agricoli, aumentati dell’80% negli ultimi trent’anni, che poi vengono dilavati dal terreno, finiscono nelle acque dolci e poi arrivano in mare. Con conseguenze su alghe, plancton e pesci”. E Rasotto continua: “Non bisogna andare verso il blocco totale delle attività umane, ma verso la gestione responsabile di queste. Per esempio, se in mezzo a un certo habitat viene costruita una strada non è detto che tutti gli animali riescano a oltrepassare la barriera, per questo devono essere realizzati i corridoi naturalistici, una azione necessaria che dà il senso della gestione responsabile”.

Poco più della metà delle specie animali sono in sofferenza: restano solo una cinquantina di esemplari di orso bruno marsicano, il 40% degli anfibi è in pericolo, dall’euprotto sardo (della famiglia delle salamandre) al discoglosso sardo (simile a un rospo), varie specie di pipistrelli sono minacciate dall’estinzione, così le tartarughe palustri, spesso sostituite con specie esotiche. La situazione più critica, poi, sembra essere quella dei pesci di fiume e di lago, quasi tutti in pericolo e minacciati dall’introduzione di altre specie a fini di pesca.

A soffrire sono gli ambienti costieri con molta presenza turistica, in Sardegna sono a rischio l’astragalo marittimo, il Cardo del Gennargentu e l’eufrasia, e anche la flora delle zone umide. Un quadro critico ma che, in realtà, potrebbe rivelarsi ancor più grave, “perché in questo Rapporto i dati relativi agli organismi marini sono assolutamente carenti e non rappresentano la situazione reale”, sottolinea Rasotto. Si parla infatti di specie in pericolo facendo riferimento a storione e alosa, ma le tabelle sono incomplete. “È vero che il Rapporto si basa su rilevamenti di tipo terrestre – continua – ma il riferimento al corallo, tre molluschi e un crostaceo di certo non è sufficiente. Il settore pesca è da sempre una patata bollente, non se ne parla volentieri”.

Cosa fare, dunque, per evitare la scomparsa della ricchezza di biodiversità? “La strategia futura deve partire dalla collaborazione, prendendo in considerazione tutti gli ecosistemi e le componenti. Non possiamo voler salvare l’orso bruno marsicano e non considerare i pipistrelli: le specie hanno pari dignità e sono necessarie le une alle altre”.

Francesca Boccaletto

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