SOCIETÀ

Medicina, app e cloud computing: i rischi per la privacy

Web, smartphone e tablet hanno cambiato in pochi anni la medicina e la sanità almeno quanto hanno fatto gli ultimi due secoli e certamente più di quanto siamo consapevoli. Il rapporto medico-paziente, le relazioni dei cittadini e degli operatori sanitari con il Servizio sanitario, le società scientifiche e le associazioni di pazienti sono partecipi, attivamente o passivamente, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vera e propria rivoluzione. Anche la sete di conoscenza da parte dei cittadini ha trovato nelle risorse mediche online, nei forum e nei social network una fonte pressoché inesauribile di informazioni anche se non sempre autorevole e affidabile. Il 63% degli italiani usa internet regolarmente e il 44% (circa 25 milioni) ha un account su Facebook. Smartphone e tablet, attraverso le app, offrono importanti strumenti di supporto ai medici e ai pazienti nella gestione di malattie croniche come il diabete o per modificare stili di vita non salutari nella prevenzione dell’obesità e nel controllo dei fattori di rischio cardiovascolari. 

Anche il Servizio sanitario nazionale ha individuato nella dematerializzazione della documentazione clinica un importante strumento per snellire l’attività clinica e amministrativa e ridurre così i costi. Il cloud computing ha espanso le modalità di utilizzo della rete e queste opportunità sono state colte anche in ambito sanitario. Ma cos’è esattamente il cloud computing? Si tratta di una tecnologia di condivisione in cui le informazioni, anziché risiedere esclusivamente su un pc, vengono archiviate sul server di un gestore esterno e a cui una o più persone accedono da qualunque computer o dispositivo fisso o mobile. Uno dei vantaggi del cloud computing, ad esempio, è la possibilità di condividere i dati clinici di pazienti tra più medici o tra più strutture con un semplice tablet o smartphone connesso a internet. La condivisione dei dati sanitari è un prerequisito importante della medicina territoriale che sempre più si sta riorganizzando in medicina di rete, ma facilita anche il flusso di informazioni tra medicina del territorio e medicina ospedaliera. 

Una recente app presentata il 9 aprile da Microsoft, colosso informatico mondiale, e Millenium, produttore della piattaforma informatica più diffusa negli studi dei medici di medicina generale, promette di semplificare ulteriormente la condivisione dei dati che diventano accessibili da smartphone e tablet e che sono depositati sul server di un operatore esterno e privato, la società Dedalus, una società italiana di information technology con ambiziosi piani di sviluppo internazionali, in particolare in Cina. 

Queste tecnologie di condivisione di dati sensibili sanitari sono, in realtà, più diffuse di quanto si pensi e coinvolgono diversi operatori. Ad esempio i certificati di malattia che il medico compila online vengono inviati a enti ministeriali e all’Inps, mentre la ricetta dematerializzata, cioè la trasmissione informatica della prescrizione di farmaci direttamente alla farmacia e all’amministrazione dell’Azienda sanitaria senza la stampa cartacea, prevede la condivisione di informazioni a operatori terzi rispetto al binomio medico-paziente. 

Ma le tecnologie informatiche, e il cloud computing in particolare, se da un lato offrono potenti strumenti di condivisione delle informazioni sanitarie, utili per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria futura, dall’altro fanno aumentare i rischi sul versante della riservatezza. Più numerosi sono gli interlocutori, maggiori sono le trasmissioni delle informazioni e più difficile diventa garantirne la riservatezza e stabilire le responsabilità in caso di fughe di dati. 

Se nel caso delle applicazioni basate su software Millenium la novità sta nel fatto che i dati sanitari vengono di fatto ceduti dal medico a un soggetto esterno e privato, anche il Fascicolo sanitario elettronico (FSE), a cui  tutte le regioni dovranno adeguarsi entro giugno 2015, pone non pochi problemi di riservatezza. Al FSE infatti contribuiranno molti e diversi operatori (ospedali, medici di medicina generale, specialisti, strutture diagnostiche pubbliche e private, anagrafe, farmacie) che integreranno il fascicolo con le loro informazioni. Per quanto le informazioni viaggino in rete con codici criptati è evidente che il concetto di riservatezza in questo contesto è molto lontano dall’idea di riservatezza e di segreto professionale a cui abbiamo fatto riferimento fino a oggi e che aveva come perimetro il rapporto medico-paziente.

Anche il legislatore ha iniziato a prendere consapevolezza della natura dematerializzata delle informazioni sanitarie e quindi della necessità di ridefinire il concetto di riservatezza e segreto professionale, ma in questa corsa sembra inesorabilmente destinato a perdere la gara con la rete che produce continuamente nuovi modelli di interazione nel mondo della medicina e della salute.

Oggi il navigatore, quasi sempre senza esserne consapevole, viene “profilato”, cioè ne vengono definite dagli operatori della rete le caratteristiche, ad esempio, di età, sesso, interessi, acquisti, parole chiave, uso dei motori di ricerca, dati di geolocalizzazione e molto altro ancora. Tutte queste informazioni, una mole enorme, sono utilizzate per personalizzare la pubblicità in modo che sia più efficace, ma non solo. In alcuni contesti queste informazioni potrebbero essere utilizzate per profilare avversari politici, concorrenti commerciali, etc. L’inserimento nel profilo di ciascun cittadino di informazioni sanitarie, ad opera di hacker o di commercio illecito di dati, apre prospettive ancora più inquietanti e rende la definizione di protocolli di tutela dei dati informatici al passo con le nuove tecnologie ancora più necessaria. La rapidità con cui il web cresce e si sviluppa in forme sempre nuove di aggregazione delle informazioni rende rapidamente obsoleti i riferimenti normativi e giuridici a tutela del segreto professionale, mentre in molti casi medico e paziente vedono ancora nella riservatezza del loro rapporto personale i confini del segreto professionale.

Claudio Pagano

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