SCIENZA E RICERCA

Storie di uomini, boschi e lupi. Il ritorno dei grandi predatori

Lentamente, ma stanno tornando. Sono i carnivori che una volta popolavano numerosi i nostri boschi: linci, orsi e lupi. Ne ha parlato durante una conferenza Daniele Zovi, comandante del corpo forestale dello stato per il Veneto e il Friuli Venezia Giulia e autore dei libri Storia di Dino e altri orsi e Lupi e uomini. Il grande predatore è tornato (editi entrambi da Terra Ferma).

Una volta erano i nostri nemici naturali, per questo li abbiamo perseguitati per secoli, fino a sterminarli. Le linci ad esempio: sparite intorno agli anni ’60, solo recentemente si sono riaffacciate nel nostro paese, grazie anche ai due esemplari, entrambi provenienti dalla Svizzera, che sono stati recentemente reintrodotti a Tarvisio, provincia di Udine (della liberazione c’è anche un video). Attualmente si contano in Italia appena 4-5 di questi felini. Non se la passavano molto meglio gli orsi, di cui fino a pochi anni fa resistevano solo una cinquantina di esemplari in Abruzzo. Poi, tra il 1999 e il 2002, sono stati reintrodotti anche in Trentino, dove rimanevano quattro o cinque esemplari autoctoni senza più alcuna femmina fertile nelle valli più sperdute e oggi si registrano più di 50 individui. Pochi i plantigradi che sconfinano in Veneto, tutti esclusivamente maschi, visto che le femmine molto difficilmente si allontanano dal luogo in cui sono nate (si tratta del fenomeno della cosiddetta “filopatria”). Tra essi il famigerato M4, che sull’altopiano di Asiago si è reso responsabile dell’uccisione di 28 vacche. “Un esemplare estremamente scaltro e opportunista, che finora è sfuggito a 12 tentativi di cattura” ha detto Zovi. Tanto è vero per "giudicarlo" sarà presto allestito addirittura un vero e proprio processo che si terrà a Roana, sull'Altopiano di Asiago, il prossimo 6 dicembre.

Qui si apre la questione complessa dell’opportunità di reintrodurre in aree popolate specie potenzialmente pericolose per l’uomo. Per Zovi si tratta di una questione che riguarda innanzitutto l’equilibrio dell’ecosistema: “È nostro dovere tentare di salvare una specie in pericolo di estinzione. I carnivori servono inoltre a tenere sotto controllo la popolazione degli ungulati – come cervi, caprioli, camosci e cinghiali – che in questo momento stanno aumentando in tutta Europa. Senza nemici naturali infatti i grandi erbivori brucano i germogli e impediscono ai nuovi alberi di crescere, impedendo in pratica la rinnovazione naturale delle foreste”. In generale quello della convivenza tra uomo e altre specie potenzialmente aggressive è una questione risolvibile, a detta del comandante, anzitutto attraverso l’informazione e l’educazione della popolazione: “Gli orsi europei ad esempio sono generalmente poco aggressivi e in Italia ne sono presenti appena un centinaio – spiega Zovi – contro i 550 della Slovenia e le migliaia della Romania. Molto più grave è ad esempio il problema dei cani randagi, soprattutto se organizzati in branchi”. Per i lupi il discorso è parzialmente diverso, visto che non sono stati reintrodotti e la loro popolazione negli ultimi anni si sta espandendo naturalmente. Intanto, fino a quando le popolazioni di carnivori non saranno almeno in parte ripristinate, anche l’attività venatoria potrà essere utile all’ecosistema: “Penso che la caccia sia compatibile con il rispetto della natura, se esercitata in modo selettivo e corretto. In particolare per tenere sotto controllo le specie allogene e per regolare la popolazione degli ungulati”.

Ovviamente, durante l'incontro non si è potuto fare a meno di parlare di Daniza, l’orsa uccisa lo scorso settembre durante un tentativo di cattura, dopo che il 15 agosto aveva aggredito un uomo in cerca di funghi nel bosco. “In quel caso ritengo che la procedura sia stata corretta, ed era stata autorizzata preventivamente dal Ministero dell’Ambiente. L’alternativa era quella di una trappola fatta con un laccio d’acciaio, che però poteva rivelarsi a sua volta pericolosa. Il finale purtroppo è stato tragico: quando si usano narcotici con i mammiferi si corrono sempre rischi, anche se la mortalità in Europa è comunque inferiore all’1%”. La cattura era davvero l’unica possibilità? “Personalmente ritengo di no. Io stesso il 20 agosto ho scritto al presidente della provincia di Trento e al ministero che sarebbero stato preferibile tentare prima con altri mezzi di dissuasione, come proiettili di plastica o cani appositamente addestrati. In particolare temevo per i cuccioli, che a volte rimangono con la madre fino ai tre anni. In seguito alla morte di Daniza per il momento ho ritenuto opportuno sospendere altre catture nelle zone di mia competenza, in attesa che vengano chiariti tutti gli aspetti della vicenda”. E per gli orsetti cosa si può fare? "Per il momento li monitoriamo e sappiamo che stanno bene. Purtroppo non è possibile prendersene direttamente cura: gli orsi allevati in cattività rimangono infatti potenzialmente problematici”.

La polemica non è stata eccessiva? “Assolutamente sì, ma è dovuta al fatto che è stato toccato un archetipo: quello della madre con i piccoli. Di Daniza infatti hanno parlato persino negli Stati Uniti”. Non bisogna però accanirsi in inutili crociate: “È grazie ai trentini che l’orso è tornato nelle alpi – conclude Zovi – adesso non ha senso prendersela con loro”.

Daniele Mont D'Arpizio

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