CULTURA

Tra praterie e saloon, “Per poco non ci lascio le penne”

“Se ti fai problemi a rubare un cavallo significa che non ti hanno tirato su come si deve”. Ecco cosa ti insegna il selvaggio West. O almeno questo è quel che si ritrova tra le pagine di un libro che racconta una avventura corale, che viene da lontano e che ribalta i cliché dell’America delle origini, giocando con le parole e i profili di personaggi, tanti e tutti necessari, trattati con straordinaria ironia. Ma cosa accade se ad appropriarsi dell’intoccabile mito delle praterie è una scrittrice francese? La risposta la si può trovare in Per poco non ci lascio le penne (editore 66thand2nd) di Céline Minard, classe 1969, opera vincitrice del Prix Virilo e del Prix du Style nel 2013 e, quest’anno, del Prix du Livre Inter. Ora Minard, che per la prima volta è stata tradotta in italiano, è in tour nel nostro Paese. Dopo la libreria Trebisonda di Torino, il 3 dicembre alle 21, sarà al Centro universitario di Padova il 4 dicembre, alle 18.30, e a Roma, in occasione della manifestazione Più libri più liberi, sabato 6 dicembre (alle 15, in sala Rubino al Palazzo dei Congressi di Roma Eur). Volentieri l'autrice racconta il suo sguardo su un mondo quasi per antonomasia maschile come quello dei pionieri, degli indiani e delle praterie.

Quando e come nasce questo libro e, quindi, questa storia corale che viene dal vecchio West?

L'idea c'era già nei miei romanzi precedenti, con una Calamity Jane in grande forma in un bar di Bonanza in So long, Luise. Con Per poco non ci lascio le penne finalmente ho assicurato il giusto spazio a questa materia western che covavo da tempo. È il desiderio, molto arcaico e infantile, di costruire baracche in un ambiente selvaggio e aperto, non cartografato e pieno di sorprese.

La trama ironica e avvincente introduce un viaggio simbolico. Quale messaggio si nasconde dietro le storie e i personaggi?

Sicuramente quello dell'ascolto. Ma il messaggio non si nasconde, si legge nell'erba e si ode nel mormorio del fiume. Nessuno dei miei personaggi è più importante dell'altro, i gruppi umani non sono cristallizzati e bloccati nella loro identità; le case non hanno fondamenta e tutti sono di passaggio. Non esiste una legge scritta, esistono solo regole flessibili. Un incontro è l'occasione per morire o per cambiare, sta ai protagonisti decidere, secondo la loro coscienza e in piena libertà. 

Una carovana di personaggi singolari anima e attraversa la natura, altra grande protagonista di questa storia. 

Sì, il paesaggio in cui evolvono i miei personaggi è vivo come loro. Non è mai una scenografia, è un attore. Il fiume reagisce, il temporale decide le sorti di un attacco, l'erba nasconde e rivela quel che vuole. La prateria è disegnata dalle linee che uomini e animali vi tracciano, ma influisce sulle direzioni che questi prendono. Un corvo può guidarvi, un albero morto parlarvi, un fiume può ferirvi o curarvi.

Dopo il successo francese, il libro arriva in Italia. E la pubblicazione porta con sé la prima traduzione italiana e un tour di presentazione. Dopo aver raccontato le praterie americane, potrebbe pensare di ribaltare qualche “mito” della storia italiana...

Ah, ma l'ho già fatto! Quando ero a Roma ho scoperto e reinterpretato la figura di Olimpia Maidalchini Pamphili (tra il 2007 e il 2008, Minard è stata ospite a Villa Medici dell’Accademia di Francia a Roma). Dopo averla incontrata nella galleria Doria Pamphili, ho sentito il desiderio di farla parlare. E con voce chiara. Questa scelta ha dato vita a Olimpia, che ora sta facendo il giro dei teatri francesi. 

Una prova letteraria “quasi cinematografica". Se lo immagina il suo West sul grande schermo?

Non l'ho scritto con questo scopo e penso che non sarebbe facile per un cineasta trasformare in film una storia come questa. Bisognerebbe riscrivere tutto, sarebbe difficile ma comunque non impossibile. Quel che è certo è che non storcerei il naso di fronte a tre milioni di dollari per un adattamento cinematografico!

Francesca Boccaletto

Cristina Gottardi

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