CULTURA

The Sisters brothers, Audiard mette un'ipoteca sul Leone d'oro

Tratto dal romanzo di Patrick DeWitt Arrivano i Sisters, The Sisters brothers è sbarcato al Lido durante il quinto giorno di Mostra ed è riuscito nel difficilissimo compito di convincere critici e pubblico. Non a caso è, insieme a Roma di Cuaron e a The Favourite di Lanthimos, uno dei papabili vincitori del Leone d’oro di quest’anno.

Il film, diretto da Jacques Audiard, è certamente un western, il secondo in Mostra del cinema, ma allo stesso tempo è atipico perché appare svuotato dell’epicità delle battaglie, e soprattutto da ogni mitologia di frontiera. Si tratta del primo film in lingua inglese del regista, che negli ultimi anni è stato un assiduo vincitore a Cannes (Deephan), un film che ha colto tutti di sorpresa.

Non ci sono storie d’amore tra uomo e donna, ma in realtà il mio film parla di fratellanza che è, appunto, una forma d’amore. Jacques Audiard

Sullo schermo un ottimo John C. Reilly, nei panni del fratello maggiore, affiancato da Joaquin Phoenix nei panni del più piccolo di casa, ma anche il più ribelle e istintivo. Sono loro i fratelli Sisters (che in inglese dà origine a un gioco di parole in grado di confondere), assoldati dal Commodoro per dare la caccia a un chimico che ha scoperto una formula per far brillare l’oro in acqua. Una formula rivoluzionaria, che poi scopriremo anche pericolosissima, e capace di cambiare le regole del mondo dei cercatori d’oro.

Pistoleri abilissimi, con un’affinità incredibile, i fratelli Sisters condividono una vita dedicata solo al lavoro, e un padre ubriacone e assente. Per quanto sembrino l’uno l’ombra dell’altro, i due sono uomini molto diversi: Il fratello più piccolo, Charlie, vive il momento e non fa grandi piani per il futuro, beve molto e ama la vita da balordo che sta facendo. Il più grande, Eli, non ama questa vita fatta di violenza, è più pacato e a tratti malinconico, in più è aperto al vento di cambiamento che sta arrivando in quel periodo. Dopotutto siamo in Oregon nel 1850, un momento cruciale per la formazione della società occidentale, in cui l’America è piena di empori e saloon, ma che doveva anche decidere se dirigersi verso una civiltà democratica oppure verso l’anarchia a oltranza.

Meglio il rispetto reciproco oppure la legge del più forte? Inconsciamente è proprio questa la domanda a cui i due protagonisti devono rispondere quando riescono a trovare il chimico, l’uomo che stavano cercando. Lo trovano in compagnia del detective (Jake Gyllenhaal) che il commodoro gli aveva messo alle calcagna, ma che si era convertito alle idee “utopistiche” del chimico tanto da decidere di aiutarlo. Anche i due fratelli Sister rimangono abbagliati dalla personalità del chimico e, ovviamente, dalla sua formula. Ma si sa, gli imprevisti, e la violenza, è sempre dietro l’angolo, toccherà a loro capire come usarla al meglio.

The Sisters brothers è uno di quei film che sorprende perché, dietro a un racconto che a un primo sguardo può sembrare superficiale e d’intrattenimento, si nasconde nelle pieghe, una dialettica esistenziale sulle piccole cose che danno un senso alla vita. E ovviamente, il suo compendio sul che cosa si vuole fare in questa stessa vita. Uno scialle, che Eli, il fratello maggiore, ripiega e annusa ogni sera prima di dormire, per ricordarsi della donna che glielo ha regalato, oppure il desiderio di sistemarsi, il sogno di prendere il posto del commodoro, o il creare una comunità etica e rispettosa.

Il tutto, amalgamato dalla macchina da presa di Audiard, dà origine a una pellicola che ha davvero il sapore di formazione, di ricerca. Due uomini, rimasti piccoli dentro e ancora ancorati a quell’idea di violenza che risolve le cose, a un certo punto capiscono cosa farne di tutta questa violenza, e semplicemente cambiano. Cambiano “fazione”, cambiano visione, cambiano il loro mondo, insieme.

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