CULTURA

In sala i capolavori di Herzog, nomade dei paesaggi dell’anima

Uno dei vantaggi, per gli amanti del cinema in sala, della bulimia filmica che richiede alle piattaforme di aggiungere di continuo alla propria offerta enormi quantità di nuovi titoli, è che accanto alle produzioni originali si è creata una necessità crescente di classici restaurati, digitalizzati e resi appetibili per lo streaming. Spesso, per fortuna, il lancio dei cult movie avviene con un passaggio per le sale cinematografiche: in modo più o meno capillare, e con forti differenze tra regioni e per durata dell’iniziativa, oggi è possibile rivedere in sala perfette edizioni di almeno una quindicina di grandi classici per stagione cinematografica. Ma se la norma è il restauro del singolo film-evento, più rara è la riproposizione in sala di un ciclo dedicato allo stesso autore: occasione ancora più preziosa, perché consente il ritorno di quelle “rassegne” che erano la norma nei cinema d’essai, e che ora resistono in un pugno di cineclub, in genere presenti nelle città medio-grandi.

Tornano i cicli d'autore

Se l’anno scorso, ad esempio, abbiamo potuto rivedere su grande schermo l’intera serie delle “Commedie e Proverbi” di Éric Rohmer, quest’anno dobbiamo alla Cineteca di Bologna il dono di far tornare al cinema sei tra le maggiori opere di Werner Herzog. In tutta Italia in queste settimane vengono programmati Aguirre, furore di Dio (1972), L’enigma di Kaspar Hauser (1974), La ballata di Stroszek (1977), Woyzeck (1979), Nosferatu, il principe della notte (1979), e la sua opera-manifesto, Fitzcarraldo (1982). Appendice fondamentale un settimo film, Burden of Dreams di Les Blank (1982), che documenta l’avventura inaudita delle riprese di Fitzcarraldo, girato tra Amazzonia brasiliana e peruviana tra avversità di ogni genere.

Herzog, umanista visionario

Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia appena trascorsa, Herzog viene ritratto efficacemente nelle argomentazioni con cui Alberto Barbera, direttore della Mostra, ha motivato il premio: “La carriera di Herzog è insieme affascinante e pericolosa, perché consiste in un coinvolgimento totale, nella messa in gioco di sé fino al limite del rischio fisico, dove la catastrofe è costantemente in agguato”. È proprio così: il titanismo dei grandi personaggi del regista, il loro inseguire un sogno contro ogni evidenza logica e a qualunque prezzo, nasce e si rispecchia nella volontà di Herzog di realizzare i suoi progetti costi quel che costi, si tratti di girare su una zattera tra le rapide o trasportare un piroscafo da un fianco all’altro di una collina. Una grandiosità di mezzi e rischi, un vero culto per la potenza e la bellezza della natura, cui è contraltare l’introspezione con cui Herzog disegna i suoi personaggi, estremi, ribelli, fuori da ogni schema sociale, eppure segnati da sentimenti umanissimi: avidità, orgoglio, passione, solitudine.

La maschera tragica di Klaus Kinski

Davvero, riprendendo Barbera, Herzog è un formidabile esempio di “umanista visionario, un perlustratore instancabile votato a un nomadismo perpetuo” alla ricerca di valori supremi, di una spiritualità che si ritrova nel fondo di anime reiette o condannate alla sconfitta, proprio perché totalmente prive della capacità di adattarsi a una società che richiede compromessi, obbedienza, logica, formalismi. Di questa indefinita linea di confine tra pazzia e messianismo, purezza e tragedia, è incarnazione l’attore che della poetica di Herzog è divenuto icona e interprete, Klaus Kinski, protagonista di quattro dei film del ciclo (più il successivo “Cobra Verde”). Tra i volti più allucinati e indimenticabili della storia del cinema, Kinski, con la sua personalità lacerata tra genio recitativo e labilità psichica, deliri narcisistici e rifiuto delle regole, offre a Herzog una maschera perfetta per rappresentare l’utopia e la grandezza di uomini che non si rassegnano ai limiti dell’umano, e pur di sfidarli vanno incontro al più annunciato dei disastri. 

Certo, la scelta della Cineteca di Bologna si concentra sui grandi film del decennio 1972-1982, e chi volesse approfondire l’opera di Herzog non potrà prescindere dalla filmografia successiva e soprattutto dal suo straordinario lavoro di documentarista, in cui il regista ha dato prova di un eclettismo che lo ha portato a spaziare tra temi eterogenei, sempre privilegiando il rapporto tra uomo, natura, ambienti estremi, conflitti etnici e politici, indagini antropologiche. Ma il sestetto proposto in sala in queste settimane (più Burden of Dreams) è una perfetta introduzione alla poetica di Herzog, con le indimenticabili riprese degli spazi naturali, i movimenti di massa, lo scavo intimistico tra i chiaroscuri di ogni protagonista.

Amazzonia e utopia

Tra i molteplici spunti che le opere presentate ci offrono, scegliamo i due titoli più rappresentativi della triade natura - Kinski - titanismo:  Aguirre, girato tra Ande e Amazzonia peruviana, vede l’attore in veste di conquistador al seguito della spedizione guidata, a metà del Cinquecento, da Gonzalo Pizarro alla ricerca di Eldorado. Ribellatosi alla corona spagnola, Aguirre guiderà i rivoltosi in una sfida disperata contro gli indios, la giungla, le rapide e la propria follia. Con Fitzcarraldo Herzog-Kinski ci porta invece ai primi del Novecento tra Amazzonia brasiliana e peruviana, dove l’avventuriero melomane Fitzgerald (che gli indios chiamano Fitzcarraldo) sogna di costruire un teatro a Iquitos, nella foresta, ispirandosi a quello inaugurato a Manaus. Lo segue e lo incoraggia Molly (Claudia Cardinale), sua amante, tenutaria di una casa di piacere per i signori di Iquitos. La prospettiva di mettere le mani su un ricchissimo ma inaccessibile territorio di alberi della gomma, premessa per finanziare il suo progetto, spinge Fitzcarraldo al tentativo di arrivarci con un piroscafo che dovrà, per raggiungere la meta, essere trasportato a braccia sul crinale della collina che separa due fiumi. 

Se l’esito del cammino utopico intrapreso da Aguirre e Fitzcarraldo è facilmente intuibile, quello che conta è l’intrinseca grandiosità delle imprese tentate, che si rispecchiano nell’enorme sforzo logistico e organizzativo che Herzog sostenne nel girare i due film: se in Aguirre la troupe affrontò personalmente le correnti amazzoniche girando su zattere lungo il fiume, quella di Fitzcarraldo fu una vera odissea produttiva, quattro anni tra ribellioni di gruppi di indios, incidenti sul set, l’abbandono del protagonista inizialmente scelto (Jason Robards) e soprattutto il tentativo di trainare una reale nave da 320 tonnellate, tramite argani, oltre la collina tra i fiumi. AguirreFitzcarraldo diventano così emblemi del cinema di Herzog, regista del “coinvolgimento totale” con un obiettivo dichiarato: rendere i sogni del cinema più reali della vita stessa.

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