Sullo scaffale: l'Alligatore di Massimo Carlotto è tornato
L’Alligatore è tornato. Marco Buratti, uscito dalla penna nel noirista Massimo Carlotto trent’anni fa esatti, in A esequie avvenute (Einaudi, 2025) vive una nuova avventura, dando sollievo ai suoi molti lettori in astinenza.
È un personaggio, quello cui ha dato vita Carlotto, che ingaggia uno strano rapporto, profondamente intimo, con chi legge, perché porta a galla quel desiderio di idealistica giustizia che confligge, ossimoricamente e insieme perfettamente, con l’essenza profonda del noir, il romanzo sociale per eccellenza, quel genere letterario che mostra le contraddizioni più nere del mondo, e non dà speranza.
L’Alligatore è “l’investigatore privo di tesserino”, un Tulipano Nero che agisce secondo coscienza senza dover stare alle regole dello Stato, che l’ha tradito costringendolo – da innocente – a sette anni di carcere. Ascolta blues e beve Calvados (esattamente come lo scrittore che gli ha dato vita), ama le donne pienamente e con rispetto, si circonda di una serie di amici fuori dalla norma che, come lui, vivono ai margini e, proprio per questo, possono guardare al mondo con occhio lucido e senza stereotipare.
Questa nuova storia lo trova di nuovo a Padova (e nel circondario) e porta alla luce un mondo – quello veneto – che è fatto di crimine legalizzato, giustificato e ripulito dal danaro, fine ultimo per cui tutto vale, che si è fatto strumento capace di nascondere, dietro all’opulenza e alla vita agiata, ogni nefandezza.
“Pozza non era il tipo di cliente per cui volevo lavorare” racconta l’Alligatore. “Rappresentava quel sottobosco economico veneto che, violando sistematicamente la legge, saccheggiava il territorio sottraendo risorse importanti, inquinando, sfruttando, schiavizzando la manodopera col caporalato, cementificando ogni metro quadro a disposizione”.
Padova, invece, si staglia come una signora magniloquente, stretta dai lavori per la nuova linea del tram, in cui però è possibile trovare requie dai peccati e dalle rincorse, nelle sue piazze e nei suoi bar dove Virna, la storica donna dell’Alligatore con cui lui è tornato insieme con grande romanticheria, “riuscì a coinvolgere tutti i tavolini intorno al nostro in un annoso dibattito che divideva la città. Caldo o freddo, il tramezzino? Lei sosteneva che scaldarlo fosse una stravaganza recente che offendeva il concetto stesso di tramezzino. Sfatò la credenza comune sull’origine veneta quando in realtà il tramezzino era torinese e il nome se l’era inventato D’Annunzio”.
Il noir è anche questo: un puzzle fatto di vita vera, che non teme di citare il tramezzino o la torta Saint Honoré (“con quel sapore tipico degli anni Ottanta”) passando (e imperniandosi, com’è ovvio) su omicidi, rapine, riscatti, mafie, killer professionisti, vittime e infami.
Qui c’è una donna sequestrata e un racket di prostituzione in cui sono coinvolti uomini e donne che potrebbero essere i nostri vicini di casa. Ed è proprio quello che lo scrittore vuole che noi pensiamo.
I noiristi hanno una missione. Carlotto compreso. Mostrarci il mondo senza veli. E se le prime volte può sembrarci fin troppo rocambolesco, poi impariamo a seguirli lungo la via del disincanto.
Che per Carlotto passa anche attraverso la ricerca di una lingua letteraria del crimine e della disfatta, che è piana e a tratti sincopata insieme. Pulita come l’anima non potrà esserlo mai.
Il suo sguardo di narratore abbraccia l’umanità tutta, e negli ultimi anni si concentra anche sul mondo femminile, che da La signora del martedì (E/O, 2020) in poi, secondo l'opinione di chi scrive, raggiunge vertici di bellezza nient’affatto scontati.
“Quando stavo con Edith e ora con Virna mi capitava spesso di sorprendermi per la profondità di certi pensieri. Me ne nutrivo con avidità, mi facevano bene. Probabilmente per questo ascoltavo solo le Signore del blues. La chiamavano la musica del diavolo, invece era medicina per il cuore e per la mente.”
Definizione perfetta, quest’ultima, dei libri di Massimo Carlotto, in cui ci si immerge con voluttà, per venirne fuori curati, proprio come accade a chi ha preso un pharmakon, che in greco significa rimedio e veleno insieme.
“ Rappresentava quel sottobosco economico veneto che, violando sistematicamente la legge, saccheggiava il territorio sottraendo risorse importanti, inquinando, sfruttando, schiavizzando la manodopera col caporalato, cementificando ogni metro quadro Massimo Carlotto