La meccanica del pensiero. Le opere di Giorgio de Chirico in mostra a Monfalcone
S’intitola La meccanica del pensiero la mostra dedicata a Giorgio de Chirico inaugurata venerdì 28 novembre alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone, visitabile fino al 6 aprile 2026.
Il percorso espositivo include circa 50 opere, di cui alcune in prestito da istituzioni pubbliche d’eccellenza come la GNAMC di Roma e il MART di Rovereto e altre – la maggior parte – da collezionisti privati. Proprio questo la rende imperdibile per approfondire l’opera di uno dei più importanti artisti del Novecento, rappresentando un’occasione più unica che rara per ammirare dal vivo opere solitamente non accessibili al pubblico. “L’unicum di questa mostra sta nell’aver riunito opere che, in alcuni casi, non sono mai state esposte prima in mostre d'arte su de Chirico”, ha dichiarato il curatore Cesare Orler durante l’inaugurazione. “Alcune di queste appartengono a collezionisti che risiedono all’estero ed è possibile, quindi, che dopo la fine della mostra non torneranno mai più in Italia”.
Giorgio de Chirico (Volos, 10 luglio 1888 - Roma, 20 novembre 1978) è considerato il padre della pittura metafisica, un’avanguardia a cui l’artista si dedicò soprattutto durante il primo decennio del Novecento. Basata sulla sconvolgente scoperta della vacuità degli oggetti che costituiscono il mondo che ci circonda – della cui essenza non è possibile fare esperienza diretta – la pittura metafisica è caratterizzata da atmosfere rarefatte e luci basse. Piazze deserte, ombre lunghe e manichini senza volto abitano paesaggi onirici, avvolti da un senso di inquietudine e sospensione.
Eppure, la produzione dechirichiana non si limita alla stagione metafisica. A partire dagli anni Venti, infatti, l’artista si allontana progressivamente da quella corrente e abbraccia uno stile più baroccheggiante e classicista, che pare quasi un ritorno all’ordine e alla tradizione accademica.
Come ha spiegato Orler a Il Bo Live, che lo ha raggiunto all’inaugurazione della mostra, “Si tende ad associare de Chirico sempre e soltanto ai manichini e alle Piazze d’Italia, ma nella sua produzione c’è anche molto altro: in questa mostra, infatti, meno di un terzo delle opere esposte appartengono alla pittura metafisica o neometafisica”. Per questo, “la scelta di non organizzare le opere secondo un ordine cronologico, bensì raggrupparle in sezioni tematiche, è un tentativo di ampliare un po’ lo sguardo e riuscire a mostrare la varietà dei generi esplorati da de Chirico”.
La prima delle sei sezioni tematiche è dedicata alle nature morte, espressione che l’artista preferiva sostituire con quella di vita silente, più allineata alla versione anglosassone still life. Il motivo, come ha spiegato Orler nel discorso di apertura dell’inaugurazione, è legato alla volontà di non intendere la natura morta come memento mori (per ricordarci, cioè, che ognuno di noi è destinato a morire) ma come un’occasione per mostrare la vita. “La frutta dipinta non solo è stata colta da un albero, appoggiata su un tavolo e restituita alla pittura”, racconta Orler, “ma rappresenta prima di tutto un nutrimento per l’essere umano. Quella frutta è cibo, è energia. E il pittore le riconosce quell’importanza attraverso la pittura”.
È significativa, in particolare, la presenza dell’uva nellenature morte di de Chirico. “L’uva rappresenta simbolicamente il vino e, quindi, l’Italia”, continua il curatore. “Ma è anche lo stratagemma pittorico che consente all’artista di moltiplicare i punti di luce”. Gli acini dell’uva, infatti, permettono di creare più riflessi luminosi rispetto ad altri frutti, come i limoni o le pesche, e rappresentano quindi uno stratagemma per illuminare il quadro. “Per questo le nature morte di de Chirico sembrano emanare una luce propria”, spiega Orler.
Le sezioni successive sono dedicate al disegno, interpretato da de Chirico come “invenzione creativa” capace di riflettere il pensiero dell’artista nella fase iniziale dell'ideazione di un’opera, ai cavalli e ai cavalieri, che fanno parte del periodo più baroccheggiante di de Chirico, affascinato dal rapporto quasi simbiotico che percepiva tra l’animale e l’essere umano, e al ritratto, in cui è possibile ammirare, in particolare, ritratti di figure femminili e autoritratti (attraverso i quali il pittore cercava di creare degli alter ego di sé stesso).
La sezione dedicata al paesaggio comprende sia opere neometafisiche, sia barocche. I paesaggi metafisici, spiega Orler, sono luoghi inventati, “in cui coesistono rimandi alla Mole Antonelliana e al Castello a Ferrara, per esempio”, ma anche all’architettura della Grecia classica, con lo scopo di creare dei ponti tra il paese di nascita dell'artista e l’Italia. In questo contesto sono nate le celebri Piazze d’Italia, che mostrano la volontà di de Chirico di “fondere insieme elementi diversi tratti dall'esperienza dei suoi viaggi, dei suoi incontri, dei suoi studi”, continua il curatore.
Mentre i paesaggi neometafisici sono contraddistinti, come spiega Orler, dalla creazione di una nuova geografia dello spazio, le vedute di Venezia, collocate nella mostra l’una di fronte all’altra, riflettono una scelta completamente diversa. In questo caso, “l’artista non cambia neanche un colore della Venezia reale”. Questo perché la considerava una città già fortemente mutevole di per sé, tanto che cambiarla non avrebbe avuto senso. “È una città che vive di una doppia immagine: esistono una Venezia fisica e una Venezia riflessa sull'acqua. Proprio l’acqua, quindi, è sufficiente a stravolgere la città”.
L’ultima sezione della mostra è dedicata alla pittura neometafisica. Come ha spiegato Francesco Mutti, che ha prestato la sua consulenza critica alla curatela della mostra, probabilmente de Chirico non percepiva una differenza tra pittura metafisica e neometafisica. Queste due espressioni servono più che altro a distinguere due periodi diversi nel percorso dell’artista, il primo legato alla sua produzione giovanile, il secondo frutto di un percorso di crescita, dove la sperimentazione diventa una consapevole realizzazione.
Se, infatti, dall’inizio degli anni Dieci del secolo scorso de Chirico aveva “inventato” la pittura metafisica, basata cioè sulla scoperta dell’esistenza di una realtà inafferrabile attraverso l’esperienza sensibile (metafisica, appunto) in cui risiede l’essenza intima degli oggetti oltre la loro apparenza fisica, nel corso degli anni successivi, quella scoperta, inizialmente sconvolgente e terrificante, si trasforma in una presa di coscienza più profonda. La pittura, a quel punto, diventa per l’artista il mezzo visivo attraverso il quale è possibile raggiungere quella dimensione.
“Il periodo neometafisico è quello della consapevolezza”, spiega Mutti. “In quel momento, lo stupore metafisico non è stato abbandonato, ma spinge l’artista a dirsi ‘ho bisogno di strumenti’ e quegli strumenti sono la pittura. Nascono così opere celebri come Le muse inquietanti, Gli archeologi, Ettore e Andromaca, il Trovatore, e Le piazze d'Italia, in cui lo stupore lascia il passo a uno stato d’animo che l’artista ci invita a condividere con lui, accompagnandolo”.
Come riuscire, allora, a seguire l’invito dell’artista, soprattutto quando non si possiedono alla base particolari conoscenze di filosofia o di pittura metafisica? Lo abbiamo chiesto a Mutti, che ci ha risposto così: “Lo stupore metafisico è quel momento in cui, per esempio, pronunciamo ripetutamente, di seguito, una stessa parola. A un certo punto, quella parola non solo perde di significato, ma non si è più neanche in grado di ricordare com’è scritta e sembra di sentirla per la prima volta. Questo è lo stupore metafisico: l’intuizione che un oggetto, una situazione, una sensazione o, in questo caso, una pittura, non si esaurisce solo in ciò che vediamo, ma nasconde moltissimi altri significati che spetta a noi scoprire”.
Giorgio de Chirico. La meccanica del pensiero
A cura di Cesare Orler
Con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, BCC Venezia Giulia, Fondazione Carigo
Galleria Comunale d'Arte Contemporanea, Monfalcone – dal 29 novembre 2025 al 6 aprile 2026