Sullo scaffale: Destinazione errata di Domenico Starnone
L’ultima fatica di Domenico Starnone (che chi scrive pensa proprio che gli sia uscita invero dalla penna ormai senza fatica alcuna, tanto è il mestiere e tanta è la sensibilità) si intitola Destinazione errata, è appena uscita per Einaudi e racconta cosa succede se… sbagliamo a mandare un messaggio WhatsApp.
Il protagonista, infatti, uno sceneggiatore trentottenne con una bella moglie in carriera e tre figli molto piccoli, una domenica trascorsa lavorando e contemporaneamente badando alla prole, per errore inverte i messaggi per la consorte e per la collega Claudia, con cui sta scrivendo una serie, cosicché a quest’ultima giunge un inaspettato “ti amo”. Nulla di male se non fosse che la donna risponde immediatamente: “Finalmente ti sei deciso, anche io ti amo”.
Brivido. Chi se l’aspettava? Il lettore non può non chiedersi: e se succedesse a me? Ma soprattutto appare evidente come, già dalla seconda pagina (tutto accade subito), si costruisca uno sliding door pieno di aspettative. Cosa farei io? Cosa faresti tu?
Domenico Starnone è in questo senso un narratore eccezionale: sa infatti scandagliare l’animo umano indagando situazioni apparentemente comuni, che tutti noi possiamo aver vissuto o immaginato di approcciare, ma ci introduce un twist, spinge sul conflitto come ogni bravo romanziere senza però mai eccedere, cosicché sentiamo che quel che leggiamo potrebbe davvero accadere a noi.
Il protagonista quindi cosa fa? Indugia. Tutto da copione. Non corregge il tiro, non spiega alla collega che il messaggio le è arrivato per errore, e si giustifica con se stesso dicendosi che non vuole arrecare dispiacere, ci mancherebbe. E poi comincia a pensare. A lei. Come non ha mai fatto prima.
“In un ipotetico discorso tra maschi, qualora qualcuno particolarmente grezzo mi avesse chiesto se il seno della mia compagna di lavoro era abbondante, regolare o assente, se il suo culo era a mandolino o a chitarra, io avrei risposto: caro mio, che ti devo dire, boh. E probabilmente, senza quel banalissimo errore, anche Claudia sarebbe rimasta ai miei occhi poco più di un’intelligente, fantasiosa damigiana, un vetro rivestito di vimini anneriti, il collo verde scuro”.
La mente lavora, la fantasia pure, le paure crescono e così l’adrenalina e la dopamina.
Anche il migliore matrimonio, con la donna più affascinante, intelligente, ambita e amorevole del creato, ha dei momenti di stanca. E anche se la stanca non c’è, la novità ci blandisce sempre.
“Brutta faccenda” commenta un amico del protagonista e accidentalmente anche di Claudia e del marito di lei Alberto, “tu dici ti amo per sbaglio e lei dice ti amo sul serio, un casino”. E ancora: “Claudia scrive ti amo ma potrebbe volere soltanto, che so, il tuo orecchino, la tua camicia blu, il tuo modo di scherzare o di mettere il muso, insomma una cosa qualsiasi che, sul momento, né il mio amico Alberto e la piccola Abigail hanno da offrire”.
Sembra di riascoltare le conversazioni che tutti facciamo quando tentiamo di decifrare i pensieri e il cuore dei nostri interlocutori, nei nuovi approcci, cui la contemporaneità ci costringe, che passano attraverso l’etere, in forma di parole, e non hanno occhi, labbra e respiro.
Starnone lo sa, che dentro Destinazione errata ci siamo tutti. Come lo eravamo in Lacci, Confidenze, Scherzetto (un po’ meno forse nel penultimo, Il vecchio al mare). Cioè nei suoi romanzi ci parla di pulsioni, paure, meccanismi relazionali universali e lo fa attraverso le storie, particolari, dei suoi personaggi.
Ci mostra come, nelle esistenze, all’improvviso si formi un nodo, e come questo si stringa invece di sciogliersi. Nel romanzo Starnone smonta per rimontare i gesti, i pensieri, gli atti agiti e quelli in potenza; riflette trasformando le riflessioni in parte sostanziale della storia; introduce la suspense, che in questo caso non ha nulla a che fare con delitti e commissari tanto in voga, ma con il bisogno di scoprire, istante per istante, cosa faranno i personaggi, cosa penseranno e come decideranno di agire, proprio come se ciò che accade nelle pagine fosse affar nostro privatissimo. Vogliamo in definitiva sapere se la caveranno, perché è quello che ci domandiamo sempre di noi stessi.
E quindi: cosa fa, ancora, il protagonista? Lascia agire il caso, che chiamiamo destino quando vogliamo convincerci che non abbiamo colpa di ciò che accade perché era scritto nelle stelle, e in questo modo discolparci. Così i due casualmente si incontrano al parco, ciascuno con la propria famiglia, e Claudia, parlandogli, accenna a una “scena dell’hotel” che in realtà non esiste nella sceneggiatura.
“Cosa stava facendo, Claudia, stava usando un linguaggio cifrato? Non aveva ancora imparato, a quasi quarant’anni, che per quanto si trucchino le parole in pubblico, la voce, gli occhi dicono ciò che tacciamo?”
Ma c’è di più. Se, invece, il caso non esiste, delle due l’una: o c’è un disegno celeste, appunto, o quel che vediamo manifestarsi è frutto della nostra volontà, seppure inconscia.
“Insomma mi resi conto all’improvviso che stavo rischiando di fare non di Claudia ma di Livia [la moglie] – di Livia nientemeno, ero pazzo? – la destinataria errata del messaggio”.
Avviene un rovesciamento che è quasi un'agnizione: il narratore si chiede, cioè, se l’errore non sia per nulla tale.
Leggendo Destinazione errata sorridiamo a denti stretti, ci emozioniamo, ci innamoriamo, proviamo il brivido del proibito; ci chiediamo se anche noi, forse, non siamo incastrati in una situazione che ci corrisponde ma dell’altro ci corrisponderebbe meglio; vogliamo sapere come va a finire, cosa decideranno i protagonisti e cosa il destino ha in serbo per loro, e insieme vogliamo restare lì, in quelle elucubrazioni che precedono l’azione, negli occhi che guardano e il cuore che sente come fosse la prima volta.
Non c’è niente da fare: classe 1943, già vincitore dello Strega con Via gemito (Feltrinelli 2001), lo scrittore (e sceneggiatore) – che si mormora sia, insieme alla moglie traduttrice Anita Raja, nientemeno che Elena Ferrante – scrive libri che il lettore beve, chiunque egli sia e quali siano i suoi interessi, perché ci mette dentro sapientemente tutto quello che serve (peraltro in poche pagine e con una scrittura ch’è letteraria anche quando usa interiezioni!). Forse è proprio questa la ricetta per far tornare gli Italiani a leggere.
“ Non aveva ancora imparato, a quasi quarant’anni, che per quanto si trucchino le parole in pubblico, la voce, gli occhi dicono ciò che tacciamo? Domenico Starnone