SCIENZA E RICERCA

Un test di laboratorio per individuare la depressione? Negli Usa ci provano

Un esame del sangue per diagnosticare la depressione. Una malattia che, stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, colpisce 350 milioni di persone di tutte le età, con un rischio quasi doppio nelle donne rispetto agli uomini. A proporre ora il nuovo test diagnostico è un gruppo di ricercatori della Northwestern University con uno studio pubblicato nei giorni scorsi su Translational Psichiatry.

Il team ha preso in esame 32 pazienti con diagnosi di depressione grave (in termini medici “depressione maggiore”) sottoposte a terapia cognitivo-comportamentale e un gruppo di controllo di 32 individui sani. L’indagine ha dimostrato che le cellule del sangue di chi soffre di depressione producono alcuni tipi di proteine in quantità minore rispetto ai soggetti che non soffrono del disturbo. E tra queste ve ne sono certe che anche dopo la guarigione del paziente vengono prodotte meno. Gli studiosi sostengono, ancora, che l’analisi della compresenza di più di una di queste proteine nelle cellule sia in grado di indicare quali pazienti risponderanno alla psicoterapia. Il gruppo di ricerca ha proposto di utilizzare questa valutazione come test di laboratorio routinario per diagnosticare la depressione e per individuare le terapie efficaci.

Oggi, stando alle indicazioni del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5) su cui si basano gli psichiatri, la diagnosi avviene prendendo in esame una serie di sintomi fisiologici e psichici. Tra i primi, la mancanza di appetito o di sonno, irritabilità, agitazione; tra i secondi sensi di colpa, pensieri di morte, umore depresso e mancanza di piacere nel fare le cose. Se cinque di questi sintomi (tra cui uno tra gli ultimi due) sono presenti per almeno 15 giorni si parla di depressione maggiore. Nessun test di laboratorio è previsto.

“Lo studio – sottolinea Angela Favaro, docente di psichiatria all’università di Padova – è interessante, ma va considerato innanzitutto che la patologia ha molte forme. Il campione preso in esame è ristretto, ed è riduttivo non aver specificato la diagnosi in modo esaustivo, non aver indicato cioè il tipo di depressione”. Esistono infatti depressioni post-partum e psicotiche in presenza di pensieri negativi o sensi di colpa che diventano deliranti e possono portare anche al suicidio. Possono essere diagnosticate depressioni atipiche, caratterizzate da un eccesso di fame o di sonno, o ancora depressioni malinconiche, legate a fattori genetici e con ampie fluttuazioni durante la giornata.  

“Se tutte le fasi di questo studio verranno validate in un secondo gruppo di pazienti indipendente e più ampio – continua Angela Favaro – e se verrà confermato che la minore produzione delle proteine è effettivamente associata a uno o più dei sottotipi della depressione, sarà necessario capire la loro funzione nella cellula nervosa. E allora potrebbero aprirsi nuove aree di sperimentazione e terapia”. Sarà necessario spiegare anche se la scarsa espressione delle proteine sia dovuta alla patologia o piuttosto ai cambiamenti fisiologici che ne derivano: va considerato infatti che chi soffre di depressione mangia e dorme meno e, se fumatore, fuma di più. Infine il fatto che tali proteine vengano prodotte meno anche dopo la guarigione potrebbe essere una “cicatrice” della depressione e dunque una conseguenza più che una causa. Rimangono molte questioni ancora aperte.

Quello uscito in questi giorni non è l’unico studio che vede in un test di laboratorio, un esame del sangue nel caso specifico, un possibile strumento per la diagnosi di depressione. Tempo fa alcuni ricercatori si sono concentrati sul ruolo delle piastrine, che possiedono recettori della serotonina (coinvolta nella patogenesi della depressione). Si tratta di studi iniziati ormai vent’anni fa, che valutano la funzione di questi recettori nelle piastrine come indicatori del funzionamento degli stessi recettori nel cervello, ma che finora secondo la docente sono stati di utilità abbastanza limitata.

“Allo stadio attuale delle ricerche parlare di marcatori biologici per la depressione è ancora troppo presto. In più, si potrebbe pensare che esistano per la forma endogena, legata cioè a fattori genetici, ma ho qualche perplessità quando si tratta della forma reattiva”. Ci sono infatti persone predisposte geneticamente alla depressione, in cui il manifestarsi della patologia non è legato a nessun specifico evento, e altre invece in cui la malattia si presenta come reazione a uno stress. Più di un lutto nel giro di poco tempo, una patologia di difficile guarigione che costringe in ospedale, una persona ammalata da accudire. La depressione ha dunque una forte componente soggettiva.

È facile intuire che tutti, a seconda dei casi della vita, possono essere soggetti a questa patologia. La buona notizia è che dalla depressione si guarisce, anche spontaneamente, nella maggior parte dei casi. “Il vero problema – spiega Angela Favaro – è la tendenza alle ricadute. Si stima infatti che il 90% delle persone abbia avuto più di un episodio depressivo”. Ad avere una prognosi più negativa sono le forme croniche che sembra abbiano origine da depressioni non curate.

Monica Panetto

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