SOCIETÀ
Uno tsunami demografico investe Italia e Giappone
Nei prossimi 40 anni gli over 65 saranno tre volte più di oggi, passando dai 531 milioni del 2010 a 1,5 miliardi nel 2050. Una persona su sei sarà anziana, con i costi sociali ed economici che ne derivano. Lo rivela uno studio condotto dal Pew Research Center, Attitudes about aging: a global perspective, che prende in esame 23 Stati a livello mondiale.
Il Giappone e la Corea del Sud saranno i Paesi più “vecchi” rispettivamente con il 36 e il 35% della popolazione con più di 65 anni. Seguono la Spagna (34%), l’Italia e la Germania (33%). Tra i Paesi più giovani, invece, la Nigeria, il Kenya e il Sud Africa che conteranno rispettivamente solo il 4, il 6 e il 10% di over 65.
Nel 2050 si stima che l’Africa sarà il continente più giovane al mondo e ospiterà il 25% della popolazione mondiale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, infatti, la popolazione africana tra il 2010 e il 2050 aumenterà di 1,4 miliardi di persone: la quota maggiore a livello mondiale se si considera che Asia e Oceania avranno un aumento di 1 miliardo di persone, l’America di 300 milioni, mentre l’Europa registrerà addirittura una contrazione di 30 milioni di abitanti.
Queste tendenze demografiche rappresentano sfide importanti per la società e l’economia: cambiano gli stili di vita, le forme del consumo, i flussi internazionali di capitale. Lo ha sottolineato tra gli altri Maurizio Zenezini, in un contributo di qualche anno fa, Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione. Il mutamento nella distribuzione della popolazione globale, lo sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane e la contrazione della partecipazione al mercato del lavoro può causare serie difficoltà ai bilanci pubblici: aumentano le spese pensionistiche e sanitarie a fronte invece di una riduzione delle basi del prelievo fiscale dovuta alla scarsità di manodopera. Un Paese che invecchia è un Paese in cui un numero sempre più basso di lavoratori deve farsi carico di una quota maggiore di anziani. Un problema che, a livello globale, è particolarmente sentito in Germania, Italia, Spagna, Giappone e Corea del Sud.
I Paesi industrializzati spendono già oggi una parte considerevole del loro prodotto interno lordo per programmi di assistenza sanitaria e pensionistica, al contrario di quelli in via di sviluppo in cui le risorse impegnate in questo tipo di interventi sono invece molto basse. Stando al rapporto, nel 2010 è proprio l’Italia a spendere la quota maggiore del proprio prodotto interno lordo per le pensioni (16% del Pil), seguita dalla Francia (14%), dalla Germania, dalla Spagna (11%) e dal Giappone (10%). Se questa è la situazione oggi, stando all’analisi del Pew Research Center nei prossimi 40 anni la spesa è destinata ad aumentare a livello mondiale, tranne che in Messico e in India. Brasile e Russia saranno i Paesi in cui gli investimenti saranno maggiori, il doppio di oggi, fino a raggiungere circa il 17% del Pil. Mentre l’Italia nel 2050 si piazzerà “solo” al terzo posto.
Oggi sono i Paesi industrializzati a destinare la quota maggiore del proprio prodotto interno lordo all’assistenza pensionistica, sia perché il numero di anziani sul territorio è maggiore, ma anche perché, sottolinea il rapporto, il contributo mensile è più elevato. La tendenza per i prossimi anni, tuttavia, è di contenere l’investimento in questo settore attraverso l’introduzione, in Paesi come Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna e Giappone, di riforme che limitano i contributi e innalzano l’età pensionistica. Lavorando più a lungo il cittadino risparmia denaro pubblico (poiché non percepisce la pensione) e allo stesso tempo continua a pagare le tasse rendendo quegli anni in più doppiamente produttivi.
Come per le pensioni, il rapporto Attitudes about aging mette in evidenza nei prossimi decenni un generale aumento anche della spesa pubblica per l’assistenza sanitaria in molti Paesi. Se nel 2010 gli investimenti maggiori sono stati fatti in Francia, Gran Bretagna e Germania (rispettivamente con il 9 e 8% del prodotto interno lordo), nel 2050 saranno gli Stati Uniti a investire di più nella spesa sanitaria pubblica (15% del Pil, a cui si aggiunge una spesa privata che si aggira intorno all'8%), raddoppiando quanto spendono oggi. Seguono la Francia, la Germania e la Gran Bretagna (circa il 14% del Pil). Pur raggiungendo livelli di spesa inferiore, gli investimenti per l’assistenza sanitaria raddoppieranno anche in Giappone, in Italia (che passa dall’attuale 6% del Pil all’11%), in Spagna e in Brasile.
Se tali sono le implicazioni economiche del progressivo invecchiamento della popolazione, non mancano i risvolti sociali. Tra questi, ad esempio, l’aumento delle famiglie con un solo componente (una su tre in Italia), con un crescente numero di anziani che vivono da soli e i bisogni, legati alla salute e alla cura della persona, che ne conseguono. Non è un caso ad esempio, stando al rapporto annuale Istat 2012, che nel nostro Paese tra i servizi richiesti soprattutto dalle famiglie, uno dei settori che hanno mostrato una maggiore vitalità è quello dell’assistenza sociale con un aumento di quasi il 96% tra il 1992 e il 2010. Gli anziani assistiti a domicilio, nel primo decennio del nuovo secolo, sono cresciuti dal 2 al 4% della popolazione. E anche il Bureau of labour statistics, del resto, mette in evidenza come in futuro negli Stati Uniti le professioni più richieste siano proprio quelle legate all’assistenza alla popolazione anziana. Tra il 2012 e il 2022 si stima infatti che il mercato del lavoro avrà bisogno di 580.800 assistenti domiciliari in più, 526.800 infermieri, 434.700 venditori al dettaglio e 424.200 operatori socio-sanitari.
Monica Panetto