UNIVERSITÀ E SCUOLA

Usa: dal fronte all'università, pagati dal governo

Per essere un paese che, a parole almeno, venera le proprie forze armate e non perde occasione di celebrarne il valore, nei fatti gli Stati Uniti fanno relativamente poco per garantire il benessere dei propri soldati e dei propri veterani di guerra. La paga di chi indossa l’uniforme è spesso misera, i benefit come pensione e copertura sanitaria esistono ma sono limitati ed erogati con grandi ritardi e l'U.S. Department of Veterans Affairs, che ne è incaricato, è noto per essere una delle branche del governo federale più burocratiche e meno efficienti. 

Esiste però un’eccezione: un programma governativo che da ormai settant’anni a questa parte offre ai veterani importanti opportunità educative e lavorative da cui sarebbero altrimenti esclusi. Si tratta del cosiddetto G.I. Bill (G.I. è un termine che si usa generalmente per indicare i membri delle forze armate americane), una legge approvata dal Congresso per la prima volta nel 1944 e poi replicata più volte: la versione attuale è del 2008.

Nella sua forma più recente, il G.I. Bill (che si chiama tecnicamente “Post-9/11 Veterans Educational Assistance Act”) ha messo fondi pubblici per 26 miliardi di dollari complessivi a disposizione dei soldati di ritorno dalle guerre in Afghanistan e Iraq, che vogliano andare all’università. Al 2013 ne avevano beneficiato poco meno di un milione di ex militari.  Un rapporto pubblicato a fine marzo da Student Veterans of America, un’organizzazione non-profit di Washington, evidenzia che oltre metà di tutti i veterani che hanno usufruito di questi finanziamenti (per la precisione il 51,7%) ha completato entro sei anni i propri studi, ottenendo un diploma di laurea di qualche tipo. Si tratta di un dato inferiore al tasso di laureati tra gli studenti regolari, che è del 56% per i giovani americani che passano direttamente dalla scuola superiore al college e frequentano a tempo pieno, ma nettamente superiore al 43% di altri atipici – ad esempio coloro che si iscrivono all’università da adulti, dovendo occuparsi di una famiglia e lavorare durante il giorno. 

“Complessivamente i G.I. Bill sono considerati un successo – dice Stephen Ortiz, professore di storia militare presso la Binghamton University nello stato di New York – in particolare quello originario del 1944”. Pensata per facilitare il reintegro nella vita civile dei milioni di giovani uomini che avevano combattuto nella seconda guerra mondiale, la prima implementazione di questo programma avvenne in un momento in cui, negli Stati Uniti, non esisteva ancora la rete di sicurezza sociale creata negli anni sessanta dal Presidente democratico Lyndon Johnson con la sua "Great Society". Di conseguenza questa legge ebbe un impatto profondo sullo sviluppo dell’America post-bellica. “Il G.I. Bill di allora diede a un’intera generazione di americani la possibilità di acquistare casa, andare al college, seguire corsi di formazione professionale e fece dei soldati ingegneri, manager, professori e imprenditori – dice Ortiz – Gettò le basi per un livello di mobilità economica molto più alto di oggi e fu visto dai progressisti come un modello per espandere lo stato sociale”. 

Certo, anche quell’iniziativa aveva alcune importanti zone d’ombra. Era infatti strutturata esclusivamente per aiutare gli uomini, un riflesso del fatto che allora la partecipazione femminile alle forze armate era estremamente esigua, e - nella pratica, se non nelle intenzioni - risultò discriminatoria nei confronti delle minoranze etniche. 

Ad ogni modo, quel G.I. Bill fu replicato quasi esattamente in seguito alla Guerra di Corea. Ne fu approvata poi una terza versione nel 1966, al tempo della guerra in Vietnam, ma questa volta il governo federale decise di essere meno generoso. Correvano, infatti, i tempi della Guerra Fredda. E i soldati americani erano impegnati simultaneamente, e con responsabilità molto differenti, sia al fronte nel sudest asiatico sia nelle basi militari in Europa. “Il Congresso fece molta fatica a decidere come distribuire i finanziamenti – spiega Ortiz – E finì con stabilirne di più limitati perché c’era una tale presenza militare americana in giro per il mondo, e in ruoli talmente diversi, che il governo non aveva i soldi per aiutare tutti egualmente”. 

Il dibattito sui benefit per i veterani di guerra cambiò poi profondamente dopo il 1973, quando fu abolita la coscrizione obbligatoria e le forze armate diventarono completamente volontarie. I G.I. Bill cessarono per un lungo periodo – si dice anche perché l’intervento in Vietnam finì per essere talmente controverso che i contribuenti non furono particolarmente ben disposti verso quella generazione di veterani, i primi militari Usa da generazioni a portare il peso di una guerra persa. Nel frattempo, però, fu rafforzata la struttura burocratica del Department of Veterans Affairs, che consolidò sotto il proprio controllo tutta una serie di servizi lanciati inizialmente con il G.I. Bill, in particolare quelli medici, rendendoli permanenti e non più legati a stanziamenti ad hoc. “Il più recente G.I. Bill si può permettere di essere meno generoso perché tante delle prestazioni necessarie sono già garantite – dice Ortiz – L’unica cosa da fare con la legge del 2008 era di offrire nuove opportunità educative”. 

Questo programma è costato finora 35 miliardi di dollari. Il governo federale copre interamente il costo delle tasse universitarie a carico dei veterani che studiano presso istituzioni pubbliche, e versa fino a 17.000 dollari l’anno a chi frequenta college privati. Inoltre il governo contribuisce con 1.000 dollari all’anno all’acquisto dei libri e paga un’indennità per l’alloggio simile a quanto un sergente con famiglia a carico riceverebbe normalmente dal dipartimento della Difesa (la media di quest’anno era sui 1.400 dollari al mese). 

Valentina Pasquali

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