SCIENZA E RICERCA

È di 10.000 anni fa la prima salatura per conservare il cibo

Un recente studio dal titolo Fish and salt: The successful recipe of White Nile Mesolithic hunter-gatherer-fishers, pubblicato sul Journal of Archaeological Science, ha dimostrato come i primi tentativi di conservazione del cibo attraverso la salatura siano stati effettuati circa 10.000 anni fa lungo le rive del fiume Nilo, nell’attuale Sudan centrale, nel villaggio di Al Khiday, 25 km a sud della capitale Kartum e distante dal Mar Rosso circa 700 km.

La capacità di stoccare cibo ottenuto attraverso le attività di caccia, raccolta o pesca nelle società preistoriche, soprattutto in casi di abbondanza, ha risvolti significativi sul piano della sussistenza e della vita sociale. Questa pratica, quando presuppone la conoscenza di tecniche di conservazione, come l’affumicatura o la salatura, non è sempre dimostrabile archeologicamente se non attraverso ragionamenti di tipo deduttivo. La salatura e l’affumicatura, infatti, interessano per lo più le parti molli che non sopravvivono archeologicamente.

Durante l’Olocene antico, circa 10.000 anni fa, la valle del Nilo era occupata da gruppi di cacciatori-raccoglitori-pescatori che, grazie alla vicinanza del grande fiume, privilegiavano la pesca tra le altre attività di procacciamento del cibo, oltre la caccia e la raccolta di piante spontanee. Nel Sudan Centrale questi gruppi vengono associati, in base al tipo di utensili usati, alla fase definita Mesolitico di Khartoum (ca. 7000-5000 a.C.). Ad Al Khiday gli scavi archeologici hanno portato alla luce i resti lasciati dalle popolazioni mesolitiche: un villaggio organizzato con capanne, pozzetti con varie funzioni (focolari, rifiutaie, chiocciolai) e un cimitero che ha restituito più di 200 sepolture che datano a tre distinte fasi, pre-Mesolitico (10000 a.C) Neolitico (4500 a.C.) e Meroitico (100 a.C./100 d.C.).

I resti di faune rinvenuti nei pozzetti suggeriscono che la pesca d’acqua dolce contribuiva per più del 90% all’alimentazione della popolazione. Le indagini scientifiche condotte da Lara Maritan, prima firmataria dell’articolo, e Gregorio Dal Sasso, entrambi del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, Paola Iacumin e Giampiero Venturelli (università di Parma), Andrea Zerboni (università di Milano) e Veerle Linseele (università di Leuven) hanno analizzato un ampio campione di ossa di pesce (alcune in connessione anatomica)  preventivamente individuate per famiglia di appartenenza, e alcuni frammenti di ceramica misurando in entrambe un’alta percentuale di sale.

La scoperta della presenza di cristalli di sale su alcune ossa ha suggerito la possibilità che quel sale fosse stato aggiunto appositamente per salare il pesce e conservarlo nei contenitori di ceramica, prodotti da queste popolazioni, e caratterizzati da elaborate decorazioni.

Il sale, chimicamente analogo al comune sale da cucina, si presenta in cristalli regolari che rivestono la superfice delle ossa di pesce e dei contenitori in ceramica. La presenza di questi cristalli di sale non è in alcun modo conciliabile con processi naturali di deposizione. Per questo, lo studio ha considerato come confronto la presenza di sale su alcuni pesci di acqua dolce, tradizionalmente conservati per salatura lungo le sponde del Lago di Como (i missoltini), evidenziando straordinarie analogie con i cristalli di sale osservati sui resti di pesce da Al Khiday.

“La scoperta ha una grande rilevanza - dice Lara Maritan - attesta la più antica testimonianza di uso del sale per la conservazione del cibo. Non solo,dal punto di vista antropologico suggerisce che la possibilità di stoccare cibo abbia favorito il passaggio da una vita nomade ad una più stanziale - continua Maritan - con probabili riflessi sull’organizzazione sociale, come l’insorgere di forme di disuguaglianza, e la crescita demografica delle comunità mesolitiche”. Il surplus di cibo poteva essere utilizzato per garantire la sussistenza anche nei mesi di magra nell’attività di pesca o per integrare l’alimentazione durante la stagione della caccia, o ancora in occasione di attività comunitarie o rituali. “La capacità di conservare parte del pescato con la salatura - conclude la ricercatrice padovana - fa di queste popolazioni della valle del Nilo di 10.000 anni fa un esempio unico nel quadro delle nostre conoscenze sulle comunità preistoriche mesolitiche”.

Gli scavi ad Al Khiday sono stati condotti dal Centro Studi Sudanesi e Sub-Sahariani, diretti da Donatella Usai e Sandro Salvatori, in collaborazione con le università di Padova, Milano, Parma e Lovanio (Belgio).

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