SCIENZA E RICERCA

Farmaci di ieri, farmaci di oggi

“Vecchi” medicinali per “nuove” terapie contro i tumori. Oltretutto meno costose. Farmaci fino a questo momento utilizzati come antifungini, antibatterici, antidolorifici, anticoagulanti, potrebbero avere effetti positivi anche nel trattamento di alcuni tipi di cancro. Oltre a contribuire a tagliare i costi di una sanità che in futuro potrebbe non essere più in grado di distribuire farmaci a tutti. Ad affrontare la questione sono Francesco Bertolini dell’Istituto europeo di oncologia e il suo gruppo in uno studio pubblicato recentemente su Nature review. Clinical oncology

Perché dunque andare in questa direzione? I costi di sequenziamento del genoma, spiega Bertolini, hanno permesso di sequenziare in toto sempre più nuovi casi di tumore ed è emerso che la complessità del genoma del cancro è molto superiore a quanto ci si aspettasse. Se fino a cinque, sei anni fa si pensava che due, tre mutazioni cruciali potessero essere sufficienti a innescare un processo di cancerogenesi, oggi si sa invece che le mutazioni alla base della cellula tumorale sono decine e molto spesso centinaia. Ciò implica che la terapia del cancro debba essere, almeno nelle prime fasi, una “terapia di combinazione”, invece che una cura con un singolo farmaco. Questo tipo di trattamento, tuttavia, cozza oggi contro i programmi delle case farmaceutiche che hanno nuovi farmaci in fase di sviluppo, ma vogliono veder approvato un medicinale per volta. Con costi di conseguenza molto elevati e sistemi sanitari che non possono permetterseli. “Noi però abbiamo a disposizione un arsenale di quasi 3500 farmaci, già utilizzati a scopi clinici e usciti dalla fascia brevettuale, di cui conosciamo molto bene gli effetti collaterali. In molti casi hanno anche un’attività antineoplastica e dunque possono essere utilizzati in modo efficace per la terapia combinatoriale del cancro”. Senza contare che lo sviluppo preclinico e clinico è sicuramente più veloce ed economico.   

Bertolini inizia con un esempio, il talidomide. Originariamente introdotto negli anni Cinquanta del Nocevento in Germania come sedativo, viene ritirato dal mercato dieci anni più tardi per aver provocato malformazioni agli arti nei bambini nati da donne che avevano assunto il farmaco. Negli anni Novanta se ne riprende lo studio e se ne rileva l’attività antitumorale. “Noi – sottolinea Bertolini – abbiamo partecipato ai primi studi di riposizionamento di questo farmaco che si è dimostrato particolarmente efficace nel mieloma. Al punto che da circa 15 anni viene utilizzato nella prima linea di terapia”. Si è riusciti a capire che il farmaco agisce su un complesso proteico detto cereblon e ciò potrebbe permettere in futuro il suo impiego non solo nei mielomi, ma anche in altri tumori in cui si verifichi una deregolazione di questa proteina. 

C’è poi l’aspirina, un farmaco particolarmente efficace contro il tumore al colon come dimostra una mole sempre maggiore di evidenze scientifiche. Ancora, la metformina usata da milioni di persone come antidiabetico orale ha anche una forte attività antineoplastica in diversi tipi di tumore. Studi epidemiologici in casi di cancro al colon, alla mammella e alla prostata ne suggeriscono l’efficacia nell’ambito della prevenzione ma senz’altro, sottolinea Bertolini, potrà essere utilizzata anche a scopi terapeutici. E la lista dei farmaci sarebbe ancora lunga sebbene, va detto, tuttora in fase di studio: nella ricerca vengono citati, tra gli altri, la claritromicina attualmente utilizzata come antibatterico, l’eparina somministrata come anticoagulante, il propranololo usato per l’ipertensione, l’itraconazolo impiegato come antifungino. Tutti medicinali indicati come potenziali agenti antitumorali.

“Non credo sia più possibile andare avanti a lungo con la copertura finanziaria dei nuovi farmaci. In generale si parla di una spesa sanitaria per l’Italia per il 2016 di 111 miliardi di euro che potrebbe aumentare velocemente anche del 10%, se fossero approvati tutti i nuovi farmaci risultati efficaci dagli studi clinici. Esiste dunque la reale necessità che le case farmaceutiche, i sistemi sanitari e le agenzie regolatorie affrontino la situazione, altrimenti non saremo più in grado di dare farmaci a tutti”. Non nasconde le proprie preoccupazioni Francesco Bertolini.  

I sistemi sanitari nazionali probabilmente non riusciranno a sostenere ancora per molto l’aumento dei costi dei nuovi farmaci oncologici. Nel 2013 sono stati spesi a livello mondiale 91 miliardi di dollari. Giusto per fare un paragone, il prodotto interno lordo della Bulgaria e dell’Ungheria è rispettivamente di 50 e 126 miliardi di dollari. E se il costo medio dei medicinali usati nella terapia contro il cancro era di circa 100 dollari al mese per paziente negli anni Novanta, nel 2011 è salito a 10.000 dollari al mese. 

Finora in ambito oncologico i programmi che prevedono l’impiego di farmaci già utilizzati per patologie di altro tipo, sono stati tuttavia limitati. “Esiste un conflitto potenziale tra gli interessi delle case farmaceutiche e le reali possibilità di spesa dei sistemi sanitari, che invece dovrebbero essere chiamati a collaborare per sviluppare terapie combinatoriali per farmaci nuovi e farmaci già presenti”. Bertolini sottolinea la necessità di realizzare percorsi virtuosi che prevedano un “premio” per le case farmaceutiche che si impegnino a promuovere lo sviluppo clinico di medicinali da riposizionare, premio in termini di ricopertura brevettuale di vecchi farmaci per cinque, dieci anni a prezzi accettabili. E anche a livello regionale e ministeriale dovrebbero essere destinati dei fondi in modo specifico allo studio del portfolio dei medicinali già in uso. Senza contare, infine, il contributo importante che potrebbe derivare anche (come già accade) dalle fondazioni no-profit. 

Monica Panetto

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