SCIENZA E RICERCA

La generazione del "touch and go"

Nei mesi scorsi si è fatto un gran parlare sui media della (presunta) abolizione della scrittura a mano nelle scuole elementari finlandesi a partire dal 2016. Un’eventualità che ha attratto l’attenzione internazionale, pur con qualche fraintendimento sugli effettivi indirizzi del sistema scolastico finnico. A intervenire sulla questione è lo stesso Finnish National Board of Education precisando che, in realtà, la scrittura a mano non scomparirà perché “considerata ancora importante per lo sviluppo della motricità fine e della memoria”. Anche negli Stati Uniti l’argomento è di quelli caldi. I Common Core standards for English infatti non fanno esplicito riferimento all’insegnamento del corsivo nella scuola elementare e questo ha aperto un dibattito a livello nazionale sull’importanza e l’opportunità di insegnare a scrivere a mano. Se a ciò si aggiunge l’uso pervasivo delle tecnologie informatiche e il loro ingresso anche in ambiente scolastico il quadro è completo. A questo punto, carta e penna sono da relegare in soffitta? 

“Tradizionalmente – spiega Lerida Cisotto, docente di didattica della lingua italiana all’università di Padova – i bambini imparavano a leggere e a scrivere a partire dai sei anni, all’inizio della scuola elementare. Oggi invece molti studi attestano che l’alfabetizzazione cosiddetta “primaria” avviene molto tempo prima, poiché i ragazzi vengono in contatto con parole scritte  fin da quando sono molto piccoli. E questo comporta l’attivazione precoce di alcune funzioni cognitive che un tempo erano attese e promosse solo a partire dalla scuola primaria”. Tra queste la capacità di analizzare e scomporre i suoni e l’attitudine a cimentarsi con il gesto grafico. 

Scrivere a mano significa innanzitutto avere un maggior controllo delle funzioni cognitive. “La lentezza del gesto grafico – osserva la docente – consente una distensione del pensiero”. L’alunno può dunque controllare e rivedere il proprio pensiero e quanto scrive. Al processo di scrittura (dalla fase di apprendimento alla composizione di veri e propri testi) sono associate capacità di analisi, di sintesi, di logica, di ragionamento e di elaborazione profonda. Imparare a scrivere non è un compito facile. Il bambino deve sviluppare abilità motorie fini che gli permettano di tracciare tratti specifici per ogni singola lettera dell’alfabeto; deve valutare la collocazione di ogni tratto rispetto agli altri e il giusto orientamento; deve imparare e valutare forme e dimensioni. Scrivere è un atto di ragionamento, un’operazione di problem solving

Non stupisca dunque che la scrittura a mano svolga un ruolo importante anche nell’apprendimento della matematica, dai primi numeri scritti fino alle frazioni ed equazioni. Ma non solo. Esistono importanti associazioni tra lettura e scrittura: è stato dimostrato infatti che il gesto grafico può facilitare il riconoscimento delle lettere e in questo modo la lettura delle parole. E ancora disturbi di apprendimento come la dislessia, cioè la difficoltà a leggere correttamente e a comprendere ciò che si legge, sembrano associati spesso anche a problemi di scrittura. 

“Il gesto grafico – continua Cisotto – il gesto di “incidere” un foglio con una penna è un modo per costruire una traccia e mantenerla, favorendo in questo modo anche la memorizzazione”. E sarebbe la componente motoria coinvolta nell’atto della scrittura, come dimostrano studi di neuroimaging, ad avere un ruolo nella memorizzazione delle lettere. Del resto, non è un caso che nelle scuole giapponesi un metodo comunemente usato per aiutare i bambini a ricordare nuovi caratteri logografici sia proprio quello di scriverli ripetutamente a mano.  

Ciò su cui oggi si discute è se vi sia differenza, e a che livello, nell’imparare a scrivere attraverso carta e penna oppure utilizzando strumenti digitali. Secondo Cisotto i due processi non possono essere riportati sullo stesso piano. E in effetti la scrittura a mano è più laboriosa; l’attenzione di chi scrive si concentra su un unico punto, dove l’inchiostro fluisce sulla carta; si utilizza una sola mano mentre l’altra bilancia i movimenti di quella che traccia, con movimenti precisi, la forma di ogni lettera. Quando si scrive a computer invece l’attenzione oscilla continuamente tra la tastiera, dove entrambe le mani sono impegnate, e lo schermo. E i caratteri più che a una forma grafica corrispondono a una posizione. 

Già qualche anno fa Longcamp e il suo gruppo di ricerca attraverso studi di risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che le aree cerebrali attivate durante la scrittura a mano non erano le stesse che venivano attivate durante la scrittura a computer. Nel primo caso infatti era stata osservata una maggiore attività nelle aree cerebrali coinvolte nei processi di esecuzione, immaginazione, osservazione delle azioni. 

La scelta del tipo di scrittura, dunque, che sia a mano o su computer, comporta lo sviluppo di abilità e funzioni cognitive differenti a seconda dei casi. “Gli insegnanti – argomenta Cisotto – raccontano spesso che i ragazzini hanno scarsa concentrazione, poca capacità di analisi e di ragionare in profondità. A fronte di queste carenze, manifestano invece maggiore capacità intuitiva e la tendenza a muoversi in forma associativa e simultanea da un ambito all’altro e da un linguaggio all’altro”. Caratteristiche, queste ultime, collegabili alla scrittura digitale più che a quella tradizionale. Secondo la docente gli studenti possono accedere a testi multimodali, composti cioè da più linguaggi e dunque da parole, immagini, grafici, che inducono l’allievo non allo “scavo” in profondità, ma a spostarsi in orizzontale, in superficie da una parte all’altra. “I ragazzi di oggi – conclude – sono figli dell’immagine e del touch and go”. Con tutte le conseguenze che ne possono derivare anche sul piano dello sviluppo cognitivo.

Monica Panetto

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