CULTURA

La geografia serve a fare la guerra?

The Blue Marble, la prima fotografia della Terra scattata dall’equipaggio dell’Apollo 17 nel dicembre 1972, accoglie il visitatore nella prima sala. Poco più in là, trova posto il Proclama del Re firmato da Vittorio Emanuele III - pubblicato sul Corriere della Sera del 27 maggio 1915 - con il riferimento al concetto di confine naturale che giustificava l’entrata in guerra del Regno d’Italia contro l’Impero Austro-Ungarico: “A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra”. Atlanti, tappeti geografici e mappe raccontano luoghi, definiscono identità, lingue e valori e, caricandosi di simboli, esercitano talvolta un potere aggressivo, diventando vere e proprie carte di guerra: si pensi, per esempio, alla trasformazione de “la Piave” ne “il Piave” con l’articolo maschile attribuito solo nel 1918 con l’obiettivo di offrire maggiore resistenza virile per contrastare il nemico e rassicurare l’immaginario collettivo dopo Caporetto. E ancora, ecco lo studio di Cesare Battisti, eccellente geografo che per primo realizzò un lavoro completo sul Trentino, e le foto d’epoca dei piccioni viaggiatori utilizzati durante la Prima Guerra Mondiale, accuditi dai militari colombofili educatori, in grado di volare ad alta quota e ritornare infine nei luoghi di nascita: nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, lungo la linea italiana, ne furono impiegati non meno di 1.500.

Teatro di guerra del Piave, Sektion 5648/4, particolare, 1918, Österreichisches Staatsarchiv, Kriegsarchiv, Vienna.

“Ora cerchiamo di rispondere alla domanda: La geografia serve a fare la guerra?Certo, perché senza la geografia le guerre non sarebbero nemmeno immaginabili”. Massimo Rossi, curatore della mostra allestita agli spazi Bomben di Treviso (fino al 19 febbraio), frutto di una collaborazione tra Fondazione Benetton studi ricerche e Fabrica, invita a riflettere sulle ragioni di un titolo, precisando: “Chiariamo, innanzitutto, che a fare la guerra è l’uomo il quale, per raggiungere i propri obiettivi, è disposto a utilizzare tutte le discipline disponibili: non solo la geografia ma anche la fisica, la chimica, la geometria, la matematica, la linguistica, la storia, l’antropologia. Tutti i saperi servono a fare la guerra, ma è anche vero che non si può fare la guerra senza la geografia”.

La geografia serve a fare la guerra? Representation of human beings parte dunque da un interrogativo a cui è possibile rispondere solo dopo aver compreso che una carta geografica è uno straordinario mezzo di comunicazione non verbale capace di influenzare l’opinione pubblica, che le nazioni sono costruzioni culturali, che la cartografia è un mezzo per trasmettere l’identità di un Paese. Mappe, atlanti e opere d’arte definiscono un percorso articolato in tre sezioni (Rocce e acque, Segni umani e Carte da guerra) che si concentra sul periodo storico che va dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento; parte da lontano ma invita a riflettere sull’oggi, “per costruire idee e trovare soluzionispiega il curatorePerché questa mostra vuole provare a introdurre anche un’altra geografia possibile, estranea alle logiche militari”. Tenendo a mente le parole dello storico Gaetano Salvemini, secondo cui “non esistono confini politici naturali, perché tutti i confini politici sono artificiali, cioè creati dalla coscienza e dalla volontà dell’uomo”.

Francesca Boccaletto

 

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012