CULTURA

Google books, la biblioteca senza fine

Un paio d'anni fa al Sundance Film Festival e in altre sei o sette grandi vetrine cinematografiche sparse per il mondo è stato proposto con successo un documentario che in seguito, a dispetto dei riconoscimenti ricevuti (dal premio come miglior documentario alla rassegna di Bergen alle numerose nominations, Sundance incluso), non ha avuto la diffusione che ci si sarebbe aspettati. Nonostante un pubblico sempre più vasto, affamato di storie vere ben raccontate, apprezzi oggi, molto più di prima, il cosiddetto “cinema non fiction”, Google and the World Brain – questo il titolo del film – presenta, purtroppo per il regista Ben Lewis e per la casa di produzione Polar Star, un difetto che, come sanno troppo bene i distributori, rari spettatori perdonano, soprattutto quando la vicenda narrata è autentica e recente: manca un finale degno di questo nome.

Al centro del documentario c'è infatti un progetto al quale i media, anche quelli italiani, hanno dedicato a varie riprese grandissima attenzione, ma che da qualche tempo – come ha scritto nei giorni scorsi sul New Yorker Tim Wu – sembra avvolto in una nuvola di grigia indeterminatezza: Google Books. Sono sicuramente pochi, fra i lettori abituali di libri e di giornali, che non ne abbiano sentito parlare, ma vale la pena ripercorrere le fasi più importanti di questa saga travagliatissima e tuttora aperta, anche perché nei dieci anni del suo svolgimento si sono susseguiti scontri e colpi di scena che hanno in un modo o nell'altro coinvolto l'editoria dell'intero pianeta.

Tutto, del resto, si può dire di Google Books, ma nessuno può negare che il progetto sia caratterizzato da un'ambizione smisurata. Non a caso, quando alla fine del 2004 la company fondata da Larry Page e Sergey Brin annunciò la nascita del Google Books Library Project, furono in  tanti a evocare la borgesiana biblioteca di Babele – e come dar loro torto? L'idea di trasferire dalla carta alla Rete tutti i libri mai pubblicati ha un che di follemente ciclopico che incute deferenza, soprattutto alla luce del fatto che alcune tra le più importanti istituzioni bibliotecarie del mondo (per citarne soltanto tre, la Harvard University Library, la Bodleian di Oxford e la New York Public Library) diedero fin dall'inizio la loro adesione convinta. Moltissime altre, non meno prestigiose, seguirono il loro esempio, come testimonia la cronologia all'interno della pagina di Wikipedia dedicata a Google Books: nell'agosto 2006 fu il turno del sistema bibliotecario della University of California, nel settembre dello stesso anno la biblioteca della Universidad Complutense di Madrid segnò l'ingresso del progetto nell'universo di lingua spagnola, nel marzo 2007 fu firmata una partnership tra Google e la biblioteca dell'università di stato della Baviera, tra maggio e luglio venne annunciato un accordo simile con la Boekentoren di Gand e con la giapponese Keio. Il sogno di dare vita a un unico spazio, sia pure virtuale, in cui sarebbero stati raccolti e resi accessibili a un pubblico planetario tutti i libri del mondo sembrava, neanche troppo lentamente, destinato a tradursi in realtà.

Nel novembre 2008 il numero dei volumi digitalizzati da Google e dai suoi vari partner raggiunse i sette milioni. Nel giugno 2010 si superarono i dodici milioni. Due mesi dopo, il 6 agosto, su “PC World” Joab Jackson scrisse che secondo la stima di Leonid Taycher, ingegnere informatico impegnato su Google Books, i libri esistenti, calcolando edizioni diverse dello stesso testo sono (erano) 129.864.880 e che la società di Mountain View prevedeva entro dieci anni, nel 2020, di completare il lavoro di scannerizzazione.

Cinque anni dopo, siamo a quota trenta milioni, ben lontani dal traguardo. Ma tutto sommato un risultato non disprezzabile, se si considera che la Library of Congress, la seconda biblioteca del mondo dopo la British Library, ha trentasette milioni di libri catalogati. Il problema, come ha fatto notare Tim Wu, è che questa enorme quantità di parole non è pienamente accessibile, anzi: “Le ricerche di titoli fuori catalogo producono solo brevi brani di testo e non c'è modo di accedere all'opera completa”. Una vera delusione per Wu e chi, come lui, pensava che Google Books avrebbe offerto “la possibilità di esplorare il testo integrale di milioni di libri e periodici fuori catalogo, magari privi di un vero valore commerciale ma potenzialmente preziosi per il pubblico”.

Il fatto è che la marcia trionfale di Google verso la realizzazione della più grande biblioteca online del mondo e di tutti i tempi è stata accompagnata da una serie di inciampi, non imprevedibili: gli accordi con le diverse biblioteche del mondo si alternano alle cause che hanno visto editori e autori di diversi paesi opporsi al faraonico progetto di Mountain View. Di volta in volta i media hanno registrato successi e sconfitte senza mai arrivare a un punto fermo, definitivo. La questione è in effetti intricatissima, sia per i risvolti economici (fino a che punto è giusto che una società privata, per quanto gigantesca, lucri su opere in moltissimi casi orfane di diritti?) sia per aspetti socio-culturali che riguardano, tra l'altro, la contrapposizione fra lingue dominanti, inglese in primis, e idiomi meno diffusi.

Secondo Wu, da una prospettiva tutta statunitense, “il Congresso Usa dovrebbe consentire a chiunque detenga una biblioteca digitalizzata di pagare un certo prezzo, per esempio centoventicinque milioni di dollari, per ottenere una licenza, aperta a eventuali defezioni, grazie alla quale abbonati istituzionali o individuali avrebbero accesso alle scannerizzazioni e i soldi dovrebbero essere divisi equamente tra i detentori di diritti, editori e autori, che si facciano avanti entro una data scadenza”. Una proposta “brutale”, la definisce il suo stesso autore, che però consentirebbe a noi lettori di “accedere prima di morire alla prima vera biblioteca in rete”.

Se questo accadrà, è impossibile a dirsi. Quello che è certo, è che Google non sta ferma: è dei giorni scorsi la notizia della acquisizione de facto di Oyster, una start-up che, come Netflix per i materiali video, consente – anzi, consentiva – di scaricare libri a fronte di un abbonamento mensile (ne avevamo parlato sul Bo nell'ottobre 2013). Oyster chiude, i manager si uniscono alla squadra di Page & Brin, e qualcuno dice che l'obiettivo è fare concorrenza a Amazon. Mountain View come la nuova Alessandria?

Maria Teresa Carbone

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012