SOCIETÀ

Lavoro giovanile: il dottorato premia di più?

Occupazione giovanile: a livello Ocse solo la Grecia sta peggio di noi. È questo quello che emerge dal rapporto Skills outlook 2015 appena pubblicato e in linea con le conclusioni dell’ultimo rapporto annuale Istat: nel nostro paese il tasso di occupazione dei giovani tra 15 e 29 anni si assestava infatti nel 2013 ad appena il 52,79%: oltre 20 punti percentuali al di sotto della media con gli altri paesi, con una caduta di quasi 12 rispetto al 2009. Nonostante i segnali di cauto ottimismo dati dal ritorno al segno positivo del Pil, per i giovani il nostro Paese sembra continuare ad essere un incubo: infatti il saldo positivo di 88.000 posti di lavoro registrato nel 2014 si concentra soprattutto nelle classi di più anziane, in particolare tra i sottogruppi degli stranieri residenti e delle donne.

Che fare dunque in una situazione del genere? Studiare innanzitutto. L’aver concluso con profitto un percorso scolastico e universitario continua infatti ad essere apprezzato dal mercato del lavoro anche in periodo di crisi. La conferma viene innanzitutto dal confronto dei livelli di reddito: vari sono i fattori che influenzano le possibilità di occupazione e la retribuzione – come gli anni di esperienza lavorativa, la cittadinanza e il sesso – nessuno però decisivo quanto l’istruzione. Nel 2012 i lavoratori maschi laureati del Centro Italia arrivavano in media a guadagnare il 67,9% in più rispetto ai colleghi diplomati, mentre nel Nord e nel Sud il differenziale superava comunque il 50% (rispettivamente al 56,1% e al 51,1%). Viceversa i lavoratori in possesso della sola licenzia media guadagnavano meno rispetto a quelli provvisti di un diploma superiore: -17,8 al Centro, -17,1% al Nord e -13,4% nel Mezzogiorno.

Un titolo di studio superiore offre quindi in media un premio retributivo, anche se questo si riduce notevolmente per le donne, attestandosi su un valore che è meno della metà rispetto a quello dei colleghi maschi. Una situazione confermata anche per le persone che raggiungono il livello massimo di istruzione accademica. Il rapporto Istat 2015 dedica infatti un paragrafo ai risultati della recente indagine sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca che hanno conseguito il titolo nel 2008 e nel 2010. Un gruppo ristretto di circa 22.000 individui, che però può essere considerato una valida cartina tornasole di come venga considerata l’alta formazione nel nostro sistema economico.

In generale, nonostante la crisi, i dottori di ricerca presentano livelli di occupazione molto elevati in tutte le aree disciplinari: a quattro anni dal conseguimento del titolo il 91,5% di loro ha un lavoro, il 93,3% a sei anni, con punte del 97% per le scienze matematiche e informatiche e per l’ingegneria industriale e dell’informazione. Le differenze di genere e territoriali relative al tasso di occupazione inoltre si riducono notevolmente rispetto al totale degli occupati: il gender gap nel 2014 è del 3,3%, mentre lo scarto dell’indicatore tra i residenti del Nord e quelli del Mezzogiorno si attesta al 5,8%. Nel complesso insomma il possesso del titolo di dottore di ricerca costituisce un vantaggio a prescindere dall’area disciplinare, dal genere e dalla ripartizione geografica di residenza.

Quanto alla tipologia contrattuale il 42,4% dei dottori del 2008 e il 32% di quelli del 2010 aveva nel 2014 un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato; per quanto riguarda i lavori a termine, nella maggior parte dei casi si trattava di borsa di studio o assegno di ricerca. L’85,2% dei dottori di ricerca occupati svolgeva una professione appartenente al gruppo delle le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione. Il 73,9% dichiarava di svolgere, in parte o in prevalenza, attività di ricerca e sviluppo. Anche per quanto riguarda il trattamento economico i dati sono superiori alla media: a quattro anni dal conseguimento del titolo i dottori guadagnavano in media 1.633 euro netti al mese, 1.750 dopo sei anni. Le aree disciplinari associate a redditi mediani mensili più elevati (superiori a 1.900 euro per la coorte 2008 e a 1.800 euro per la coorte 2010) continuavano ad essere quelle delle scienze mediche, scienze fisiche, ingegneria industriale e dell’informazione, scienze economiche e statistiche, e scienze giuridiche. Più contenuti, ma superiori a 1.400 euro, erano invece i redditi percepiti dai dottori in scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche e in scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche.

Il prezzo (o l’opportunità) associato al raggiungimento di livelli superiori di occupazione e di reddito è però in parte legato alla ricerca di un lavoro fuori dall’Italia: il 12,9% dottori di ricerca che hanno conseguito il titolo nel 2008 o nel 2010 vive abitualmente all’estero. Un dato quasi doppio rispetto a quello della precedente indagine (7% dei dottori delle coorti 2004 e 2006), accentuato in particolare per gli uomini (16,6% contro 9,6% delle donne). In cima alla lista dei “transfughi” ci sono i dottori nelle scienze fisiche (31,5%) e nelle scienze matematiche o informatiche (22,4%), mentre i paesi che attraggono maggiormente i dottori di nazionalità italiana sono il Regno Unito, gli Stati Uniti (15,7%), la Francia (14,2%), la Germania (11,4%) e la Svizzera (8,9%).

Molti vivono all’estero un periodo formativo in attesa di tornare in Italia; tanti però, oltre l’85%, tengono in considerazione le maggiori opportunità di lavoro, più qualificato e meglio retribuito. All’estero guadagnano infatti 750 euro netti al mese in più rispetto alla media per la coorte del 2008, 830 per la coorte del 2010. Ci sono inoltre più possibilità di trovare un’occupazione nelle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (91,2% contro l’85,2% dei residenti in Italia) e di trovare uno sbocco lavorativo nelle università (nel 47,8% degli occupati residenti all’estero in confronto al 29% di chi vive in Italia) o in enti di ricerca pubblici e privati (20,2 rispetto al 11,9%).

Una laurea e un dottorato di ricerca, e le abilità ad essi connessi, rappresentano dunque ancora un vantaggio competitivo, anche (o forse soprattutto) in un paese come l'Italia, agli ultimi posti a livello OCSE nelle capacità di lettura e abilità matematiche. Attenzione Italia: la concorrenza è forte e altri Paesi premiano i tuoi giovani.

Daniele Mont DArpizio

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