SCIENZA E RICERCA

Api e pesticidi killer: tra divieti e teorie divergenti

Sono indispensabili per l’equilibrio della natura, ma la loro sopravvivenza è messa a dura prova dall’azione dell’uomo, oltre che dalla normale selezione della natura. Negli ultimi anni l’ape è stata oggetto di numerosi studi da parte della comunità scientifica internazionale, preoccupata per un aumento esponenziale della mortalità di questa specie. Gli studiosi convergono su un punto: la colpa principale è da imputare all’uso di un particolare tipo di insetticida, molto diffuso e letale però per l’ape. Anche se le cause dell’esposizione restano ancora incerte con due teorie che divergono tra loro. 

La sostanza chimica, killer delle api, appartiene ai neonicotinoidi, molecole simili alla nicotina con cui condividono l’alta tossicità. Sono utilizzati nei principali e più diffusi pesticidi sistemici per difendere le colture (mais soprattutto) dall’attacco dei parassiti e ora sono sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione europea. La commissione Ue ha infatti da poco deciso la limitazione di questi pesticidi (in particolare quelli contenenti clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid) per evitare che il loro uso possa nuocere ulteriormente alle api. Il divieto d’uso, in Italia già in vigore da tempo con decreti rinnovati di anno in anno, arriverà per quelle colture che, secondo l’Efsa (European food safety authority) pongono maggiori rischi per l’insetto, quali mais, colza, girasole e cotone. 

La questione della mortalità delle api non è però recente e paga i ritardi della politica, come si sostiene nel rapporto di un’altra agenzia europea, quella per l’Ambiente, in cui si cita l’origine del problema a partire dal 1994 con la diffusione di un pesticida prodotto dalla Bayer, il Gaucho. Sta di fatto che negli ultimi dieci anni, la riduzione delle api tra Stati Uniti, Europa e Giappone ha toccato quote importanti, pari al 40-60% delle colonie. 

È il metodo di contaminazione a dividere gli esperti. La teoria più accreditata in Europa lega la moria delle api all’emissione dei particolati solidi dei semi conciati con il pesticida che poi ricadono sulla vegetazione dei campi circostanti, inquinando i fiori su cui si posano le api. La contaminazione avverrebbe attraverso il metodo della semina pneumatica, strumento per posizionare il seme con precisione a terra ma che genera una nube d’aria, piena di pesticida residuo a concentrazioni altissime. L’insetticida, attraverso la nube, si deposita poi sulla vegetazione limitrofa, avvelenando le api con esposizioni successive a dosi subletali. Questo spiegherebbe la bassa concentrazione di neonicotinoide nelle api e contribuirebbe, comunque, ad alimentare la sindrome dello spopolamento degli alveari o Cdc (Colony collapse disorder). 

Ma un gruppo di ricerca padovano da anni si occupa dell’argomento. Il professor Vincenzo Girolami (dipartimento di Agronomia dell’università di Padova) aveva infatti sostenuto che le api “volino direttamente attraverso la nube di veleno provocata dalla semina pneumatica”, altrimenti non si spiegherebbe “l’alta concentrazione d’insetti morti trovata a pochi metri dagli alveari”, in contrasto con la sindrome di disorientamento causata dalle basse dosi di insetticida. La spiegazione sarebbe più semplice: le api attraversano i campi durante la semina per raggiungere le aree limitrofe dove sono presenti fiori o alberi, come il tarassaco, i ciliegi o la colza, da cui trarre il polline. Più difficile spiegare le basse dosi di veleno trovare su queste api: “Le analisi su questi insetti vengono effettuate dopo molte ore dal loro rinvenimento - spiega Girolami - in questo lasso di tempo l’azione della rugiada laverebbe l’ape, diminuendo di molto la presenza delle molecole di pesticida”. 

 

La nuvola creata durante la semina del mais conciato e carica di pesticida

Se la causa reale della decimazione delle api fosse proprio la nuvola creata dalla seminatrice pneumatica e non la ricaduta delle sostanze tossiche sulla vegetazione circostante, “la mortalità di questo insetto si potrebbe evitare facilmente”. L’ipotesi di Girolami e del suo collega Andrea Tapparo (dipartimento di Scienze chimiche) non viene però accettata dal resto del mondo scientifico “perché - sostiene lo stesso Girolami - intacca anche le posizioni delle multinazionali che perderebbero la possibilità di conciare i semi con il pesticida ”. Obiezione, quella delle pressioni da parte delle lobby, che trova terreno fertile nei dubbi espressi dall’agenzia per l’Ambiente Ue nel suo ultimo rapporto

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