SOCIETÀ

Storie di api, miele ed esseri umani

Perché desideriamo proteggere gli insetti impollinatori? Uno studio dell'Università di Padova, recentemente pubblicato su People and Nature, evidenzia come la percezione di un obbligo morale porti a voler difendere le specie impollinatrici. Api da miele, mosche, farfalle, coleotteri rivestono un ruolo determinante per la sopravvivenza degli ecosistemi, eppure sono in declino: negli ultimi anni l'attenzione verso gli impollinatori è cresciuta insieme a una rinnovata consapevolezza e un interesse attivo per la loro conservazione. La ricerca Willingness of rural and urban citizens to undertake pollinator conservation actions across three contrasting European countries è stata condotta da un gruppo di ricercatori dei dipartimenti Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali, ambiente (Dafnae) e Territorio, sistemi agro-forestali (Tesaf), in collaborazione con l'ateneo olandese di Wageningen e quello tedesco di Wuerzburg. 

Poco più di 4500 gli intervistati da Italia (in particolare, dalla Pianura Padana), Olanda e Germania, provenienti da un ambiente agrario o da un territorio urbano. Un obiettivo: capire da cosa dipenda il desiderio di aiutare gli insetti impollinatori. La ricerca ha preso in considerazione zone urbane, con una densità di almeno 1500 abitanti per chilometro quadrato e una popolazione superiore ai 50mila abitanti, e zone rurali contraddistinte da una densità di popolazione inferiore ai 300 abitanti per chilometro quadrato e un contesto agrario intensivo. I risultati ci dicono che l’impegno dei singoli nella conservazione non dipende da nazionalità, età, livello di istruzione, genere o dalla circostanza di vivere in aree urbane o rurali: queste persone sembrano essere guidate dagli stessi fattori socio-psicologici nel quadro di un desiderio di conservazione degli insetti impollinatori. L’obbligo morale di protezione si attiva quando si prende consapevolezza del loro ruolo negli ecosistemi, arrivando a percepire una responsabilità rispetto alla loro diminuzione.

Lo studio propone, infine, una serie di azioni concrete per iniziare a prendersi cura degli insetti impollinatori: solo per citarne alcune, il sostegno delle politiche nazionali, regionali o comunali e delle petizioni che prevedono la protezione degli impollinatori, le donazioni a organizzazioni che si occupano di salvaguardia, l’acquisto di prodotti da agricoltura con un uso limitato di fitofarmaci, la ricerca di una informazione corretta e puntuale e l’installazione in giardino o in balcone di un hotel per le api selvatiche, ovvero una casetta in legno con fori di varie dimensioni che possa offrire un riparo agli insetti. 

Eravamo in grado di valutare tutto in barattoli di miele. Quanto miele ci vuole per fare una maglietta? E per fare un’automobile? E per fare una casa? Era l’unità di misura di questo nostro mondo Gelsomina ne "Le meraviglie" di Alice Rohrwacher

L'arcipelago delle api

“Perché guardiamo gli animali?”, si chiedeva John Berger in un testo degli anni Settanta, raccontando poi che “da principio gli animali entrarono nell’immaginario dell’uomo come messaggeri e come promesse”. Ma quale messaggio e quale promessa ci portano, oggi, le api? Difficile dare una risposta ottimistica. Il filosofo Baptiste Morizot lo dice chiaramente: le api sono segnali di allarme, poiché hanno una sensibilità unica agli input ambientali che le trasforma in sentinelle ecologiche, in grado “di rendere visibili gli attacchi invisibili all’intero tessuto della vita” [Da L'arcipelago delle api, pubblicato da Wetlands, casa editrice dedicata ai temi della sostenibilità sociale e ambientale].

Microcosmi lagunari nell’era della crisi climatica. Il sottotitolo del libro di Chiara Spadaro, geografa e ora assegnista di ricerca all'ateneo di Padova con il progetto Making food democracy, rivela subito il territorio di indagine, quello veneziano, e le intenzioni dell'autrice: evidenziare le conseguenze ambientali e umane, spesso irreversibili, che la riduzione degli insetti impollinatori comporta, fotografare le metamorfosi del paesaggio e l’impatto delle attività antropiche per ripensare la nostra relazione con l’ambiente e l’importanza di alleanze intra e interspecie. L’abbiamo intervistata. 

Cosa rappresentano le api per gli esseri umani?

“Tutti noi abbiamo avuto esperienze di contatto con le api, alcune volte possiamo averne paura perché temiamo di essere punti o sappiamo di essere allergici, ma in realtà nella maggior parte dei casi la presenza delle api è collegata a una narrazione positiva, storicamente è sempre stato così: sappiamo che questi animali sono fondamentali per la biodiversità, per la nostra stessa vita, e sono portatrici di nutrimento attraverso la produzione del miele, alimento prezioso, sano. Con la mia ricerca volevo riflettere sulle modalità con cui l'essere umano si è avvicinato alle api nel corso della storia, partendo da un'ottica predatoria con obiettivi di profitto per poi concentrarmi sulle nuove storie di apicoltrici e apicoltori con un approccio diverso: persone che credono nel dialogo tra specie e con un atteggiamento meno estrattivista”.

A tal proposito, nel libro, fai riferimento alle persone impollinatrici, chi sono?

“Ho ripreso una espressione utilizzata da Rebecca Ellis, una geografa che ha avviato degli studi sull’apicoltura in Canada e che parla proprio di pollinator people, la cui identità è costruita attorno alla relazione con questi animali e che, a loro volta, impollinano la comunità trasmettendo la loro sensibilità e una vicinanza con le api che si basa su una relazione tra pari. Non sono, dunque, solo apicoltrici e apicoltori, sono esseri umani virtuosi capaci di trasmettere un messaggio e un nuovo approccio all'apicoltura”.

In questa ricognizione viene data importanza al sonoro della presenza animale, cosa si intende per narrative plurivocali?

“Grazie a questa ricerca ho iniziato ad allargare i miei studi interessandomi al tema dei paesaggi sonori: faccio parte  dell'Associazione italiana di Storia orale, che lavora con le voci delle persone e le loro storie di vita, ma ora sto cercando di ampliare la mia indagine spostandomi dalla voce umana ad altri suoni ambientali. Sono suoni che normalmente non rientrano nelle interviste e vengono esclusi da un podcast, possono essere considerati fastidiosi ma in realtà ci dicono molto dell'ambiente circostante. Quindi, nel caso del libro, la plurivocalità si realizza nell’incontro tra esperienze umane e linguaggi animali. Esiste sempre più letteratura sull’argomento e oggi ci si interroga su approcci e modalità di ascolto dei linguaggi di altri esseri viventi, non umani, prestando più cura e attenzione alla relazione”.

Nel quadro di relazione e cura si inserisce anche il tema della gestione dell'acqua, fondamentale per la sopravvivenza delle api.

“Le api hanno sete e noi possiamo essere dei validi aiutanti nel garantire loro l'acqua. Lo fa anche Rosanna di Lio Piccolo, la cui storia è raccontata nel libro, che custodisce api di altri. Nel momento in cui si è accorta che le api cercavano l'acqua, andando sotto le fontanelle del suo giardino, ha predisposto una serie di semplici dispositivi: ha sistemato ciotole piene d'acqua con sassi, per permettere all'ape di bere e appoggiarsi senza annegare, e ha lasciato gocciolare piano piano il rubinetto in giardino. Sono piccoli gesti replicabili, che possiamo fare anche noi, e sono fondamentali in un mondo che ha sempre più sete”.

Le cosiddette buone pratiche da mettere in atto nella propria quotidianità.

"Sì, oltre a seminare fiori graditi alle api esistono anche azioni utili nella gestione dell'acqua, per le api è essenziale. Ma cerchiamo di non cadere nella retorica, che andrebbe invece smontata, dell'essere amici delle api. Mi piace il termine scelto da Paolo Fontana, apicoltore e divulgatore scientifico: parla di bee washing, il green washing applicato alle api, perché sono sempre di più i progetti 'amici delle api' che in realtà di biodiverso hanno veramente poco. Per capirci, biscotti della grande distribuzione prodotti su scala industriale e con dinamiche impattanti sull'ambiente che, però, mettono il logo delle api sulla confezione. Questo è uno dei tanti esempi di una retorica che si è costruita nel tempo. Se da un lato è stata fatta molta sensibilizzazione sull'importanza delle api per la nostra esistenza, dall'altro emerge un'altra storia parlando con apicoltrici e apicoltori: la situazione è critica ed è legata al declino costante delle api e alla carenza di miele. Probabilmente, in futuro, non mangeremo più il miele a cui siamo abituati oggi, ne verranno introdotti altri tipi”. 

Le sue arnie producevano miele a volontà anche se si trovavano in pieno centro. Questo lo aveva spinto a guardare Parigi con occhi diversi e ad accorgersi che c’erano fiori e piante dappertutto. Per un’ape, la città è natura Martin Page, "L’apicoltura secondo Beckett"

La storia sembra confermare il legame tra api e territorio veneziano: nell'Ottocento a Dolo si stabilì Hruschka, l'inventore dello smielatore, strumento che ha posto le basi per l'apicoltura moderna. Ma l'ambiente lagunare si presta davvero all'apicoltura?

“Effettivamente è difficile fare apicoltura in laguna e, più in generale, nei territori acquatici: banalmente perché le api vanno spostate e farlo in barca è molto complicato, anche solo questo basta a scoraggiare. Però l'apicoltura in laguna si fa da tantissimo tempo, come dimostrano le storie dei barenanti che, anche in passato, portavano le arnie vicino alla barene per fare il miele. E qui vi è un intreccio tra storie antiche e nuove: negli anni Trenta del secolo scorso i fratelli Gottardo, che vivevano in provincia di Padova, possedevano delle arnie a Chioggia e ci arrivavano partendo in bicicletta e poi usando la barca fino alle barene. E penso, oggi, alle sorelle Paternoster: con la loro apicoltura Thun, hanno scelto di accettare la sfida di fare il miele in laguna per realizzare il progetto che il padre aveva abbandonato a causa delle difficoltà logistiche”.

Quali sono le caratteristiche del miele di barena?

“Il miele di barena è un caso interessantissimo che permette di parlare della trasformazione del paesaggio lagunare, di come si stia riducendo la biodiversità in laguna a partire proprio dalla barene, con una ricca vegetazione di fiori di Limonium, di cui le api sono ghiotte, che nel tempo si è impoverita per effetto del cambiamento climatico, della salinizzazione dei terreni, dell’erosione a causa del moto ondoso. D'altra parte il miele di barena è un prodotto pregiato, raro, dal gusto particolare, salino, ed è diventato celebre nella ristorazione gourmet di alta qualità: si è creato perciò un paradosso, oggi si può fare sempre meno miele, non ci sono abbastanza fioriture per le api, ma è cresciuta la richiesta. Si tratta di una contraddizione insita nella società dei consumi: noi ci mettiamo al centro senza considerare le dinamiche ambientali che stanno dietro a quello che mangiamo. Per questa ragione ci sono sempre più apicoltori interessati a fare miele di barena e negli ultimi tempi si è verificato un affollamento di alveari in barena, altro effetto negativo di questa storia”.

Uno sguardo al futuro: nell'era dei cambiamenti climatici l'apicoltura va dunque ripensata?

“Dovrebbero rispondere le apicoltrici e gli apicoltori, io non sono la persona più competente, ma credo che sia fondamentale fare rete: nel 2022 Slow Food ha creato la comunità del Miele di barena delle Lagune venete. Il dialogo è fondamentale. Qualcuno invece ha fatto scelte radicali: Ilaria di Lio Piccolo ha deciso di abbandonare l’apicoltura perché ritiene che si sia rotto un equilibrio”.

Nella relazione tra agricoltura e apicoltura quanto pesa l'uso di pesticidi?

“I pesticidi impattano tantissimo, negativamente, sulla morìa delle api. Me ne occupo marginalmente nel libro ma è una questione centrale. Il movimento nazionale Rete api urbane sta dimostrando che fare miele in città può essere una valida alternativa all’apicoltura di campagna, dove i pesticidi sono più presenti. A Marghera, luogo noto per essere molto inquinato, più precisamente nella parrocchia della Cita, viene prodotto un miele molto sano proprio perché quella non è una zona di grandi coltivazioni”.


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