SOCIETÀ

Il mondo in un chicco di grano

Sul nostro pianeta esistono circa 400.000 specie vegetali conosciute. Di queste circa la metà sono commestibili, mentre solo 200 rientrano stabilmente nella nostra alimentazione e appena tre colture cerealicole – mais, riso e frumento – garantiscono tra il 50 e il 60% dell’apporto calorico necessario alla popolazione mondiale. Il grano nutre miliardi di esseri umani e lo fa ovunque, anche se non cresce ovunque è dappertutto. Per questo i mercati globali del grano sono una chiave fondamentale per la sicurezza alimentare mondiale.

Come e quando però il frumento – una delle coltivazioni più antiche, parte da millenni della nostra cultura e sacralizzata addirittura dalla religione – è diventato una commodity? Come ha fatto un bene a lungo considerato scarso, deperibile e difficile da trasportare a trasformarsi in una merce fungibile, immagazzinabile e standardizzato, scambiato in quantità immense nei mercati finanziari da una manciata di colossi globali? A queste e ad altre domande tenta di rispondere il libro Pane quotidiano. L’invisibile mercato mondiale del grano tra XIX e XX secolo (Donzelli, 2024), finalista al Premio Friuli Storia 2025, dello storico Carlo Fumian, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Padova. 

Dalle tecniche di produzione e di scambio dell’ancien régime fino allo scoppio della prima guerra mondiale, passando per la fondazione nel 1848 del Chicago Board of Trade, Pane quotidiano racconta attraverso innovazioni agricole, telegrafi e ferrovie la rivoluzione che ha reso possibile nutrire miliardi di esseri umani, abbattendo penurie e carestie e creando nel frattempo un sistema di mercato talmente potente da sostenere (o distruggere) intere economie. Il libro di Fumian si inserisce in un più ampio programma di ricerca sviluppato nell’ambito dei “progetti di eccellenza” della Fondazione Cariparo, da cui nasce anche il volume collettivo The History of the Global Wheat Trade, curato insieme a Marco Bertilorenzi e Giovanni Gozzini e pubblicato nel 2024 da Routledge, che affronta molti degli stessi temi in chiave internazionale e comparatistica. 

“Ho iniziato a interessarmi dell’argomento anni fa, incrociando durante le mie ricerche le grandi commodities della prima globalizzazione di fine Ottocento, come la gomma, il petrolio, il cotone e, appunto, il grano – spiega Fumian a Il Bo Live –. Non si tratta di beni di lusso come spezie o porcellane, un tempo fulcro del commercio mondiale, ma di prodotti di valore piuttosto basso per unità di misura, ma trasportabili, immagazzinabili e vendibili in grandi quantità. Caratteristiche in base alle quali il grano in particolare è diventato il pilastro dell’alimentazione moderna, assumendo un ruolo egemonico proprio in coincidenza con l’impennata della popolazione mondiale e della speranza di vita. Il mio non è però un saggio di storia agraria, né una ricostruzione puramente economico-quantitativa: quello che mi interessava era dare un volto agli attori di questa trasformazione”. 

Nel libro emerge come il commercio internazionale abbia contribuito in maniera determinante a porre le basi della modernità. 

“Proprio così. Nell’ancien régime le transazioni erano frammentate, ostacolate da dazi e soprattutto dominate da una drammatica mancanza di notizie. Al contrario il segreto dei mercati moderni sta proprio nell’informazione: disponibilità e prezzo diventano accessibili, anche se per pochi. Già a fine Ottocento alcune compagnie private riescono a raccogliere dati su raccolti, meteo e trasporti in maniera più efficace degli stessi governi: Dan Morgan scrive di vere e proprio ‘agenzie di stampa private che non hanno mai pubblicato una parola’. Nasce così una nuova razionalità economica, capace di gestire enormi quantità di merci attraverso borse, futures e derivati, anticipando di decenni la globalizzazione come la conosciamo oggi”.

Quali sono stati i principali punti di svolta?

“Il primo è senz’altro l’abolizione delle protezionistiche Corn Laws in Inghilterra, negli anni Quaranta dell’Ottocento: un passaggio decisivo verso il libero commercio dei cereali. Poi arriva la Guerra civile americana a segnare un cambiamento cruciale: il cotone, fino ad allora al centro delle esportazioni statunitesi, cede il passo al grano. Da lì in poi tutto si trasforma attorno a questo nuovo baricentro. È in quei decenni – diciamo fino alla Prima guerra mondiale – che si forma il sistema. Certo, anche dopo il mondo continuerà a cambiare tra evoluzioni e crisi: basti pensare al caso emblematico della great grain robbery, la gigantesca vendita di grano da parte degli Stati Uniti all’Unione Sovietica nel 1972, che causa un aumento dei prezzi in tutto il mondo. L’impianto resta però sorprendentemente simile, con poche grandi compagnie private nel ruolo di protagoniste”.

Che nel frattempo diventano gigantesche multinazionali…

“Molte però – Cargill ad esempio – sono ancora oggi in mano a poche famiglie, con limitati obblighi di trasparenza. Nel tempo inoltre queste compagnie non si sono limitate al grano ma si sono trasformate in colossi dell’agroindustria, concentrandosi sui semilavorati e facendo ricerca, in modo da integrare verticalmente ogni fase del ciclo produttivo in un mix di ingegneria, biologia e logistica. Ecco, un’altra caratteristica di questi cambiamenti è che si verificano soprattutto negli Stati Uniti, al crocevia tra telegrafo, ferrovie e nuovi sistemi di immagazzinamento e di catalogazione (grading), accompagnati dal balzo di strumenti finanziari e mercati a termine”.

Intanto oggi nel mondo si torna a parlare di protezionismo e guerre commerciali. 

“Ogni volta che si adottano politiche ispirate a un mercantilismo rozzo e nazionalista si fa un passo indietro. Il protezionismo, da un punto di vista storico, è un’autostrada verso la guerra: vale in particolare per il grano e per tutte le grandi commodities. D’altro canto negli anni il sistema ha dimostrato una certa solidità; prendiamo il caso dell’Ucraina: con l’invasione russa, nel febbraio 2022, ci fu un’allerta immediata perché entrambi i Paesi sono tra i principali esportatori mondiali di cereali. Si temevano crisi gravi, magari con una nuova ondata di rivolte nel Nord Africa come durante le primavere arabe (il cui fattore scatenante fu proprio un aumento del prezzo del pane, ndr). Il picco invece non c’è stato e il mercato mondiale ha assorbito il colpo; anche perché, a partire proprio dalla fine dell’Ottocento, ha superato la stagionalità: oggi ci sono grandi riserve e soprattutto ci si può rifornire da ogni parte del mondo. È la dimostrazione che il sistema – per quanto talvolta opaco – tutto sommato ha funzionato”.

Eppure questi mercati non sono certo immacolati.

“Certamente no: non ci sono anime candide e molte queste grandi compagnie sono state ad esempio accusate di aver manipolato i prezzi, formando cartelli oligopolistici. Quello che colpisce è piuttosto il tasso d’innovazione, la creatività insita nel sistema. Una parte della storia del capitalismo spesso misconosciuta o ignorata. Si parla spesso di rivoluzione industriale, immaginando forse che i beni, una volta prodotti, si vendano quasi magicamente da soli; in realtà non è così: c’è stata anche una rivoluzione commerciale che ha reso possibile la distribuzione globale di beni alimentari combinando reti informative e finanziarie, tecnologia e logistica. Nasce anche da lì la modernità in cui viviamo”.

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