SCIENZA E RICERCA

Il costo energetico della gravidanza

La gravidanza è forse il periodo più romanticizzato dell’esperienza di maternità. L’attesa, l’emozione, la pancia che cresce, il corpo che cambia…

Proprio sul corpo che cambia bisogna concentrarsi: la gravidanza è un processo biologico estremamente complesso, in cui il corpo femminile affronta mutamenti radicali per poter ospitare al proprio interno un altro organismo in fase di sviluppo. E di romantico vi è ben poco: nei mammiferi, l’insieme di madre e feto è considerato alla stregua di un unico nuovo organismo – la “gravida” – e il feto che si sviluppa all’interno del corpo materno può essere assimilato, per alcuni aspetti, a un simbionte parassita.

Per la madre, infatti, portare avanti una gravidanza ha costi notevoli: non solo in termini di vestiti più larghi, culle e pannolini da acquistare, ma soprattutto in termini metabolici. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Science, e realizzato da un gruppo di biologi dell’università di Monash, in Australia, ha provato a quantificare in modo preciso il costo energetico di una gravidanza analizzando i dati disponibili per 81 specie di animali molto varie per stazza, tipo di metabolismo (endotermia o ectotermia) e modalità di riproduzione (oviparità o viviparità).

I costi energetici indiretti sono stati calcolati moltiplicando l’aumento del tasso dell’attività metabolica della madre durante la gestazione per la durata totale della gravidanza. Il costo diretto, invece, è costituito dal contenuto energetico totale della prole, stimato come il prodotto della massa della prole stessa per la densità energetica media del tessuto del piccolo.

I risultati dello studio sono stati sorprendenti, come ha affermato in un’intervista al New York Times Dustin Marshall, autore senior della ricerca. Prima d’ora, un calcolo quantitativo così accurato sul dispendio energetico richiesto alle femmine per l’atto riproduttivo non era mai stato condotto. Le ipotesi più accreditate, tuttavia, supponevano che gran parte dell’energia spesa si accumulasse nel feto in crescita, e che i costi indiretti (cioè quelli necessari a mantenere in funzione il metabolismo della madre) fossero relativamente bassi.

La ricerca dei biologi australiani ha dimostrato proprio il contrario: in gran parte delle specie considerate, i costi energetici indiretti sono superiori a quelli diretti. In altre parole, durante la gravidanza costa più mantenere regolarmente funzionante il proprio metabolismo, il cui fabbisogno energetico aumenta in modo considerevole, che supportare direttamente lo sviluppo del feto. Questo sbilanciamento si verifica soprattutto negli organismi vivipari, cioè quelli in cui la prole si sviluppa all’interno del corpo materno (mentre gli ovipari sono gli animali che depongono le uova, non contribuendo direttamente al fabbisogno metabolico del feto durante tutto il processo di sviluppo).

I costi energetici della riproduzione variano anche a seconda del tipo di metabolismo della specie considerata: negli ectotermi (comunemente noti come “animali a sangue freddo”, cioè quegli animali che non mantengono una temperatura corporea interna costante) il metabolismo richiede, in generale, un dispendio energetico minore, carattere che rimane immutato anche nel caso di una gravidanza; allo stesso modo, intuitivamente, la riproduzione vivipara è più costosa rispetto a quella ovipara.

I mammiferi, che nella quantificazione svettano come la classe animale in cui la gravidanza è più dispendiosa dal punto di vista energetico, rientrano in entrambe le categorie: sono endotermi e vivipari, e questo – secondo i ricercatori – potrebbe spiegare perché i costi indiretti della gravidanza siano circa nove volte maggiori rispetto a quelli diretti, raggiungendo in media ben il 95% del dispendio totale di energia della madre. Tra i mammiferi, poi, vi è una ulteriore differenziazione: animali più piccoli, come il pipistrello vespertilio bruno (Myotis lucifugus) è risultato il più ‘economico’ (circa il 75% dei costi energetici sono indiretti), mentre gli umani si situano all’estremità superiore del range di variabilità, con ben il 96% del dispendio energetico assorbito dai costi metabolici indiretti.

Insomma, nei mammiferi la gravidanza è costosissima: «Includendo nell’equazione i costi indiretti, abbiamo rivelati che i mammiferi spendono più del triplo dell’energia riproduttiva totale degli ectotermi ovipari e più del doppio degli ectotermi vivipari. Non tenere in conto i costi indiretti porta dunque a sottostimare fortemente l’energia totale spesa per la riproduzione, e questo è tanto più vero per i mammiferi», precisano gli autori dello studio.

Secondo i ricercatori, il costo così alto pagato dalle madri mammifere potrebbe spiegare anche un altro tratto caratteristico delle specie appartenenti a questa classe: la loro storia di vita unica, caratterizzata in particolare dalle cure parentali molto più intense che nella maggior parte degli altri animali, potrebbe essersi sviluppata in stretta correlazione con l’alto costo della strategia riproduttiva. Come spiegano i ricercatori nell’articolo, «Poiché le madri di mammifero spendono molte più energie per la gestazione della prole, la selezione volta a garantire la sopravvivenza di questa prole dovrebbe essere più forte e potrebbe spiegare in parte la maggiore intensità delle cure post partum nei mammiferi rispetto ad altri gruppi». Abbandonare la prole a sé stessa o rinunciare a curare parte della nidiata potrebbero essere strategie infruttuose per i mammiferi, visto il grande investimento energetico iniziale. Alla luce delle proprie scoperte, gli autori si spingono a ipotizzare che il costo dell’atto riproduttivo, finora così ampiamente sottostimato, sia tale da aver potenzialmente costituito un fattore essenziale nel plasmare l’evoluzione delle traiettorie di sviluppo ontogenetico dei metazoi, come suggerisce l’analisi delle diverse strategie riproduttive pre e post partum.

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