SCIENZA E RICERCA

Sonda Kepler, la scopritrice di pianeti

La storia di Kepler, la prima sonda ad avventurarsi alla scoperta di pianeti esterni al sistema solare, ha origini molto lontane nel tempo: è iniziata nel diciassettesimo secolo, con l’ascesa e le scoperte dell’astronomo Joannes Kepler, famoso per aver formulato tre leggi che descrivono i moti dei pianeti e da cui il veicolo spaziale ha preso il nome. Proprio come lo studioso tedesco che rivoluzionò la scienza, anche la sonda è stata progettata e lanciata dalla Nasa per compiere grandi imprese, diventando pioniera nella raccolta dei primi dati sugli oggetti extrasolari.

Tuttavia, la realizzazione di Kepler è stata tutt’altro che semplice, ed ha richiesto molti anni e tanta perseveranza da parte degli ingegneri spaziali che hanno lavorato per progettarlo. Il suo principale artefice è stato William Boruchi, fisico particolarmente interessato all’esplorazione degli esopianeti, approdato alla Nasa alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso: l’idea di Boruchi era quella di scovare i corpi extrasolari misurando la diminuzione di luminosità di una stella a causa del passaggio di un pianeta. Ciò consentiva di individuare anche pianeti più piccoli e di massa simile alla Terra. Questo approccio, però, presentava non poche difficoltà, che Boruchi ha cercato di superare proponendo di controllare simultaneamente un elevato numero di stelle, così da rendere più probabile l’individuazione di queste variazioni luminose e dunque di eventuali pianeti.

Nel 1984, lo studioso ha presentato alla Nasa per la prima volta l’idea di un telescopio per l’esplorazione extrasolare basato su questo metodo: inizialmente, la proposta è apparsa folle all’agenzia spaziale statunitense, ed è stata accolta da un generale scetticismo. Tuttavia, Boruchi e il suo team non si sono fermati qui: per dimostrare l’efficacia del telescopio, il vice ricercatore David Koch ha realizzato un esperimento. Ha praticato dei fori in una lastra di metallo, e l’ha illuminata da dietro per creare un campo di stelle artificiali. Sui fori ha teso un filo di ferro, attraverso il quale ha fatto passare corrente elettrica; quest’ultima ha riscaldato il filo che si è espanso leggermente, simulando un pianeta simile alla Terra che ruota attorno ad una stella paragonabile al Sole.

L’esperimento dimostrava che la tecnica di realizzazione e di funzionamento del telescopio era giusta, almeno sulla carta. Tuttavia, sono trascorsi decenni e altri rifiuti della Nasa di appoggiare un’idea così ambiziosa prima che la missione di Kepler potesse partire: alla fine, è stata lanciata nel marzo 2009 ed i suoi risultati hanno reso possibile un notevole ampliamento delle conoscenze sullo spazio al di là del sistema solare; ancora oggi, infatti, la sonda è considerata lo strumento più prolifico della nasa. I dati che ha acquisito sono impressionanti: per distinguere con maggiore semplicità la luce di ogni singola stella, la missione si è soffermata sull’osservazione in contemporanea di un numero ben definito e non troppo elevato di stelle; questa modalità ha permesso di rilevare circa 1.300 possibili pianeti in zone dell’niverso mai esplorate prima.

In Hidden In The Heavens, libro scritto da Jason Steffen, scienziato che si è unito alla missione un anno prima del suo lancio, sono riportate tutte le tappe che l’hanno portata al successo, e si mette in luce l’enorme importanza dei risultati che ha consentito di ottenere.

Kepler, infatti, non ha individuato solo migliaia di pianeti orbitanti attorno a stelle lontane, ma anche una sconcertante varietà di altri corpi celesti e giganti gassosi diverse volte più grandi di Giove. Ciò ha mutato alcune convinzioni degli studiosi sull’Universo e ha consentito di trarre delle conclusioni che, solo pochi anni prima, sarebbero parse soltanto frutto di fantascienza. Gli esopianeti osservati da Kepler apparivano diversi da ogni altro pianeta del nostro sistema solare: erano molto vicini alle loro stelle, perciò la loro orbita durava soltanto alcuni giorni, e le loro dimensioni apparivano peculiari e mai rilevate prima.

Steffen sottolinea anche come il rafforzamento del senso di squadra di coloro che lavoravano alla missione sia stato fondamentale per il suo successo: durante la lunga fase di sviluppo, infatti, si tendeva a salvaguardare eccessivamente i dati, e a pochi veniva data la possibilità di accedervi e monitorarli; in questo modo, alcuni studiosi erano sommersi di cose da fare, mentre altri si sentivano inutili e poco partecipi. È stato lo stesso Steffen a trovare la soluzione al problema: ha consentito a tutti l’accesso ai dati, distribuendo più equamente il carico di lavoro e consolidando il team per il futuro della missione.

Lo straordinario lavoro di Kepler al di là del Sole ha comportato ovviamente dei rischi, che il team ha saputo fronteggiare abilmente e con efficacia. Inizialmente, ad esempio, le immagini che Kepler rilevava apparivano sfocate, perciò bisognava decidere se fare qualcosa per affinare la sua capacità di messa a fuoco. La scelta non era facile, poiché modificare qualsiasi parte del telescopio poteva comprometterlo e provocare un fallimento della missione: se gli scienziati non avessero fatto nulla, Kepler avrebbe individuato i pianeti più grandi, mancando quelli minori; se, invece, avessero proceduto alle modifiche, le conseguenze avrebbero potuto essere inattese e imprevedibili. Tuttavia, gli studiosi si sono assunti il rischio, e il loro coraggio è stato ben ripagato: con le modifiche apportate, infatti, le immagini di Kepler sono diventate più nitide, consentendo la rilevazione di ulteriori importanti dettagli.

Kepler ha funzionato bene fino al 2013, quando due delle quattro ruote che controllavano il posizionamento del telescopio si sono guastate. Anche in questo caso, il team ha provveduto in modo tempestivo e provvidenziale a riequilibrarlo. L’intervento ha ridato vita al telescopio, che ha intrapreso una nuova missione con il nome di K2. Questa seconda fase è proseguita per altri cinque anni, fino al 15 novembre 2018, quando il telescopio ha smesso ufficialmente di funzionare a causa dell’esaurirsi del carburante che lo alimentava.

Le scoperte di Kepler, come quelle dell’astronomo da cui ha preso il nome, continuano ancora oggi ad essere ricordate: il grande successo della missione e i dati che ha consentito di acquisire lo rendono lo strumento più efficace e prolifico progettato fin ora dalla Nasa. Infatti, il telescopio ha consentito di individuare altri pianeti simili alla Terra e contenenti acqua, condizione essenziale per lo sviluppo della vita. Tuttavia, occorreranno ulteriori missioni per confermare o smentire l’ipotesi della presenza di altre forme viventi su pianeti tanto lontani dal nostro.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012