SOCIETÀ

La Luna, la missione Artemis III e l'ombra della Cina

E se gli Stati Uniti rischiassero di perdere la loro seconda corsa alla Luna? Sono passati 60 anni dall’ultima volta che un essere umano ha messo piede sul nostro satellite naturale e l’attenzione – tecnologica e politica – su quel pezzo di regolite rimane altissimo. Sotto la lente di ingrandimento è il più ambizioso programma spaziale degli ultimi anni targato NASA: Artemis, la cui tabella di marcia ha già subìto numerosi intoppi e che – ora – rischia di averne di ulteriori. In mezzo, c’è la fretta (mai foriera di ottimi risultati quando si parla di spazio) e un nuovo contendente al posto dell’Unione Sovietica: la Cina pronta a portare un suo primo astronauta prima del 2030. 

Un calendario molto serrato

E gli Stati Uniti? Il programma Artemis, sulla carta, non è cambiato in questi ultimi mesi: la finestra per riportare l’essere umano sulla Luna rimane quella del 2027 con la missione Artemis III, ma si stanno addensando parecchie ombre sulla fattibilità di una tempistica che prevede, tra due anni, il primo allunaggio dopo l’ultima passeggiata, del 1972, di Eugene Cernan, comandante dell’Apollo 17.

Ma serve un passo indietro per capire bene il contesto raccontato: la prima missione del programma Artemis, che aveva lo scopo di dimostrare la usabilità del nuovo razzo lanciatore SLS e della altrettanto nuova capsula Orion, venne lanciata nel 2022. Già in quella data, il calendario era stato posticipato di due anni: la prima finestra era stata prevista, infatti, nel 2020 (sotto le spinte della prima presidenza di Donald Trump). La missione di test del 2022 fu parzialmente un successo: il razzo funzionò a dovere, così come tutte le operazioni di distacco e di orbita della navicella Orion. Ma i dati mostrarono qualche problema da risolvere, soprattutto agli scudi termici della capsula che non operarono come previsto dai parametri. 

Tutto il programma subì uno slittamento: tra il 2024 e il 2025, la NASA fu costretta ad annunciare rinvii per Artemis II, la missione che prevedeva e prevede ancora il lancio di SLS e di Orion, questa volta in configurazione umana, cioè con equipaggio a bordo. Lo scopo: abbandonare per la prima volta, dal 1972, l’orbita bassa terrestre e ritornare a “girare” attorno alla Luna. 

La situazione ad oggi

Artemis II vive su due binari. Sul sito della NASA il go della missione viene dato ancora entro aprile del 2026, ma – in una recente conferenza stampa in cui sono stati presentati anche gli astronauti membri ufficiali della missione – l’agenzia aerospaziale americana ha annunciato che la finestra di lancio è stata anticipata a febbraio 2026: “I test stanno procedendo speditamente e, avanti di questo passo – è stato spiegato alla stampa – siamo confidenti di poter anticipare la missione rispetto al programma iniziale”. Il cambio di rotta non è passato inosservato agli analisti: l’annuncio, innanzitutto, arriva – a sorpresa – in un periodo in cui la NASA sta subendo non poche pressioni istituzionali: l’agenzia è attualmente in shutdown così come tutto il governo federale a causa della mancata approvazione del bilancio da parte del Congresso americano. Come se non bastasse, come è già stato raccontato su queste pagine, la proposta di budget da parte della Casa Bianca, segnerebbe il taglio lineare più profondo dalla fine del programma Apollo. E se aggiungiamo anche le probabili pressioni indebite denunciate a settembre dal Partito Democratico, il quadro è decisamente fosco. In un panorama simile, non è difficile pensare che l’annuncio sia anche e soprattutto una mossa politica: un tentativo di rilancio della NASA, dando lustro alla sua missione più importante e significativa, in tutti i sensi. Comunque sia, se fosse così, tra circa quattro mesi potremmo essere pronti a vedere SLS e Orion sulla rampa di lancio per una missione che batterà parecchi record, primo tra tutti quello di mandare delle astronaute e degli astronauti alla distanza massima dalla Terra mai raggiunta prima. 

Ma serve un po’ di calma. Come è possibile che gli Stati Uniti rischino di mancare il loro secondo storico allunaggio se – addirittura – il programma di Artemis II viene (leggermente) anticipato e strombazzato a quattro venti? È possibile, eccome, perché i problemi non si concentrano tanto sulla missione in orbita (e oltre) lunare prevista tra pochi mesi, ma per quella che segnerà davvero l’appuntamento con la storia, cioè Artemis III che dovrebbe riportare la nostra specie sulla superficie del nostro satellite. 

Artemis III e le tempistiche ufficiali

La data ufficiale, ancora senza finestre di lancio (ma è normale che sia così), è fissata in qualche momento del 2027, 55 anni dopo l’ultimo allunaggio di Apollo 17. Ma è proprio qui che la situazione si fa meno limpida. Se, infatti, l’anticipo a febbraio 2026 di Artemis II è una buona notizia, sono i bollettini dell’Aerospace Safety Advisory Panel (ASAP) a porre seri dubbi sulle tempistiche fissate per Artemis III. L’ASAP è un organismo indipendente, istituito dal Congresso USA nel 1968, con compiti di consulenza sulla sicurezza. Nacque in seguito all’incidente della missione Apollo I che provocò la morte di tre astronauti. Da allora, ha il compito di monitorare e valutare la sicurezza dei programmi aerospaziali della NASA, fornendo raccomandazioni dirette all’amministratore dell’agenzia stessa e al Congresso. Ebbene, nella penultima riunione trimestrale di settembre, i componenti dell’ASAP avrebbero espresso seri dubbi sulle possibilità che il programma possa essere rispettato con le cadenze fissate al 2027. Le perplessità maggiori ricadono su una delle componenti fondamentali della missione: il nuovo lander lunare, cioè l’apparecchio che dall’orbita satellitare dovrebbe portare sulla Luna l’equipaggio con ritorno annesso. Sotto i riflettori è il sistema Starship Human Landing System (HLS) in fase di sviluppo da parte di SpaceX, l’azienda di Elon Musk. Secondo il panel, i progressi nella realizzazione e nei test di HLS non sarebbero on schedule e ci sarebbe il rischio concreto di uno slittamento, anche “di anni”. Viene da sé che se SpaceX non dovesse riuscire a dimostrare in tempo la fattibilità del suo mezzo, anche Artemis III non potrebbe vedere la luce nel 2027. La NASA, attualmente, non dispone – infatti – di una vera e propria alternativa: senza un lander, non si può allunare, semplice. 


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I dubbi di ASAP derivano da una visita all’area di test di SpaceX, ma anche da quello che è stato visibile negli ultimi mesi nei test in diretta di Starship. L’enorme razzo, pensato anche per le future missioni su Marte, ha messo in evidenza una serie di problemi tecnici che hanno costretto i tecnici di SpaceX ad accumulare parecchi mesi di ritardo. Solo gli ultimi due test, a fine agosto e il 13 ottobre 2025, hanno visto un successo completo, garantendo al programma di entrare nella fase 3 di prove.

D’altronde, la parte relativa al lander risulta essere una delle più delicate, se non la più delicata del programma Artemis: SpaceX punta infatti su un approccio inedito: prima di poter portare equipaggio umano, Starship dovrà affrontare una missione dimostrativa senza astronauti, con un atterraggio di prova sul suolo lunare. Solo dopo aver superato tutti i test di sicurezza richiesti dalla NASA, la navicella potrà essere dichiarata pronta per la missione ufficiale.

Il piano prevede una lunga catena di operazioni. Prima della partenza dell’equipaggio, SpaceX lancerà in orbita terrestre un deposito di propellente, una sorta di “stazione di servizio” spaziale. Diverse Starship cisterna riutilizzabili lo riforniranno con il carburante necessario, prima che il modulo di atterraggio – l’HLS, Human Landing System – si agganci per fare il pieno. Solo a quel punto la Starship destinata alla Luna accenderà i motori per lasciare la Terra e intraprendere un viaggio di circa sei giorni verso l’orbita lunare quasi rettilinea (NRHO), dove attenderà l’arrivo degli astronauti di Artemis III.

Una volta in orbita lunare, Orion si aggancerà alla Starship, completando l’ultimo passaggio prima della discesa. Due astronauti saliranno a bordo della navicella di SpaceX e scenderanno sulla superficie per una missione di circa sei giorni e mezzo, mentre gli altri due resteranno a bordo di Orion, che nel frattempo continuerà a orbitare attorno alla Luna. Al termine delle operazioni scientifiche e logistiche sul suolo lunare, Starship riporterà i due esploratori in orbita per il rendez-vous con Orion, chiudendo così la prima missione di esplorazione lunare del XXI secolo.

Non è il primo warning

Quello dello scorso mese di settembre non è il primo rilievo ufficiale arrivata dal safety panel della NASA. Il rapporto annuale ASAP del 2024 esprimeva una serie di dubbi che già potevano suonare come dei campanelli d’allarme. Ancora prima, nel 2023, lo stesso ente aveva, nuovamente, messo in evidenza.

L’ente sottolineava, innanzitutto, un programma “sovraccarico” di prime volte, cioè di numerose operazioni mai tentate prima e ancora da dimostrare come tenuta e a livello di sicurezza: più “prime volte” in una singola missione equivalgono a un aumento delle probabilità di sviluppare problemi. Il lander, già nel 2024, era stato identificato come elemento critico: la sua maturità tecnica e la dimostrazione operativa “sono imprescindibili per Artemis III”, si legge nel rapporto che segnalava come sotto osservazioni le operazioni di rifornimento in orbita e i test relativi alle apparecchiature di comunicazione. Altrettanto come critiche erano segnalate tutte le operazioni di aggancio e sgancio tra Starship e Orion, così come la cadenza di lanci così ravvicinata per garantire la riuscita della missione. Non solo, l’ASAP metteva in luce anche un altro aspetto di non poco conto, questa volta non riguardante vettori e navicelle ma l’equipaggiamento, in particolare le nuove tute per le attività extraveicolari e il loro sviluppo tecnico.

Il 20 ottobre 2025, il direttore ad interim della NASA, Sean Duffy, in un'intervista rilasciata all'emittente americana NCBC ha rilanciato i timori per la lentezza con cui SpaceX sta progredendo sul modulo di allunaggio e ha aperto, di fatto, al rientro in corsa di Blue Origin, l'azienda (fondata da Jeff Bezos) che aveva perso il contratto miliardario proprio contro SpaceX. Non è chiaro come la NASA possa tornare indietro sui suoi passi o dare il via libera a Blue Origin. Rimane il dato di fondo: lo spauracchio, come vedremo tra poco, di non poter vincere la seconda "moon race" per dirla con le parole proprio di Duffy,

L’ombra della Cina

La Cina ha tracciato una roadmap ufficiale per portare i propri astronauti sul suolo lunare prima del 2030, nell’ambito di un programma che unisce esplorazione scientifica, sviluppo tecnologico e cooperazione internazionale.

Dopo il successo di Chang’e-5, che nel 2020 ha riportato a Terra campioni di suolo lunare, la missione Chang’e-6, lanciata nel maggio 2024, ha compiuto un’impresa storica: raccogliere e riportare materiale dal lato nascosto della Luna.

Nel 2026 la Cina prevede il lancio di Chang’e-7, diretta al polo sud lunare, per cercare tracce di ghiaccio e risorse volatili utili a future basi permanenti. Seguirà Chang’e-8, in programma nel 2028, che dovrà testare tecnologie per l’utilizzo delle risorse in loco. In parallelo, oltre al progetto per una stazione spaziale lunare in diretta concorrenza con quella in fase di sviluppo da parte degli Stati Uniti, la Cina sta sviluppando il nuovo razzo Long March-10, il veicolo con equipaggio Mengzhou e il lander lunare Lanyue, che dovrebbero consentire il primo allunaggio umano cinese entro il 2030.

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