Falcon 9 compie 15 anni: l’era della riusabilità entra nella sua maturità
Un razzo Falcon 9 di SpaceX. Foto: SpaceX
I 15 anni che hanno cambiato l’accesso allo spazio. L’8 dicembre 2010 è una data che oggi appare inevitabile, quasi lineare nella sua traiettoria. All’epoca, però, il primo lancio commerciale del Falcon 9 di SpaceX fu percepito come un azzardo: un giovane operatore privato che prometteva ciò che nessuno aveva mai realizzato davvero, un razzo orbitale riutilizzabile, capace di abbattere i costi e rivoluzionare un’industria dominata da governi e colossi aerospaziali. Quindici anni dopo – in un 2025 che vede SpaceX avvicinarsi al proprio record di lanci annuali e un secondo attore, Blue Origin, affacciarsi con successo nello stesso segmento – è possibile ricostruire quanto quell’azzardo abbia trasformato in profondità l’intero ecosistema spaziale.
La ricorrenza dei primi quindici anni dal debutto commerciale del Falcon non è dunque solo un pretesto storico, ma un punto di osservazione privilegiato su una svolta epocale. È l’occasione per ripercorrere come si volava prima dell’arrivo di SpaceX, come si vola oggi e quali scenari si stanno aprendo, mentre la sfida orbitale si gioca nelle mani di pochi miliardari che hanno innescato una competizione industriale senza precedenti.
Prima di SpaceX: l’orbita come territorio chiuso
Per capire la portata del cambiamento, è necessario tornare ai primi anni Duemila, quando l’accesso allo spazio era quasi interamente in mano agli Stati e a pochi vettori tradizionali. Il ritiro dello Space Shuttle nel 2011 aveva lasciato un vuoto operativo che, per quasi un decennio, venne colmato dalla navicella Soyuz russa. Stati Uniti ed Europa dipendevano da Mosca non solo per portare astronauti verso la Stazione Spaziale Internazionale, ma anche per una parte rilevante delle missioni scientifiche e commerciali.
Il mercato era dominato da infrastrutture costose, tempi industriali lunghi, capacità di lancio limitate e soprattutto da una logica di “razzo usa e getta”. Ariane 5, Proton, H-II e Atlas V erano vettori affidabili, ma fragili sotto il profilo economico: ogni lancio implicava la perdita del razzo, costruito per volare una volta sola. In quel contesto, parlare di riduzione dei costi o di accesso “democratico” allo spazio era quasi un esercizio retorico. La riusabilità, pur discussa da decenni, rimaneva un obiettivo teorico, più vicino alla fantascienza che all’ingegneria.
La scommessa di Elon Musk: riutilizzare per rivoluzionare
SpaceX entrò in questo scenario con un’idea radicale: applicare alla missilistica lo stesso principio che vale per gli aerei. Nessuno accetterebbe di distruggere un aeroplano Boeing 737 dopo ogni volo; perché mai doveva essere diverso per un razzo? Ai tempi, però, quasi nessuno credeva che il recupero del primo stadio fosse tecnicamente ed economicamente possibile.
La storia dei primi Falcon è una sequenza di tentativi, esplosioni, fallimenti e iterazioni, spinta da un ritmo di test che nessun attore pubblico avrebbe potuto sostenere. Atterraggi falliti sull’oceano, booster ribaltati sulle chiatte, motori spenti in anticipo: ogni errore diventava un passo verso l’affinamento del sistema. Quando il primo stadio riuscì finalmente ad atterrare in verticale, inaugurando una serie di recuperi che sarebbero presto diventati routine, fu chiaro che l’industria dei lanci era entrata in un’altra epoca.
Falcon 9: il razzo che ha riscritto l’economia dei lanci
L’impatto del Falcon 9 non è misurabile solo in termini tecnologici, ma soprattutto economici. Il riutilizzo sistematico dei booster ha ridotto il costo per chilogrammo in orbita in modo drastico, aprendo il mercato commerciale a nuovi attori e imponendo agli operatori tradizionali un ripensamento dei propri modelli.
Sul piano tecnico, Falcon 9 ha introdotto un ciclo operativo veloce: rientro controllato, recupero, rifornimento, ispezione minima e nuovo volo in tempi relativamente brevi. La combinazione tra affidabilità, capacità di carico, ritmo di produzione e riutilizzo ha permesso a SpaceX di diventare, nel giro di pochi anni, il principale fornitore al mondo di lanci commerciali, oltre che un partner centrale per NASA e Dipartimento della Difesa statunitense.
Il 2025 consolida questa posizione: SpaceX si avvicina al proprio record annuale di lanci Falcon, un ritmo operativo che nessun altro vettore orbitale ha mai raggiunto. La riusabilità, un tempo considerata un esperimento marginale, è diventata un requisito industriale.
Un decollo di Falon 9. Foto: SpaceX
New Glenn: Blue Origin entra nella competizione
Per oltre un decennio SpaceX è rimasta sola nella fascia dei lanciatori riutilizzabili. Ma pochi giorni fa Blue Origin ha compiuto un passo decisivo: il lancio e l’atterraggio riuscito del booster di New Glenn, vettore pesante progettato per competere direttamente con i Falcon e con il futuro Starship.
Il volo inaugurale, che ha portato in orbita la missione Escapade della NASA, rappresenta un punto di svolta simbolico e strategico. Non solo dimostra la maturità tecnica della compagnia fondata da Jeff Bezos, ma certifica che la riusabilità orbitale non è più un’esclusiva di SpaceX. New Glenn introduce un approccio diverso: architettura modulare, sviluppo graduale, attenzione alla sicurezza e capacità progettate fin dall’inizio per missioni commerciali e istituzionali.
La presenza di un secondo vettore riutilizzabile cambia la struttura del mercato, riduce la dipendenza da un solo fornitore e innesca una competizione che potrà accelerare ulteriormente la riduzione dei costi e l’innovazione tecnologica.
La sfida tra miliardari per il controllo dell’orbita
Nel pieno di questa trasformazione, la competizione industriale assume anche una dimensione personale. Elon Musk e Jeff Bezos, possessori di due dei maggiori patrimoni al mondo, si fronteggiano su modelli, visioni e strategie profondamente diverse.
Musk ha costruito SpaceX su una logica di iterazione continua, con cicli di sviluppo estremamente rapidi e una forte integrazione verticale. L’obiettivo è chiaro: abbattere i costi e colonizzare la filiera orbitale, dalle costellazioni internet ai servizi di lancio, fino al trasporto umano.
Bezos persegue una visione più graduale, fondata sulla costruzione di un’infrastruttura spaziale solida e modulare. La roadmap di Blue Origin è meno spettacolare ma più metodica: vettori pesanti, lander lunari, un futuro ecosistema di trasporto orbitale e cislunare.
Questa rivalità non è un elemento secondario: sta ridefinendo l’intera economia dei lanci e determina chi controllerà i segmenti più redditizi del mercato, dalle costellazioni di satelliti ad ampio uso ai servizi governativi.
Un settore che non assomiglia più a quello del 2010
La differenza tra il “prima” e il “dopo” è netta: nel 2025, la riusabilità è diventata lo standard aspirazionale di chi progetta un nuovo vettore. Rocket Lab lavora al suo razzo Neutron, Relativity Space al Terran R; la Cina ha avviato programmi di riutilizzo parziale e totale, mentre l’Europa, in ritardo, discute ancora di come affrontare la transizione.
I lanciatori tradizionali faticano a restare competitivi: Proton è stato progressivamente ritirato, Soyuz è uscita quasi completamente dal mercato occidentale, Ariane 5 ha chiuso la sua lunga carriera, e Ariane 6 – pur rappresentando uno sforzo ingegneristico importante – nasce con un paradigma pre-riusabilità che rischia di diventare obsoleto troppo presto.
Al tempo stesso, il mercato satellitare si è trasformato: le mega-costellazioni, trainate da Starlink e dal progetto Kuiper di Bezos, stanno ridefinendo il concetto di domanda di lancio e creando un ciclo di dipendenza interno ai due grandi gruppi industriali.
Prospettive: il decennio della riusabilità totale
Il prossimo decennio sarà probabilmente segnato dal salto verso la riusabilità completa. Starship, il supervettore di SpaceX, punta a rientrare integralmente, mentre Blue Origin ha già anticipato evoluzioni future del New Glenn in questa direzione. La Cina mira a versioni riutilizzabili di Long March e a nuovi vettori privati, mentre in Europa si discute di un approccio modulare e più flessibile, anche se ancora lontano dalla piena implementazione.
Sul piano geopolitico, l’accesso allo spazio è diventato un’infrastruttura critica: controllarlo significa influenzare le telecomunicazioni, l’osservazione della Terra, la navigazione, la sicurezza e la capacità di risposta militare. Con due vettori privati statunitensi oggi al centro del mercato globale, la dipendenza dal settore privato americano è destinata a crescere.
Quindici anni dopo, l’eredità del primo Falcon
Quando il Falcon 9 compì il suo primo lancio commerciale, pochi avrebbero immaginato che quell’esperimento avrebbe ridisegnato l’industria aerospaziale mondiale. Oggi, a quindici anni di distanza, quell’intuizione è diventata la base di un nuovo standard industriale. SpaceX vola a ritmo di record, Blue Origin entra nella competizione reale e la riusabilità non è più un’ambizione isolata ma la nuova normalità dell’accesso allo spazio.
Il primo atterraggio verticale che fece il giro del mondo non era solo un successo tecnico: era l’inizio del passaggio definitivo da un’epoca dominata dagli Stati a una guidata da grandi piattaforme private. E se il 2010 fu l’alba della rivoluzione, il 2025 ne rappresenta il consolidamento, con l’ingresso di un secondo attore in grado di cambiare il gioco. È proprio di pochi giorni fa il comunicato con cui Blue Origin ha annunciato la volontà di sviluppare, rapidamente, un nuovo vettore di lancio “pesante”. Si tratta, palesemente, della mossa di Jeff Bezos per intromettersi nei piani di SpaceX e della sua Starship. Non è un caso, ma in questo caso si tratta solamente ancora di voci di corridoio, che si vociferi di una fremente attività di Blue Origin per soffiare la Luna al concorrente di sempre.
La contesa, a colpi di miliardi tra i due Paperoni, deciderà se SpaceX, 15 anni dopo la sua rivoluzione spaziale, rimarrà ancora l’azienda leader del settore o se la “cenerentola” Blue Origin potrà, lentamente, scalfire quella posizione dominante. È una sfida tecnologica, di denaro e di prestigio allo stesso tempo. Sullo sfondo, rimane lì, alla finestra, la Cina e la sua spinta decisa verso l’orbita e la Luna.