CULTURA

Ecologia al cinema, dai fratelli Lumière alla Marvel

Qual è la relazione tra cinema ed ecologia? E da che punto di vista la dobbiamo guardare? Parliamo di film a tema ambientale, ci riferiamo alle produzioni che adottano soluzioni green per realizzare un'opera o prendiamo in considerazione l'impatto delle sale? "Per arrivare al 2050 avremo bisogno di un cinema dell’ottimismo della ragione, ma che non nasconda la CO2 sotto il tappeto, che sfidi l’ignoranza scientifica ma senza diventare tecnocratico, che abbia la forza della denuncia senza far voltare altrove il suo pubblico, che proponga un nuovo patto fra uomo e natura. Soprattutto di un cinema che non abbia bisogno di diventare dottrina, propaganda o manifesto, ma che faccia quello che ha sempre fatto: intrattenere il suo pubblico. E, intrattenendolo, lasciare che si rispecchi nelle sue ecovisioni".

A partire dai 36 secondi della veduta Lumière n. 1035, Puits de pétrole à Bakou, che riprendeva un pozzo di petrolio in fiamme, girata dall'operatore Kamill Serf nel 1897 a Baku, nell’Azerbaigian, e definita dal critico e cineasta Bertrand Tavernier il primo film ecologista mai realizzato, attraversando 125 anni di storia e con una selezione di 150 opere, il libro Ecovisioni di Marco Gisotti (Edizioni Ambiente) indaga l'argomento osservandolo da diverse angolazioni. "Davanti a un pozzo petrolifero in fiamme Bertrand Tavernier percepisce qualcosa che i Lumière non interpretavano con la nostra stessa urgenza - scrive Gisotti -: quella che certamente anche per loro doveva essere una catastrofe, non lo era ancora in senso ambientale". In quel momento, dunque, non esistono consapevolezza e sensibilità green, anche se di ecologia, e quindi di relazione tra gli organismi e il loro ambientesi parla già da tempo, più precisamente dal 1866, anno in cui il termine viene coniato dal tedesco Ernst Haeckel nella sua opera Morfologia generale degli organismi.

Dopo Puits de pétrole à Bakou, il Novecento si apre con The Last Drop of Water di D.W. Griffith (1911) e a seguire, tra gli altri, ecco Frankenstein di James Whale, Bambi di David Hand, Riso amaro di Giuseppe De Santis, Gli uccelli di Alfred Hitchcock, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Lo squalo di Steven Spielberg, L'albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, Fitzcarraldo di Werner Herzog, Balla coi lupi di Kevin Costner, Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki, fino a entrare negli anni Duemila con I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, Still Life di Jia Zhang-ke, Into the Wild di Sean Penn, Avatar di James Cameron, Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, Eternals di Chloé Zhao, per finire con il recente Siccità di Paolo Virzì (2022) e una città simbolo come Roma riconoscibile e al tempo stesso profondamente trasformata, con il Tevere prosciugato. Uno scenario che fa tremare, animato da storie di esseri umani senza più acqua né riferimenti. E questi sono solo alcuni dei titoli scelti da Gisotti per comporre il suo lavoro di ricerca, film particolarmente significativi in termini di ecocritica e attraversati, in vari modi, dal tema ecologico (e tecnologico), da riflessioni sui diritti ambientali e, in senso ampio, dalla relazione tra la natura e l’uomo. Cento opere vengono analizzate nel dettaglio, con schede di approfondimento dedicate, e altre cinquanta in maniera sintetica all’interno di cinque percorsi didattici.

"L’energia della terra è solo in prestito, arriverà il momento in cui dovremo restituirla", spiega Neytiri, la protagonista del film Avatar, al terrestre Jake Sully, mostrando le tradizioni di sepoltura dei morti nella sua cultura (Ecovisioni)

Si entra subito nel cuore della questione con la prefazione affidata a Claudia Cardinale, sensibile al tema ecologico e già protagonista di un film leggendario come Fitzcarraldo di Werner Herzog (1982) con Klaus Kinski, girato nella foresta amazzonica, che l'attrice ricorda così: "Il film ebbe un grande successo e vinse premi importanti: riusciva a raccontare la passione per l’arte nel cuore della natura [...] Sono luoghi che devono essere assolutamente preservati, perché sono i polmoni del nostro pianeta oltre che di straordinaria unicità e bellezza". E su questione ambientale e responsabilità personale Cardinale aggiunge: "Il cinema e noi che lo facciamo non solo possiamo dare il buon esempio come persone ma anche come professionisti del settore. Quando ho cominciato a lavorare in questo mondo, non si parlava molto di problemi ambientali e, soprattutto, non sapevamo che anche quando si produce un film si può avere un impatto sull’ambiente, sui cambiamenti climatici, sulla natura".

Riflessioni a cui seguono quelle di Carlo Cresto-Dina, produttore e fondatore della società di produzione cinematografica Tempesta Film: "Colpisce che il cinema, forse per la sua genetica vocazione all’emozione collettiva, abbia fin dall’inizio saputo esprimere un’attenzione, poi una trepidazione e infine un allarme per il destino della nostra specie su questo pianeta. Colpisce più ancora, però, che nonostante questa sensibilità e questa attenzione l’industria del cinema abbia invece tardato tanto a porsi il problema del proprio impatto ambientale, e che ancora oggi fatichi a darsi dei seri protocolli di comportamento per la sostenibilità delle produzioni audiovisive".

Nel 2013 Tempesta ha prima elaborato e poi rilasciato EcoMuvi, disciplinare per la sostenibilità sul set di cinema ed audiovisivi per analizzare le fasi di produzione nei diversi reparti, misurare e certificare le caratteristiche di sostenibilità ambientale delle produzioni audiovisive, proporre pratiche concrete di riduzione dell’impatto: dall'organizzazione accurata dei set, con la pianificazione di un vero e proprio manifesto di sostenibilità della casa di produzione, alla gestione responsabile delle risorse che passa per l'uso di materiali riciclati, la riduzione della carta, la progettazione delle scenografie finalizzata al recupero dei materiali (design for disassembly), la protezione degli habitat e degli animali, la gestione consapevole dei rifiuti fino al loro corretto smaltimento. Tutte pratiche di facile attuazione, a cui si aggiungono la riduzione dei consumi di energia elettrica e di carburanti per i trasporti, un programma di azioni per la riduzione di emissione di gas ad effetto serra fino alle azioni di di compensazione a miglioramento delle location utilizzate (ricondizionamento, ristrutturazione, piantumazione a fine set).

Il primo film italiano ottenere un marchio green – Edison Green Movie – applicato ai processi di produzione è stato nel 2010 Sul mare di Alessandro D’Alatri. Questo accadeva in Italia solo tredici anni fa, potremmo dire meglio tardi che mai, mentre negli Stati Uniti, già alla fine degli anni Ottanta, nasceva l’Environmental Media Association (EMA), con lo scopo di “mobilitare l’industria dell’intrattenimento in uno sforzo globale per educare le persone sulle questioni ambientali e spingerle ad agire su questi problemi".

Torniamo all'autore di Ecovisioni: giornalista e divulgatore, Gisotti conosce bene l'argomento, è esperto di green economy, lavori verdi e comunicazione ambientale e nel 2012, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha lanciato il premio Green Drop Award, di cui è direttore artistico. Spostando il punto di vista dalla fase di produzione al film finito, su costi e inquinamento prodotto dalla sale cinematografiche, scrive: "Una volta prodotto, il film va in sala. E i cinema come stanno? Tenere le sale calde d’inverno e fresche d’estate richiede un enorme consumo energetico. Quasi un terzo delle entrate di un cinema se ne va per tenere gli spettatori a una temperatura confortevole. Poi ci sono le luci, che grazie alle lampade a led sono diventate meno energivore solo negli ultimi anni, e i proiettori stessi, che per 'sparare' il film sullo schermo devono avere lampade molto potenti. Avere quindi un cinema con un impianto di raffrescamento efficiente, con mura, porte e finestre che non vanifichino il lavoro di condizionatori, caldaie e pompe di calore è fondamentale".

E Gisotti continua proponendo un confronto con dati che fanno chiarezza sugli impatti di chi produce e di chi 'consuma' cinema. La soluzione non è chiudere le sale (anzi, troppe sono già state chiuse in questi anni e molte altre sono costantemente a rischio) ma renderle più efficienti e sostenibili: "Il set di un film le cui riprese durino circa due mesi ha un impatto di circa 19 tonnellate equivalenti di anidride carbonica. Una sola sala cinematografica, con un solo schermo, impatta in media per 4,9 tonnellate in un anno; basta già una multisala di piccolissime dimensioni, con quattro schermi per esempio, per avere lo stesso impatto di un film. Moltiplicate queste emissioni per il numero delle sale (nel 2019 Cinetel ne contava, per difetto, 3.452, per un totale di 1.218 cinema) si arriva a quasi 17.000 tonnellate di CO2. Da un’indagine svolta da GSE, ANEC e Green Cross Italia, è risultato che il 68% del campione di sale italiane a settembre 2021 non aveva fatto nessun intervento di efficientamento energetico negli ultimi tre anni. Nel 2022, però, un bando del Ministero della Cultura, attraverso i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha messo a disposizione 100 milioni di euro per la riqualificazione delle sale, e hanno risposto centinaia di gestori e proprietari in tutto il paese".

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