Foto di Massimo Pistore
Ogni mattina alla Mostra del Cinema di Venezia un freelance si sveglia e sa che dovrà essere più veloce di una valanga di altri giornalisti accreditati che vogliono mettersi in fila prima di lui. In un mondo apparentemente patinato in cui la vita sembra un continuo red carpet, con i vip che ti passano a fianco e alzano la manina perché sono felici di vederti, è bene chiarire alcuni punti, perché serpeggia l’idea che un giornalista possa tranquillamente bersi un drink con le star del cinema, oltre che rubare il posto agli studenti con l’accredito verde, ma in realtà capita solo a poche decine di fortunati, durante il festival del cinema, il giornalista, di solito, fa principalmente una cosa: sta in coda.
Alla Mostra del Cinema di Venezia c’è una coda per qualsiasi cosa: per i mezzi di trasporto (nei vaporetti in particolare le sciure locali venderebbero il lampadario in vetro di Murano per salire prima di te, umile turista), per essere perquisiti dalle forze dell’ordine (che forse prendono un po’ troppo sul serio il coro da stadio “giornalista terrorista”), per il bar (rimanere senza caffè prima di una proiezione è altamente pericoloso, visto l’alto numero di accreditati dormienti), per il bagno. Sì, ci sarebbe un bagno riservato agli accreditati nel Palazzo del Casinò, ed è pulito. In alcuni momenti però fai prima a uscire dalla zona del Festival e berti un caffè in un bar a caso, se non altro per evitare almeno una coda e gustarti da sveglio la proiezione successiva. Poi ci sono le code funzionali, quelle per entrare in sala e in conferenza stampa. Per quanto riguarda le prime, il giornalista potrebbe sembrare fortunato: ci sono le proiezioni dedicate alla stampa, che sei ragionevolmente sicuro di riuscire a non “bucare” se arrivi 30 o anche solo 15 minuti prima (a seconda della sala e del film): poi hai tempo per scrivere con calma (relativa) il tuo pezzo che rimarrà in embargo per le ore successive. L’articolo sul film, infatti, non può essere pubblicato prima dell’inizio della prima proiezione per il pubblico, di cui devi controllare ogni volta l'orario: gli spoiler, insomma, non piacciono a nessuno. In ogni caso le code le fai lo stesso, e con il tuo pass blu di testata registrata hai lo svantaggio di essere guardato con autentico odio di classe dai possessori di accredito verde (che per riuscire a entrare a una proiezione dedicata devono sperare in una moria di giornalisti), e con spietata condiscendenza dai possessori di accredito rosso, che costa più di 300 euro e ti dà il sacrosanto diritto di prelazione più o meno ovunque (ma non quello di berti il drink con Brad Pitt). A questo proposito, ricordiamo che l’accredito si paga: non è vero che essere giornalista ti fa entrare gratis ovunque, e anche se fosse, faresti la coda lo stesso. Alla Biennale Cinema gli unici che non fanno la coda per entrare in sala sono le maschere e gli attori ospiti nelle proiezioni per il pubblico, che probabilmente un giornalista non vedrà mai, se vuole avere la certezza di vedere tutti i film in concorso. Nelle proiezioni ibride, quelle sia per il pubblico che per gli accreditati, i giornalisti non hanno la priorità ma devono prenotare un coupon compreso nell’accredito. Il problema è che i coupon vengono sbloccati a scaglioni, quindi bisogna stalkerare la biglietteria. E qui emerge la criticità principale: l’impossibilità di essere in due posti contemporaneamente. Se sei in sala, non vedi la conferenza stampa, e se sei in conferenza stampa, non stalkeri la biglietteria. Questo lo puoi anche rigirare a tuo vantaggio: il Festival del Cinema di Venezia fa quello che potrebbe fare un bravo psicologo, cioè ti aiuta a compiere delle scelte ragionando per priorità. Magari rinunci volentieri a respirare la stessa aria di Brad Pitt per i 30 minuti di conferenza stampa, se questo ti permette di arrivare in tempo per farti la coda per un altro film (la conferenza, comunque, la puoi ascoltare in streaming, mentre sei in coda). I soldi che risparmi per lo psicologo, comunque, li dovrai devolvere tutti al dietologo, perché dopo una settimana di lauti pasti a base di panini e pizzette (che così fai prima a metterti in coda) il dietologo ti servirà.
Foto di Massimo Pistore
Quando torni a casa, poi, gli amici vogliono sapere solo una cosa: hai visto qualche vip? Generalmente la risposta è no: intanto dopo tre giorni diventi troppo stanco per riconoscerli per strada (l’anno scorso un pass verde raccontava di un pass blu che aveva detto al suo vicino che la star che era appena passata doveva essere un idolo teen perché non la conosceva. Era Lady Gaga), e poi per strada ci stai davvero poco: di solito o sei un sala, o stai scrivendo, o sei in coda da qualche parte.
Le attività durante la coda permettono di individuare i giornalisti a colpo d’occhio prima di arrivare ai cartelli indicatori: se i pass verdi sono quelli stravaccati a terra che fanno i debiti scongiuri perché i pass blu si trasferiscano in massa da qualche altra parte (un anno è stata persino messa in giro la voce che un vip fosse caduto in laguna a questo scopo) e i rossi chiacchierano tranquilli tra loro, i giornalisti fanno solo quattro cose: leggono Ciak (il periodico distribuito gratuitamente ogni mattina) per prendere decisioni ponderate sui film da vedere e fare vaticini apocalittici sulle code da affrontare, prendono appunti sulla moleskine (o chi per lei, a seconda di solito dell’età anagrafica), parlano più o meno dottamente dei film, origliano chi parla dei film. Qualcuno prende addirittura appunti sui diversi pareri espressi: non si sa mai cosa può tornare utile per scrivere un pezzo, poi sta al lettore attento seguire la traccia filologica di eventuali errori. A volte scoppiano risse verbali tra persone che non si conoscono a causa di un differente visione artistica, e a volte, ma solo all’inizio, scoppiano risse anche non verbali con chi senza colpo ferire salta la fila chiedendo candidamente permesso. Poi si lascia perdere, sperando che la security prenda in mano la situazione, ma non succede quasi mai.
Dopo la proiezione, puoi scrivere tranquillamente il tuo pezzo in sala stampa. Se sei un pinguino.
Perché, complice il caldo e l’umidità di fine agosto, il Festival del Cinema fa un po’ il verso a The Karate Kid: metti-il-maglione, togli-il-maglione. In alcuni casi il maglione è di lana, ma alcuni non ci stanno, e fanno gli eroi passando dai 30 gradi esterni all’atmosfera artica delle sale, e così ogni anno, dopo qualche giorno, i film sono accompagnati da un coro gospel di colpi di tosse.
Un’altra parte da smitizzare, infine, è l’immenso privilegio di guadagnarsi la pagnotta parlando di cinema. Sì, certo, è un lavoro bellissimo e nessuno lo mette in dubbio, altrimenti cercheremmo qualcosa di diverso. E non è un caso che già a inizio agosto vieni assalito dall'incontenibile voglia di festival. Però chi pensa che parlare di un film sia facile perché ama il cinema e adora parlarne con gli amici, forse non sa cosa significa dover scrivere un articolo dopo otto ore di proiezioni: la penna va a scatti, i personaggi di un film fanno beffardamente capolino nell’altro, la proprietà lessicale si trasferisce alle Fiji e dopo dieci minuti ti accorgi di aver scritto solo “datemi un letto” per due pagine. E siccome ormai mastichi di cinema come un impiegato di banca mastica numeri, sai benissimo che ti stai trasformando nel protagonista di Shining. Quindi consegni il pezzo in tutta fretta e guadagni la strada del letto, sperando di non trovare un'accetta lungo il cammino.