SCIENZA E RICERCA

Muon Collider: la nuova frontiera della fisica delle particelle

Negli ultimi 50 anni i fisici hanno usato gli acceleratori di particelle per studiare i costituenti fondamentali della materia e le forze che determinano le loro interazioni. La scoperta del bosone di Higgs nel 2012 con l’uso del LHC, Large Hadron Collider, è uno degli esempi recenti del successo di queste macchine. Per poter fare il passo successivo e aumentare in modo significativo l’energia a cui si fanno collidere le particelle senza dover costruire macchine di dimensioni troppo grandi serve un importante sviluppo tecnologico che, al momento, richiede ulteriori studi e sperimentazioni.

Esiste però la possibilità di cambiare paradigma e far collidere i muoni, particelle diverse da quelle che sono state usate fino ad ora, i protoni e gli elettroni.

Muon Collider fig 2

Figura 1: Schema dell’infrastruttura necessaria per un acceleratore di muoni. Nel riquadro in grigio il sistema di produzione dei muoni, ottenuti da un fascio di protoni che colpisce un bersaglio producendo molte particelle tra cui i muoni. Dopo un’attenta selezione e una prima accelerazione i muoni sono immessi negli anelli di accelerazione vera e propria attraverso l'iniettore. Raggiunta l’energia prevista sono trasferiti negli anelli di collisione. Nei punti IP 1 e IP 2 saranno posizionati i rivelatori attraverso cui saranno studiati i fenomeni fisici di interesse.

I muoni sono particelle elementari, simili agli elettroni ma 200 volte più pesanti e per questo motivo possono essere accelerate a energie molto più alte rispetto agli elettroni in tunnel di circa le stesse dimensioni. I protoni, attualmente usati nel LHC, sono costituiti da quarks e gluoni che si dividono l’energia del fascio e quindi hanno un potere di scoperta più limitato. Per esempio, al Muon collider sarà possibile determinare con alta precisione le proprietà del bosone di Higgs, cosa che fornirà l'opportunità di sondare i meccanismi della nascita dell'universo. 

Le principali sfide da affrontare per costruire l’acceleratore e i rivelatori del complesso sperimentale sono dovute alla breve vita media dei muoni, che non sono particelle stabili come gli elettroni ma decadono in tempi brevi in altre particelle (elettroni e neutrini). È necessario poter accelerare rapidamente ad alte energie i muoni e avere campi magnetici elevati per mantenere i fasci ad alta intensità, in modo da fornire il numero di collisioni necessarie per lo studio dei processi fisici di interesse. Poiché i prodotti di decadimento dei muoni dei fasci costituiscono un rumore di fondo che può rendere difficile lo studio dei segnali, per ridurre quest’ultimo al minimo è necessario anche sviluppare un nuovo concetto di rivelatore con un'interfaccia macchina-rivelatore innovativa.

Muon Collider fig 1

Figura 2: Simulazione di come appariranno nel rivelatore, schematizzato dalle line grigie, due bosoni di Higgs, H, prodotti dall’interazione di fasci di muoni e antimuoni a 5 TeraElettronvolt. I due H sono rivelati attraverso i loro decadimenti in coppie di quark b e anti-b identificati da jets, rappresentati dai coni gialli. In rosso sono mostrati i depositi di energia delle particelle cariche dei jets nel rivelatore.

Recentemente la rivista scientifica Nature Physics ha pubblicato un lavoro che descrive le potenzialità del progetto e le sfide tecnologiche che la collaborazione internazionale che si sta formando dovrà superare. I fisici di questa collaborazione, ospitata dal CERN di Ginevra, basano la propria ricerca su studi e sperimentazioni svolte negli anni passati principalmente negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia. Il progetto si svilupperà attraverso lo studio di un acceleratore di muoni affrontando le sfide tecnologiche più importanti, proponendo un rivelatore che si baserà sulle tecnologie oggi argomento di ricerca e sviluppo.

Tra i partecipanti italiani il dipartimento di Fisica e astronomia Galileo Galilei sta svolgendo un ruolo determinante, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Nel 2018 ha finanziato su fondi del dipartimento il progetto “Study of multi-TeV muon collider limitations due to collider background induced radiation” che ha permesso di costituire il primo nucleo di ricercatori, diventato adesso internazionale, e ha dato la possibilità di acquisire le prime infrastrutture informatiche, nonché di partecipare agli incontri internazionali con i colleghi americani che in passato avevano svolto la maggior parte degli studi.

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