SCIENZA E RICERCA

Da persone ad oggetti: il ruolo dell’oggettivazione sessuale nella violenza di genere

Ipotizziamo di intervistare 10 donne. Quante ci diranno che hanno ben presente quello sguardo insistente che squadra il loro corpo? Probabilmente tutte. Questa è un’esperienza che segna le donne quotidianamente, ma non altrettanto gli uomini. Cinque di loro potrebbero anche raccontarci di aver subito delle molestie sessuali, chi verbali (per esempio apprezzamenti non richiesti per strada) chi fisiche (palpeggiamenti per esempio). Tutte loro hanno, quindi, subito una forma di oggettivazione sessuale, ovvero sono state ridotte a semplici corpi o strumenti sessuali per il piacere altrui. 

Come accennato nell’articolo precedente, l’oggettivazione sessuale delle donne è una delle conseguenze della socializzazione di genere, che supporta la posizione dominante degli uomini sulle donne: fin da piccole le ragazze sono incoraggiate a investire sulla propria apparenza per essere attraenti per gli uomini e, allo stesso tempo, i ragazzi sono spinti a pensare alle donne come oggetti di conquista e consumo sessuale. Se da un lato, quindi, questa cultura intrinsecamente oggettivante insegna alle donne a misurare il proprio valore solo in base al proprio corpo, con conseguenze negative per il loro benessere psico-fisico, dall’altro influenza anche il modo in cui le donne vengono percepite e trattate.  

“Oggettivare”, infatti, non è solo una metafora. Quando ci focalizziamo sul corpo delle donne, per esempio mentre osserviamo una donna in bikini o in una posa suggestiva, a livello neurale tendiamo a percepirle letteralmente come un oggetto. Non solo: tendiamo ad attribuire loro meno qualità umane, quali competenza e moralità  - un processo chiamato “deumanizzazione”. Di conseguenza, proprio come se fossero oggetti, pensiamo che le donne oggettivate siano meno sensibili al dolore e suscitano in noi minore empatia, specialmente quando soffrono.

Chi legge non sarà sorpresə di sapere che la deumanizzazione e la riduzione di empatia nei confronti delle vittime sono dei meccanismi centrali in qualsiasi forma di violenza e aggressione. Ecco perché una società sessualmente oggettivante è una società complice nella violenza di genere, dalle sue forme più quotidiane (come le molestie sessuali) alle forme più estreme (come lo stupro). Infatti, più gli uomini deumanizzano le donne o ritengono accettabile oggettivarle sessualmente, più sono propensi ad essere violenti nei loro confronti, a molestarle e a commettere violenza domestica. Per esempio, più gli uomini ritengono che la propria partner sia un oggetto sessuale, più è probabile che la costringano, con minacce o manipolazione psicologica, ad avere dei rapporti sessuali. 

Pensare alle donne come ad oggetti sessuali non influenza solo i potenziali autori di violenza. Al contrario, influenza il pensiero e il comportamento di tutte le persone che assistono o vengono a conoscenza della violenza, sia in modo diretto che indiretto. Quando le vittime vengono oggettivate, per esempio se sono raffigurate con vestiti scollati o attillati all’interno di notizie di cronaca, tendiamo a giudicarle in maniera più negativa e la violenza contro di loro viene legittimata in diversi modi. Da un lato, viene sminuita: si pensa che la violenza sessuale non sia un evento poi così traumatico per la vittima, in linea con quanto detto precedentemente su dolore ed empatia. Dall’altro, la vittima tende ad essere ritenuta maggiormente responsabile della violenza che ha subito - fenomeno noto come victim blaming o colpevolizzazione della vittima. In altre parole, si pensa che il suo aspetto fisico o alcune sue azioni abbiano in qualche modo causato la violenza, mentre al colpevole viene attribuita minore responsabilità. Questo, a sua volta, riduce la volontà di aiutare le vittime. Per esempio, in uno studio italiano, i/le partecipanti leggevano la notizia di un abuso domestico in cui era presente una foto della vittima. Veniva poi chiesto loro di immaginare cosa avrebbero fatto se avessero sentito le grida di aiuto della vittima. Quando la foto la ritraeva con vestiti scollati e attillati, i/le partecipanti erano meno inclini a chiamare la polizia o sostenerla. Si innesca quindi un processo di vittimizzazione secondaria, in cui la persona oltre ad essere vittima della violenza viene anche screditata, lasciata sola, e trattata con minore dignità. 

I media hanno un ruolo fondamentale nel contribuire a una società in cui la violenza di genere è ritenuta accettabile perché non solo rispecchiano, ma modellano il modo in cui vediamo i ruoli sociali. Le donne vengono spesso rappresentate in maniera sessualizzata dai media, rafforzando l’idea che sono degli oggetti sessuali e che, quindi, tutte le donne, sessualizzate o meno, possono essere trattate come tali. Non per niente, il consumo di materiale pornografico si associa, per esempio, a un maggior consenso verso comportamenti indirizzati allo stupro (es. cercare di far ubriacare la vittima). Non è però necessario che l’uso di questi media sia frequente: brevi esposizioni a film, videogiochi, o programmi sportivi sessualizzanti possono essere sufficienti per aumentare l’attribuzione di colpa alle vittime di violenza, scoraggiare l’aiuto nei loro confronti, e a rendere gli uomini più propensi alla molestia. Uno studio condotto da ricercatrici dell’Università di Padova ha dimostrato, per esempio, che un campione di uomini si comportava in maniera maggiormente molestante nei confronti di una donna sconosciuta dopo aver visto dei programmi TV sessisti e sessualizzati anziché programmi non-sessualizzati (ad es. un documentario naturalistico). 

Ecco quindi che diventa importante partire dai media per lavorare a potenziali soluzioni: in particolare, lavorare su come i media vengono fruiti, con l'obiettivo di favorire una maggiore consapevolezza di come ci possono influenzare. A chi legge sarà certamente capitato di passare ore di fronte alla tv o sui social media come forma di evasione, per “spegnere il cervello”. Questo ci rende particolarmente influenzabili dai contenuti che i media propongono - inclusi quelli oggettivanti. Per questo motivo, è importante e soprattutto efficace formare giovanə e adultə a guardare con occhio critico e attento i contenuti mediatici piuttosto che assorbirli passivamente, per esempio attraverso interventi di alfabetizzazione mediatica.  

Tuttavia, come visto precedentemente, l’oggettivazione sessuale e la violenza di genere sono spesso frutto di una interiorizzazione rigida delle norme sociali legate al genere e alla sessualità. Pertanto, se vogliamo ottenere un vero cambiamento sociale duraturo, dobbiamo lavorare su queste ultime. Un primo passo è quello di adottare un linguaggio inclusivo, come vedremo nel prossimo articolo. Ancora più cruciale è educare ragazzi e ragazze all’affettività, alla sessualità e alle relazioni, fin da piccoli: in questo modo, cresceranno con una definizione meno rigida e più sana della mascolinità e della femminilità, con impatti significativi sul loro benessere e sulla società del futuro. 

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