CULTURA

Il Pinocchio di Garrone, una favola per adulti

Una ricerca estetica prossima alla perfezione: paesaggi mozzafiato, la bellezza della fotografia, la sapiente scelta del make-up per i personaggi “fantastici” al posto dell’uso degli effetti speciali, la bravura del cast, di per sé notevole, e Roberto Benigni, sono i punti forti del Pinocchio di Matteo Garrone. Soprattutto Benigni, mi viene da dire, perché fin dalle prime battute riesce a trasportare gli spettatori con il suo accento, la sua ironia, la sua allegria. Benigni, che per l’occasione si è messo i panni, o meglio dire i “cenci”, di Geppetto, in certe scene è riuscito persino a far dimenticare che, in questa storia, lui è solo il co-protagonista. Pinocchio, il burattino senza fili, è interpretato da un bambino di otto anni, Federico Ielapi, che, nonostante la tenera età, è già piuttosto avvezzo alle macchine da presa, sul grande come sul piccolo schermo.

Sulla trama non c’è molto dire, sono poche le persone che si sono affacciano per la prima volta alla favola scritta da Carlo Collodi negli anni Ottanta del 1800, senza mai averne letto o visto una trasposizione. Favola che, in quasi 150 anni, ha già visto numerose versioni. Dodici, tra musical, film d’animazione e lungometraggi, ma solo se contiamo quelle pellicole con una sceneggiatura aderente alla favola di Collodi, molte di più se vogliamo includere quelle che ne sono liberamente ispirate.

Eppure questo Pinocchio è piuttosto lontano da quello disneyano del 1940, anzi, è molto più fedele alla storia originale, ancora più fedele del Pinocchio del 2002, quello diretto e interpretato proprio da Roberto Benigni. Matteo Garrone, con le sue atmosfere dark, è riuscito a rendere bene la favola di Collodi che è anche crudele, macabra, in alcuni punti. Alcune scene, come l’impiccagione di Pinocchio, sono crude e rese in tutta la loro tragicità, senza sconti. Questo aspetto rende il film forse poco adatto ai più piccoli, nonostante negli intenti del regista ci fosse il realizzare un’opera popolare, per tutti, dai 4 anni in sù.

Da premiare anche la scelta di utilizzare pochi, pochissimi effetti speciali, solo quando strettamente necessario (la trasformazione in asino, il ceppo animato, il pescecane e così via), e di preferire l’uso del make-up da Oscar per rendere i burattini di legno. A riguardo, azzeccata anche la scelta degli attori nani.

Certo, i punti di forza non sono pochi, eppure il film non convince fino in fondo. In primis le varie avventure che il burattino affronta paiono degli episodi a sé stanti, slegati dal continuum della storia. Sono persino ben delineate con dei (seppur splendidi) panorami sulla campagna toscana e pugliese. Questo dettaglio va a inficiare anche la costruzione dei personaggi, della loro psicologia, dei loro intenti. Tutto sembra appena abbozzato, o molto più probabilmente fa affidamento sul fatto che conosciamo già i personaggi, almeno in minima parte: Pinocchio è credulone e lo sappiamo, il gatto e la volpe sono degli impostori, la fata è buona, e così via. Il vuoto creato dai personaggi appena abbozzati viene colmato dal grottesco, su tutti il giudice-scimmia, che condanna gli innocenti e rilascia i colpevoli.

Qualche parola va spesa su Benigni. Il suo personaggio è delicato, amorevole e, contrariamente al suo cliché, pacato. Un Benigni diverso, che stupisce e che magistralmente rende l’idea di povertà, di paternità, di cura. Geppetto è un padre diverso anche da Guido Orefice, il protagonista de La vita è bella. Il suo piglio caratteristico non manca, ma si stringe un po’ per lasciare il posto alla profondità e all’umanità.  

Ottima anche l’interpretazione di Massimo Ceccherini, nei panni della Volpe, che esce quindi da un periodo di crisi durato diversi anni. Lo stesso Ceccherini ha dato una mano al regista a instillare un po’ di comicità nella trama, e quindi, a dare un po’ di colore a una favola dai toni cupi e malinconici tipici di Garrone. Chissà chi dei due ha voluto dare al grillo parlante l’accento napoletano?

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