Chi ha letto l’articolo di Anna Meldolesi, Riabilitare i Neanderthal: «Stava eretto e il bacino era come il nostro, pubblicato su Il Corriere della Sera potrebbe averne ricavato l’idea che studi recenti abbiano permesso di superare la concezione che vedeva nei neandertaliani null’altro che dei bruti. Il suo articolo infatti inizia così: “Scimmieschi e ricurvi, ve li immaginate così gli uomini di Neanderthal? Se avete risposto di sì, è ora di rinnovare l’immaginario. Questi umani primitivi avevano un’andatura eretta e ben bilanciata, proprio come la nostra. Lo conferma la ricostruzione virtuale dello scheletro quasi completo di La Chapelle-aux-Saints, presentata sulla rivista Pnas da un gruppo svizzero in collaborazione con un nome noto della paleoantropologia, l’americano Erik Trinkaus”.
Orbene, l’immagine dei neandertaliani bruti ha avuto origine nel 1908, quando a Marcellin Boule è stato consegnato “uno scheletro quasi completo di un maschio adulto neandertaliano rinvenuto a La Chapelle-aux-Saints in Francia. Lo scienziato era certamente un bravo paleontologo, ma del tutto ignaro di qualsivoglia nozione di antropologia ed era stato scelto per analizzare il reperto unicamente perché gli scopritori del fossile erano uomini di chiesa e la Scuola di Antropologia di Parigi, il luogo naturale dove si sarebbero dovuti svolgere gli studi, era un’istituzione positivista. […] I neandertaliani di Boule erano degli individui ebeti che non erano ancora in grado di camminare completamente dritti” (G. Biondi e O. Rickards, Umani da sei milioni di anni, Carocci, 2017, p. 147). L’errore di Boule fu di considerare la posizione del foro occipitale nella base cranica del reperto di La Chapelle-aux-Saints arretrata rispetto a quella dell’umanità vivente e di conseguenza la sua postura non perfettamente eretta. Insomma, i neandertaliani si sarebbero presentati con la testa e il tronco proiettati in avanti e le gambe piegate: un po’ scimmieschi.
La descrizione dei neandertaliani lasciataci da Boule è un capolavoro di pregiudizio e di ignoranza scientifica: “Il cranio colpisce in primo luogo per le considerevoli dimensioni, tenendo presente la bassa statura del soggetto al quale era appartenuto (meno di 1 metro e 60). Colpisce inoltre per il suo aspetto bestiale o, per meglio dire, per la combinazione di caratteristiche scimmiesche. [...] La colonna vertebrale e le ossa degli arti inferiori presentano molte caratteristiche pitecoidi e denotano un’attitudine bipede o verticale meno perfetta di quella dell’uomo attuale. [...] L’utilizzo di un piccolo numero di materie prime, la semplicità dei suoi utensili litici, la possibile assenza di ogni traccia di interessi di ordine estetico o morale si accordano bene con l’aspetto brutale di questo corpo vigoroso e pesante, di questa testa ossuta con la mascella robusta, e si afferma la predominanza delle funzioni puramente vegetative o bestiali sulle funzioni cerebrali” (G. Biondi e O. Rickards, Umani da sei milioni di anni, Carocci, 2017, p. 147).
La descrizione caricaturale di Boule ha ispirato il lavoro dell’artista Zdeněk Burian e in rete è facile trovare molte immagini di neandertaliani bruti. Noi ci limitiamo a proporne alcune.
Un lettore del Corriere della Sera, magari disattento, potrebbe avere pensato di essere stato informato su una scoperta rivoluzionaria, tale da imporre agli antropologi di rivedere le loro conoscenze sui neandertaliani e di riscrivere i loro libri.
Orbene, correvano gli anni Trenta del Novecento e Sergio Sergi, dopo aver studiato i due crani neandertaliani rinvenuti a Saccopastore, nei pressi di ponte Tazio a Roma, così si esprimeva: “Resta così dimostrato che l’uomo di Saccopastore per la posizione e l’inclinazione del forame occipitale doveva tenere assolutamente il capo eretto come gli uomini attuali. E poiché il cranio di La Chapelle presenta condizioni diverse, si potrebbe dubitare che il cranio di Saccopastore appartenga ad un tipo distinto. Ma a me sembra più probabile che la differenza del cranio di La Chapelle dipenda, almeno in parte, da diversi fattori artificiali e cioè da difetto nell’orientamento e da difetti nella ricostruzione della base. [...] Dopo la constatazione da me compiuta in Saccopastore, essendo stata fatta da qualcuno l’obiezione che questa potesse rappresentare un caso particolare, ho indagato le condizioni dell’impostazione del foro occipitale in quei crani neandertaliani, in cui lo stato di conservazione lo permetteva, per assicurarmi se in questi fossero o no sorpassati i limiti che appartengono all’umanità vivente. [...] Queste nuove osservazioni mi permettono di confermare, in modo generale, che nei neandertaliani il forame occipitale non si imposta diversamente da quello degli uomini che vivono oggi e come questi quelli procedevano con il capo eretto” (G. Biondi e O. Rickards, Umani da sei milioni di anni, Carocci, 2017, p. 150). Insomma, i neandertaliani stavano dritti proprio come noi.
Ancora, correva l’anno 1957 e una commissione di anatomisti ha riesaminato il fossile di La Chapelle-aux-Saints e ha convalidato quanto sostenuto da Sergi. Nella relazione ha inoltre scritto: “potesse reincarnarsi ed entrasse nella metropolitana di New York – purché naturalmente si lavasse, si radesse e indossasse abiti moderni – non è detto che attrarrebbe molta più attenzione di certi suoi altri frequentatori” (G. Biondi e O. Rickards, Umani da sei milioni di anni, Carocci, 2017, p. 154). Come si può facilmente scoprire in rete, anche la nuova fisionomia è entrata nell’arte: principalmente a opera di Jay Matternes.
Ancora, correva la fine degli anni Cinquanta del Novecento e nel sito di Shanidar in Iraq: “Sono stati trovati in una medesima fossa i resti di un uomo, 2 donne e un neonato, e sul suolo le tracce del polline di molti fiori. […] però, c’è una spiegazione dell’osservazione che è alternativa all’ipotesi dell’inumazione. Il polline potrebbe essere semplicemente percolato nel terreno e non costituire la testimonianza di un’antica deposizione di fiori nella tomba. Sull’esperienza funeraria dei neandertaliani non sono poche le incertezze e diversi antropologi sono convinti che quelli che noi scambiamo per sepolcri siano in realtà delle tumulazioni per impedire che il fetore della decomposizione richiamasse gli animali, rendendo insicuri gli accampamenti. Che i neandertaliani fossero in possesso di avanzate qualità psico-intellettuali è certamente dimostrato dalla complessa struttura delle loro società, che ha permesso loro di procurarsi il cibo mediante la caccia di gruppo e di accudire i malati. Sempre nel sito archeologico di Shanidar, infatti, è stato trovato uno scheletro con le tracce dell’artrite e con mutilazioni e fratture subite in vita [data la presenza del callo osseo] e a tal punto invalidanti che solo la solidarietà del gruppo può aver consentito a quell’individuo di sopravvivere. Oltre a questi aspetti deve poi essere considerato l’elevato sviluppo raggiunto dalla loro tecnologia, che è stata alla base di una produzione litica di attrezzi e armi molto sofisticata la cui efficienza era in alcuni casi superiore a quella dell’Homo sapiens; e forse perfino di oggetti artistici, come sembra svelare l’incisione di un mammut su un corno d’avorio. Anche l’attenzione all’ornamento del corpo sembra aver trovato una verifica nelle ricerche effettuate nella Grotta di Fumane presso Verona nel 2010. Infatti, sulle ossa delle ali di vari uccelli rinvenute nel sito e risalenti a 44.000 anni fa sono state evidenziate tracce di tagli prodotte con strumenti litici, che gli studiosi hanno ritenuto essere stati praticati per recuperare le penne da utilizzare come decorazione della persona” (G. Biondi e O. Rickards, Umani da sei milioni di anni, Carocci, 2017, pp. 157-8).
Ancora, gli studi molecolari effettuati nel nuovo millennio hanno dimostrato che i neandertaliani dovevano avere una carnagione chiara e una capigliatura rossiccia; che vivevano in piccoli gruppi; che conoscevano il valore curativo di diverse piante; che potevano avere forse un linguaggio articolato piuttosto complesso; e che nel nostro genoma c’è una piccola frazione di geni neandertaliani. La fisionomia di quegli ominini quindi non deve essere stata considerata molto scimmiesca dai nostri antenati che, sebbene in piccola percentuale, si sono incrociati con loro.
Insomma, e per concludere, da molti decenni ormai gli antropologi non considerano più i neandertaliani dei bruti e non devono riscrivere i loro libri.