SCIENZA E RICERCA

Salandin, il “padre” del Museo di Storia della Fisica di Padova

Molti ormai conoscono lo straordinario patrimonio conservato presso il Museo di Storia della Fisica di Padova, ma pochi forse sanno che la messa in salvo di questo patrimonio è legata al nome di un fisico, Gian Antonio Salandin, che ci si dedicò con passione dagli anni ’80, lasciando da parte una brillante carriera in fisica sperimentale delle particelle. Ma cosa si trattava di salvare? Migliaia di strumenti, tra cui astrolabi, microscopi, cannocchiali e macchine a vapore, che dal Settecento in poi avevano segnato la fisica patavina ma che, dalla seconda guerra mondiale, giacevano fra soffitte e cantine dell’Istituto di Fisica di via Marzolo. 

Ricordiamo che l’insegnamento della fisica su base sperimentale, cioè corredata da esperimenti e dimostrazioni, nasce a Padova nel 1738, con la creazione di una specifica cattedra – detta di “filosofia sperimentale” – che viene attribuita a Giovanni Poleni, esponente di spicco della cultura europea, in contatto con i maggiori scienziati ed eruditi dell’epoca, da Newton a Leibniz, da Eulero ai Bernoulli, da Scipione Maffei a Francesco Algarotti. Le sue molteplici competenze lo portarono tra l’altro a curare il restauro della Cupola di San Pietro e a inventare una particolare macchina per tracciare curve trattorie e logaritmiche da cui Eulero, secondo lo storico della matematica francese Dominique Tournès, trasse un modo per affrontare le equazioni differenziali che non riusciva ad integrare sotto forma finita con metodi algebrici.

Per le nuove lezioni di fisica sperimentale, Poleni ottiene dalla Repubblica di Venezia i fondi per procurarsi la strumentazione necessaria, ma gli occorre anche un luogo adatto: il Senato veneziano incarica allora Poleni stesso e il suo caro amico, Giovanni Battista Morgagni, di ristrutturare una parte del palazzo del Bo per ricavarne sia delle stanze per conservare gli strumenti che un teatro per l’insegnamento. Quest’ultimo, come scrive Poleni, doveva contenere al massimo cento persone in modo che tutti potessero seguire gli esperimenti al meglio. Attentissimo alla didattica, Poleni si procura strumenti da vari luoghi d’Europa e d’Italia, fa costruire molti apparati sotto la sua guida esperta e arriva a costituire un Gabinetto di circa 400 oggetti, considerato come uno dei più importanti dell’epoca, attraverso il quale contribuisce a diffondere in tutta Europa la nuova fisica sperimentale nata dalla Rivoluzione Scientifica. Dopo la sua morte, i suoi successori continuano ad arricchire la raccolta in funzione degli sviluppi della scienza, acquisendo migliaia di nuovi apparecchi, nonché alcuni dispositivi più antichi – risalenti al Cinquecento e al Seicento – perché considerati di interesse storico o per esigenze di didattica. E’ ad esempio Salvatore Dal Negro, professore di fisica sperimentale nei primi anni dell’Ottocento ad arricchire la raccolta non solo con le sue invenzioni, tra cui innovativi modelli di motori elettrici tra i primi inventati al mondo, ma anche con strumenti come astrolabi e sfere armillari del Rinascimento, che lui destinava alla didattica e che sono oggi pezzi unici al mondo.

Sempre mantenuto alla punta della ricerca e dell’insegnamento, il Gabinetto di Fisica patavino acquista poco a poco anche una valenza storica per il notevole patrimonio che vi si accumula attraverso i secoli, ed è in questo senso che Francesco Rossetti, professore di fisica sperimentale dal 1866 al 1885, fa scattare numerose fotografie a strumenti ormai desueti. Sono fotografie stupende, scattate nel Cortile Antico del Bo, che Rossetti spedisce a Londra per la Loan Collection of Scientific Apparatus, grande mostra tenutasi a Londra nel 1876 nella sede dell’Esposizione Universale del 1862.

Saranno poi gli anni 1930 a segnare una svolta nella storia del Gabinetto di Fisica: viene costruito nel 1936-37 il nuovo Istituto di Fisica e gli strumenti vi vengono tutti trasferiti; l’edificio è però dotato di nuovi e specifici laboratori per gli studenti e molti apparecchi storici non rivestono più interesse per la didattica. La guerra mette poi in ginocchio la fisica padovana: l’attività si ferma quasi del tutto e, a fine conflitto, non solo occorre recuperare il ritardo accumulato, ma i fondi disponibili sono scarsissimi. La maggior parte della raccolta viene allora “dimenticata” in varie parti dell’Istituto, in un clima di quasi totale indifferenza che dura fino a metà degli anni ’80. E’ allora che Gian Antonio Salandin, decide di occuparsi di questi oggetti ormai polverosi e abbandonati. Nato nel 1932, Salandin aveva studiato fisica all’Università di Padova, dedicandosi subito dopo la laurea allo studio sperimentale delle particelle elementari. Trascorse diversi anni negli Stati Uniti, al MIT di Boston e al Brookhaven National Laboratory. Tornato a Padova nel 1963, proseguì le sue ricerche anche in collaborazione con il CERN di Ginevra, diventando professore ordinario presso l’Ateneo patavino.

Una bella carriera dunque, eppure, da un certo momento, è il patrimonio storico della fisica a suscitare il suo interesse e, pur mantenendo i suoi carichi didattici – gli si devono diversi libri di testo di fisica – si dedica a raccogliere gli strumenti antichi sparsi per il Dipartimento. Trova ad esempio una pompa centrifuga di Poleni utilizzata come porta-gerani in un ufficio! Per anni, studia e restaura i suoi amati strumenti, ottenendo dal Dipartimento di Fisica uno spazio dove fa costruire apposite vetrine che segnano la nascita, negli anni 1990, del Museo di Storia della Fisica. 

Fra le sue principali battaglie per il Museo, vorrei ricordare quella che portò avanti per recuperare i 128 strumenti che nel 1954 vennero dati in prestito al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. L’istituzione milanese ritardò la restituzione per anni, fino a che l’Università di Padova non giunse ad agire per vie legali. Ero all’epoca appena arrivata a Padova e ricordo con piacere ed emozione i diversi viaggi compiuti alla fine degli anni ’90 con Salandin a Milano: percorrevamo i corridoi del Museo milanese, riconoscevamo gli strumenti padovani, ci venivano aperte le vetrine e consegnati i preziosi apparecchi, perlopiù ottocenteschi, che tornavano così finalmente in sede. 

Salandin è mancato il 10 novembre 2018. La cattedra di filosofia sperimentale era stata istituita dal Senato veneziano il 27 novembre 1738. Un grazie di cuore a Gian Antonio Salandin per aver salvato il prezioso patrimonio che la fisica patavina ha “generato” in questi 280 anni.

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