SCIENZA E RICERCA

Saturnismo: il nuovo male delle aquile e di altri rapaci

Non c’è pace per le aquile testabianca americane. Questi magnifici rapaci, simbolo degli Stati Uniti d’America, hanno appena fatto in tempo a riprendersi dai danni del DDT – denunciati da Rachel Carson 60 anni fa in Silent Spring – che già devono affrontare una nuova insidiosa minaccia. E anche stavolta c’è lo zampino (molto poco delicato) dell’essere umano.

Parliamo del saturnismo: ovvero l’avvelenamento da piombo, dovuto all’ingestione di carcasse e viscere di animali abbattuti con munizioni al piombo. Una piaga che colpisce moltissime altre specie di rapaci e animali spazzini, all’apice della rete trofica. Infatti, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Wildlife Management da un team della Cornell University, l’avvelenamento da piombo avrebbe ridotto la crescita della popolazione di aquile di mare testabianca in media del 5% ogni anno. E questa, ovviamente, non è una buona notizia.

Per capirci: oggi in tutti gli Stati Uniti, si contano oltre 326.000 aquile di mare testabianca, con più di 71.400 coppie nidificanti, stando all’ultimo rapporto del Fish and Wildlife Service uscito nel 2021. Un numero eccezionale, se si pensa che nel 1963 si contavano solo 417 nidi. All’epoca, infatti, l’uso massiccio del DDT aveva decimato la popolazione di aquile: questo insetticida biomagnificava, cioè si accumulava e aumentava di concentrazione man mano che risaliva la catena trofica. Perciò le aquile testabianca, predatori all’apice della rete trofica, presentavano concentrazioni altissime di DDT. E questo pesticida interferiva con il metabolismo del calcio, rendendo questi uccelli incapaci di deporre uova sane: il guscio delle uova – fatto di carbonato di calcio – era troppo sottile per sopportare il peso di un adulto in cova, tanto da rompersi. “La “frittata” era quindi servita, ma con la messa al bando del DDT nel 1972 e gli sforzi di conservazione messi in campo, la popolazione di questi rapaci si è ripresa.

Ora, però, a minacciare la tenuta di questi numeri c’è l’avvelenamento da piombo. Il piombo è un metallo tossico per inalazione, contatto e ingestione. Ed è altamente pericoloso anche per la salute umana: proprio per questo è stato rimosso da una ampia gamma di settori produttivi, ma è ancora molto utilizzato nelle munizioni per la caccia agli animali selvatici. Le aquile testabianca, come altri rapaci, avvoltoi e molte specie di mammiferi, si nutrono anche di carcasse di animali selvatici uccisi o feriti dai cacciatori. O magari delle viscere degli ungulati abbattuti che vengono lasciate sul terreno dai cacciatori, per trasportare solo le carni. E il piombo contenuto nelle munizioni e nelle schegge che restano nelle carcasse viene ingerito, portando questi animali a intossicarsi e a morire di saturnismo acuto (un avvelenamento rapido e letale) o cronico (una lenta intossicazione sistemica).

I risultati dello studio condotto dai ricercatori della Cornell University, guidati da Brenda Hanley e Krysten Schuler, parlano chiaro: dal 1990 al 2018, i decessi per saturnismo hanno diminuito il tasso di crescita delle popolazioni di aquile testabianca del 4,2% (per le femmine) e del 6,3% (per i maschi) ogni anno. Insomma, senza inquinamento da piombo, oggi avremmo molte più aquile testabianca. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: a rischiare sono anche rapaci notturni, corvi e avvoltoi, e mammiferi come coyoti, volpi e orsi. Insomma qualsiasi animale specializzato nel mangiare carcasse o che sia un “opportunista”: che mangia quello che trova. E com’è facile intuire, il problema del saturnismo negli animali selvatici non conosce confini, e tocca da vicino anche noi italiani.

Su 252 aquile reali e avvoltoi, il 44% presentava livelli di piombo superiori alla norma

«L’avvelenamento da piombo è una delle maggiori minacce per i nostri grandi rapaci – grifoni, aquile reali, gipeti e avvoltoi monaci – tutelati per legge, ma del tutto indifesi da questa minaccia subdola e silenziosa» spiega Enrico Bassi, ornitologo del Parco Nazionale dello Stelvio, tra i maggiori esperti europei di gipeto: avvoltoio tornato a nidificare sulle Alpi dopo quasi un secolo di assenza, grazie a un ambizioso progetto di reintroduzione. Bassi ha speso la sua vita a osservare e studiare questo avvoltoio, diventando uno dei referenti italiani del progetto Gipeto. Ma oggi anche la ripresa del gipeto – la cui popolazione italiana è confinata in prossimità dei due Parchi nazionali alpini più importanti: quello dello Stelvio e quello del Gran Paradiso (che quest’anno compie 100 anni) – è minacciata dall’avvelenamento da piombo.

«Basta guardare le cifre, come quelle dello studio pluriennale recentemente pubblicato dal Parco Nazionale dello Stelvio con la Provincia di Sondrio, l’Istituto zooprofilattico della Lombardia ed Emilia-Romagna e l’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Su 252 aquile reali e avvoltoi raccolti feriti o morti tra i Pirenei francesi, le Alpi e l’Appennino, il 44% presentava livelli di piombo superiori alla norma, mentre oltre un quarto (il 26%, cioè 66 individui) aveva nei tessuti concentrazioni di piombo talmente alte da indicare un avvelenamento acuto» continua Bassi. «Non esiste specie o luogo immune alla contaminazione da piombo. Anche le aree protette – dove la caccia è vietata – non possono molto contro questa minaccia invisibile: gli animali selvatici sono liberi di varcare i confini delle riserve tracciati su carta, possono essere feriti e convivere con pallini incistati. O possono predare animali abbattuti appena fuori dal perimetro dell’area protetta» sottolinea Bassi. «L’avvelenamento da piombo, purtroppo, vanifica così anche il ruolo delle aree protette».

Una soluzione rapida e a costo zero ci sarebbe: smettere di utilizzare proiettili al piombo.

Il che non significa smettere di andare a caccia, ma solo cambiare proiettili. «Oggi i proiettili costituiti da materiali atossici alternativi ci sono» sottolinea Bassi. «Ormai le principali aziende produttrici producono proiettili monolitici atossici in rame per la caccia agli ungulati e in acciaio e tungsteno per le munizioni spezzate. Per esempio, nel Parco Nazionale dello Stelvio, il controllo numerico del cervo viene effettuato dal 2011 utilizzando solo proiettili atossici in rame, proprio per tutelare il gipeto: qui allo Stelvio vive infatti il 60% della popolazione italiana di questo avvoltoio».

Dello stesso avviso sono anche i ricercatori della Cornell University: «la speranza è che i risultati del nostro studio sull’aquila di mare testabianca possano aiutare i decisori politici e i cacciatori a prendere scelte migliori, a utilizzare proiettili alternativi atossici» ha affermato Krysten Schuler, tra gli autori del paper.

Tornando all’Italia, la provincia di Sondrio è stata pioniera in tal senso: la prima in Italia e in Europa a bandire le munizioni con piombo per la caccia agli ungulati. Ma serve uno stop totale perché i bandi parziali si sono dimostrati inefficaci e disattesi. Proprio per questo da un’ampia rete di associazioni, Cras, Musei e gruppi ornitologici italiani, alpini ed europei è nata la petizione “Stop al piombo sulle Alpi”, che ha già raccolto quasi 19.000 firme e che si spera continui a raccogliere le adesioni di tutti coloro che hanno a cuore la salvaguardia degli animali selvatici.

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