UNIVERSITÀ E SCUOLA

Studenti, medici e soldati

Le aule delle università italiane erano vuote, anche se molti atenei non risultavano ufficialmente chiusi; non ci aspettava una guerra così lunga. Durante l’anno accademico 1914-15 la grande maggioranza degli studenti dell’università di Padova, l’83% dei maschi, s’era arruolata. Molti di loro morirono, “soprattutto gli studenti delle facoltà umanistiche” perché, spiega Piero Del Negro, “furono immessi nei ranghi della fanteria, l’arma che dovette sopportare di gran lunga le perdite più elevate”; diversamente accadde a “quelli delle facoltà scientifiche, spediti più spesso nelle retrovie in qualità di ufficiali medici o artiglieri o genieri” (L’Università di Padova, 2002).

Durante il primo anno di guerra l’esercito italiano si era scoperto impreparato, costituito com’era da una grande maggioranza di soldati privi di un addestramento militare, e da un corpo ufficiali di complemento “assurdamente inferiore all’esigenza di inquadrare le centinaia di migliaia di uomini mobilitati”, osserva Del Negro (Quaderni dell’Università di Padova, n. 44, 2011). Mancavano soprattutto i medici, e l’alta mortalità degli studenti di medicina arruolati in fanteria e nei corpi combattenti dell’esercito (alpini, bersaglieri, aviatori), rischiava di privare di ogni risorsa in quel campo.

Per arginare questo processo, un decreto luogotenenziale del 1916 (il n. 1678 del 26 novembre) stabilì che gli studenti di medicina di tutto il Regno venissero richiamati dal fronte per seguire un corso intensivo di istruzione per “aspiranti ufficiali medici”. Un corso che li avrebbe portati alla laurea nel più breve tempo possibile, ma anche con una preparazione sufficiente nel campo della medicina di guerra. Tutti gli studenti già arruolati ma iscritti negli ultimi quattro corsi (dal 3° al 6° anno, dunque) vennero allora fatti convergere a Padova, sede di questo Battaglione degli studenti di medicina e chirurgia o, più semplicemente, Battaglione universitario.

Nel 1916-17 le aule si affollarono quindi nuovamente, e non solo: si riempirono anche i nuovi edifici dove ancora non era stata attivata la didattica, come quelli di ingegneria, farmacologia, chimica generale, zoologia, anatomia comparata e patologia generale. Vennero costruite baracche lungo il Piovego per le mense, occupati edifici pubblici e appartamenti privati, usati gli spazi dell’Istituto Pietro Selvatico, per l’occasione adibito a istituto anatomico.

La scelta di tenere proprio a Padova i corsi era ampiamente giustificata, secondo Maurizio Rippa Bonati, “per la presenza di una facoltà medica attiva e di una organizzazione ospedaliera rodata, innanzitutto, ma anche per l’esistenza di una sperimentata capacità ricettiva rapidamente potenziabile, per la posizione prossima al teatro di guerra, senza essere troppo vicina al fronte, e non ultimo per la facile e rapida raggiungibilità grazie a buone vie di comunicazione” (MedicinaMagazine. Il giornale della facoltà di Medicina di Padova, 2010, 4).

Il battaglione, diviso in quattro compagnie di allievi di truppa e due compagnie di allievi ufficiali, era costituito da 1332 uomini, di cui 328 ufficiali  e 1004 marescialli, sottufficiali e soldati, e veniva considerato come appartenente all’esercito d’operazione temporaneamente dislocato nel territorio delle retrovie. Una quinta compagnia riuniva i professori con grado militare, tutto il personale del comando, gli ufficiali d’inquadramento e tutti gli uomini di truppa di servizio. A insegnare vennero chiamati docenti da tutta Italia, sotto la guida dell’allora preside della facoltà di medicina, Luigi Lucatello, per l’occasione nominato Maggiore Generale.

In realtà già nel gennaio del 1916 il Comando supremo aveva istituito corsi “accelerati” di medicina per studenti del quinto e del sesto anno, stabilendone la sede a San Giorgio di Nogaro, ma i limiti di una tale scelta, soprattutto in campo didattico e ricettivo, l’anno successivo portarono quella Università castrense a divenire semplicemente una sede dislocata del battaglione padovano.
I corsi duravano solo poche settimane ciascuno, durante le quali gli studenti ricevevano un’infarinatura utile a rispondere in modo immediato alle necessità del fronte, dove non avrebbero applicato la medicina più raffinata ma praticato in buona parte amputazioni, dissezioni e ricuciture grossolane.

A Padova le lezioni iniziarono nel novembre del 1916 e terminarono in forma solenne il 30 marzo del 1917. Pochi mesi durante i quali gli studenti frequentarono corsi come anatomia descrittiva e patologica, medicina operatoria e chirurgica, esercizi di dissezione, fisiologia, oculistica, farmacologia, dando gli esami finali fra il febbraio e l’aprile del ’17. Parecchi studenti furono bocciati o si ritirarono durante il corso, tanto che se ne laurearono solo 51 di quelli che seguivano il corso a Padova e 467 appartenenti alla sezione di San Giorgio di Nogaro.
Questa “laurea di guerra” avrebbe permesso, però, di esercitare la professione di medici anche in tempo di pace, e ciò aveva provocato non poco disappunto nei detrattori del Battaglione universitario. Ogni critica venne però vinta dalla consapevolezza della drammatica urgenza di medici al fronte: in quel caso, la scelta fu obbligata dallo stato di necessità, che si impose sulla completezza dell’esigenza formativa.

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