CULTURA

Venezia 79: il Leone d’oro premia l’impegno sociale

Questa Biennale Cinema sarà ricordata più di altre per l’impegno per i diritti civili, con una forte presa di posizione a favore dell’Ucraina e il continuo ricordo dei registi iraniani perseguitati dal governo, e in particolare di Jafar Panahi, che è stato arrestato questo luglio per propaganda sovversiva ma che è riuscito a far arrivare a Venezia almeno il suo film, Kher nist (No bears) che ha vinto tra l’altro il premio speciale della giuria.

Anche il Leone d’oro e il Leone d’argento Gran Premio della Giuria riflettono la volontà di dare un riconoscimento a opere che testimoniano un impegno che travalica l’arte di per sé: il secondo è andato ad Alice Diop, con Saint Omer (che si è guadagnato anche il Premio Venezia opera prima), un film che prende le mosse da un infanticidio per raccontare l’isolamento delle donne e in particolare delle madri, dei loro sentimenti ambigui e umanissimi in una società sempre pronta a giudicarle e metterle in croce. Il Leone d’argento è andato invece a Bones and all di Luca Guadagnino, un film in qualche modo più narrativo che non manca di far riflettere su temi importanti.

Il Leone d’oro va invece a All the beauty and The bloodshed di Laura Poitras, un documentario sulla vita della fotografa e attivista Nan Goldin e in particolare sul suo impegno contro la Sackler, la famiglia che possedeva la Pardue Pharma, cioè la casa farmaceutica produttrice dell’OxyContin, un oppioide che veniva pubblicizzato dicendo che non dava dipendenza, e che invece è stato uno dei principali attori in quella che è stata chiamata “epidemia da oppioidi” che uccide quasi 50.000 americani ogni anno per overdose.

La stessa Goldin ha ammesso pubblicamente di soffrire di dipendenza da oppioidi: come moltissimi altri americani aveva cominciato a prenderli per calmare il dolore, ma in breve tempo era diventata incapace di farne a meno, trovandosi costretta, alla fine, a intraprendere un percorso per disintossicarsi dall’ossicodone. Superata la crisi, aveva scoperto le responsabilità della Pardue, e si era sentita doppiamente colpita, perché con i soldi macchiati di sangue la famiglia Sackler finanziava musei e enti culturali, guadagnandosi targhe commemorative mentre migliaia di americani morivano. Goldin ha quindi fondato PAIN (Prescription Addiction Intervention Now), un gruppo che si proponeva di colpire la famiglia Sackler portando il caso OxyContin all’attenzione del pubblico, dei media e soprattutto dei musei che beneficiavano delle donazioni criminali della famiglia.

Hanno lavato i loro soldi di sangue attraverso le sale dei musei e delle università di tutto il mondo. Chiediamo che i Sackler e la Purdue Pharma usino la loro fortuna per finanziare il trattamento delle dipendenze e l'istruzione Nan Goldin

Nel documentario assistiamo alle manifestazioni in cui il gruppo di attivisti getta flaconi vuoti del farmaco sul pavimento dei musei più importanti del mondo (particolarmente suggestiva è la scena in cui finiscono nell’acqua al MET) e alla lotta contro la famiglia Sackler, vinta solo in parte, visto che nel primo processo ha ottenuto l'immunità (ma alcuni stati americani stanno preparando il ricorso).

Questa battaglia, però, rappresenta solo una parte, peraltro limitata, del documentario, che è, di fatto, sulla vita intera di Nan Goldin. Il titolo stesso rimanda al suo primo trauma, cioè la perdita della sorella maggiore, suicidatasi dopo vari ricoveri in ospedali psichiatrici: “vede il futuro, tutta la bellezza e lo spargimento di sangue” era una frase contenuta in un rapporto medico su Barbara Goldin. Il documentario prosegue poi ricordando le sue mostre, la vita sregolata ma luminosissima vissuta con persone simili a lei e il dramma dell’AIDS che le ha portato via amici e amiche.

A livello artistico, è un documentario estremamente classico: si alternano immagini e video con una voce fuoricampo che descrive ciò che lo spettatore vede ed esplica ulteriormente pensieri e sentimenti della fotografa. La forza della pellicola sta nell’impegno di Goldin, nella lotta del nano contro il gigante che sembra indistruttibile (la storia della Pardue è raccontata anche nella recente serie Dopesick di Disney+), nel desiderio di praticare un taglio netto tra il mondo dell’arte, a cui Goldin appartiene di diritto, e la famiglia Sackler. In questo senso ci sarebbe da chiedersi se gli applausi commossi alla fine della proiezione in Sala Grande fossero più per Goldin o per Laura Poitras, ma è incontestabile che la giuria della Biennale si sia fatta un’idea precisa.

Ora la speranza è che la risonanza mediatica che potrebbe avere All the beauty and The bloodshed, vittima per ora di una promozione molto timida, porti alla marcia indietro di tutti quei musei che accettano ancora le donazioni della famiglia Sackler.

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