CULTURA

Venezia 79: The Banshees of Inisherin è una ghiotta occasione persa

In Italia uscirà il prossimo febbraio, ma nel frattempo The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh debutta a Venezia tra i film in concorso. Parliamo di un film ibrido, una commedia amaramente drammatica nella quale la fotografia e la sceneggiatura sono regine incontrastate, almeno all’inizio. La storia è quella di Pádraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson), due migliori amici che vivono in una piccola isola al largo della costa irlandese, mentre sulla terraferma infuria la guerra civile (siamo nel 1923). Il loro è un rapporto consolidato, fatto di piccole abitudini, come la pinta delle due del pomeriggio al pub e le chiacchierate su argomenti di scarsa importanza. Per anni questo rapporto è stato soddisfacente per entrambi, ma il film si apre con una frattura: Colm non vuole avere più niente a che fare con Pádraic.

Sull’isola le voci sugli abitanti corrono più veloci di quelle sulla guerra, che a ben vedere non sconvolgono nessuno: la guerra è lontana, sono “solo” un sacco di morti da cui nessuno, nell’egoismo più becero, viene toccato. I paesani pensano che Colm e Pádraic abbiano litigato, e anche il protagonista è piuttosto spiazzato, al punto da ritenere di aver detto all’amico qualcosa di spiacevole mentre era ubriaco, tanto più che Colm non vuole nemmeno parlargli per spiegare quali siano i motivi della sua insofferenza. L’uomo però insiste, e la risposta di Colm è lapidaria: “Non mi vai più a genio”.

Tutto qui: dal nulla Colm ha deciso che può impiegare meglio il suo tempo, magari scrivendo canzoni da suonare al violino per essere ricordato dai posteri, invece di intrattenersi con l’amico che è noioso (“ma è sempre stato noioso!”, gli fanno notare, non riuscendo però a smuoverlo di un millimetro).

Trailer del film

La prima parte del film è molto gradevole e ben costruita: la fotografia ci restituisce dei panorami irlandesi mozzafiato, con scogliere, albe e tramonti sul mare, luci naturali fredde e distese d’erba che, è risaputo, in Irlanda hanno un colore tutto loro. È un quadro talmente perfetto che viene il dubbio possa essere un po’ stereotipato, ma se così fosse almeno uno dei due attori, irlandesi doc come il regista, che li ha riuniti dopo il film In Bruges, si sarebbero probabilmente ribellati. Il pubblico beve dagli occhi le inquadrature panoramiche, ride un po’ di Pádraic che è un inoffensivo sempliciotto, si fa venire voglia di un birra, probabilmente rossa.

Poi qualcosa si spezza, nel ritmo ma soprattutto nell’efficacia della sceneggiatura: l’obiettivo è quello di far comprendere allo spettatore che l’isola non è questo grande paradiso solo perché la guerra non è ancora arrivata, che la solitudine non è divertente come poteva sembrare e che ci vogliono pochi attimi per trasformare un sempliciotto con il cuore spezzato e un anziano che pensa di meritare di più in due persone distruttive e autodistruttive. Il problema è che per raggiungere questo obiettivo si scade nel grottesco, lo script perde la verve senza sostituirla con niente di diverso, i panorami così accurati sembrano spegnersi. La bravura e la sintonia dei due attori ci mettono una pezza, ma la scrittura dell’ultima parte del film lo trascina nel limbo dei dimenticabili, rischiando di mandare in fumo tutto il resto.

Basterà lo scivolone finale a scoraggiare la giuria? Diciamo che al momento The Banshees of Inisherin non ha come rivali dei film perfetti che si sono già accaparrati mezzo leone d’oro com’era successo con Joker nel 2019, quindi niente è perduto e il gioco è ancora aperto. Certo che la défaillance finale segna una ghiotta occasione persa per una pellicola che avrebbe potuto mettere una seria ipoteca sulla vittoria di questo festival.

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