CULTURA

Verso il '22 -  Il sol dell'Avvenire nelle sacrestie d'Italia

È inutile. Bisognava far partire prima questa serie, se la formula era procedere anno per anno verso l’ottobre ’22 – Marcia  su Roma – scrivendo cento anni dopo, del ’19  nel ’19, nel ’20 del ’20 e via così. Siamo a ottobre 2021, un solo anno ci divide da quel 28 ottobre 1922 in cui va a sfociare la crisi degenerativa e trasformativa dello Stato liberale, e siamo ancora qui a sfaccettare il 1919. Bisognerebbe ora marciare verso la Marcia, ma indossando i trampoli. Dunque, cambiare passo. Predisporsi a entrare in un continuum magmatico. Né lo spazio pubblico in velocissima mutazione in cui si muovono gli attori sociali, né la pluralità concomitante dei tempi in cui si trovano a vivere, si adeguano agli ingabbiamenti degli anni solari. Fiume viene occupata-liberata a fine ‘19, ma è protagonista per tutto il ‘20 e il Fiumanesimo permane nell’aria come brace fumante e alternativa per forse riattivabili scelte fra due possibili capi di un movimento ‘al  di là della destra, al di là  della sinistra’. Le elezioni politiche, coi trionfi elettorali dei socialisti -156  deputati, il primo partito alla Camera - e dei cattolici del Partito Popolare Italiano (PPI) – formalmente nato quell’anno, ma  con la dote al primo colpo di  100 deputati – sono  del novembre ’19, ma il Parlamento che ne esce sfonda ovviamente la paratia cronologica. Mussolini ha riunito a Milano il 23 marzo quello sgangherato centinaio di apostoli dei Fasci, che non sanno quello che vogliono, ma lo vogliono fortemente. (Passaggio di impronta lussiana - noteranno gli stilisti - , e io ne approfitto per caldeggiare la lettura di Marcia su Roma e dintorni ). Restando chiusi entro l’anno, non ne cogliamo ancora gli effettivi orientamenti, anche se tutti quei sogni rivoluzionari, per quanto fumosi e velleitari, fanno Diciannovismo e resteranno come retroterra e immanente ritorno di fiamma: il come eravamo di due generazioni, reinnesco d’epoca - dal ’19 al ’45 - del costitutivo nesso Vecchi/Giovani, che si ripropone dal Risorgimento e percorre tutta la storia dell’Italia unitaria.

Intanto – per  dare riferimenti territoriali ravvicinati sulla geografia politica terremotata nelle amministrazioni venete – ci sono, a Verona, o ci saranno presto, a Vicenza, sindaci socialisti, cioè il ‘sol dell’avvenire’ anche nelle ‘sacrestie d’Italia’. E così a Belluno e a Mestre, sino al 1926 Comune autonomo. Per contro, a Venezia, dopo quasi venticinque anni, la Giunta clerico-moderata di Filippo Grimani non si vede dare finalmente il cambio dai socialisti, ma passa direttamente a un Sindaco nazionalista e fascista, Davide Giordano, il primo in Italia, con la città lagunare che ancora una volta anticipa i processi nazionali. Treviso ha  un sindaco popolare, ma conosce anche il fenomeno distintivo dei repubblicani sociali, i fratelli Guido e Mario Bergamo, già interventisti, ufficiali pluridecorati e tutti e due giovani deputati del partito repubblicano, con un anomalo seguito di masse contadine in quella che viene denominata all’epoca la ‘Repubblica di Montebelluna’. A Padova il centro-sinistra non ricupera al Municipio la maggioranza perduta subito prima della guerra e anzi Alfredo Rocco, intellettuale militante della nuova  destra nella Facoltà di Giurisprudenza e fra i capi del Nazionalismo italiano, fa proseliti e indirizza il clima fra docenti e studenti. Viceversa, a Rovigo e nel Polesine dei braccianti, i voti socialisti rastrellano tutto, Comune per Comune, capoluogo e provincia.

Come si può vedere, tutto, fuori che un predestinato, compatto monopolio da “area  bianca”. Anche qui ‘da noi’, come dovunque nella penisola, dopoguerra aperto, crocevia dei possibili.

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