UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università: i docenti non sono anziani, sono troppo pochi

Pochi docenti ordinari sotto i 40 anni? Piuttosto, pochi docenti universitari tout court, visto che il loro numero in Italia è del 25% più basso rispetto alla media europea. L’inchiesta del Corriere della Sera sull’università, a firma di Gian Antonio Stella, punta l’indice contro l’età media del corpo docente che, ricercatori compresi, è di 52 anni e mezzo. Su 13.239 professori ordinari non ce n’è nemmeno uno che sia al di sotto dei 35 anni e solo 15 ne hanno meno di 40;inoltre, su 51.807 docenti di ogni ordine e grado gli over 60 sono il triplo (24,8%) di quelli sotto i 40 scesi all’8,8%”. 

Al di là delle questioni legate all'età, però, il dato davvero grave evidenziato dall’inchiesta è la “scomparsa” di 10.000 docenti negli ultimi 8 anni: gli ordinari sono scesi da 19.858 a 13.239 con un calo del 33% mentre “il calo complessivo è stato intorno al 16% e l’età media delle varie fasce è impressionante: 60 anni gli ordinari, 53 gli associati e addirittura 47 e mezzo i “giovani” ricercatori in carriera”.

“Il fatto che gli 'ordinari' sotto i 40 anni siano rarissimi non può essere considerato scandaloso perché va ragionato in collegamento con la carriera scelta - spiega la professoressa Alessandra Pietrobon - Diventare professore ordinario rappresenta l’apice di una carriera che non ha tempi rapidi”. Il vero problema è che con le attuali regole per il turnover le cose sono destinate a peggiorare proprio per quanto riguarda il numero complessivo dei docenti in servizio,  spiega un dossier del Consiglio universitario nazionale (Cun) della primavera scorsa. 

Quali le cause di questa progressiva diminuzione? È lo stesso dossier del Cun a indicare le principali: la riduzione dei finanziamenti, il blocco del turnover e l’abbassamento dell’età pensionabile. Se non si interverrà adeguatamente, la situazione è destinata a peggiorare, e in tempo brevi: tanto che il numero degli ordinari nel 2018 potrebbe scendere del 50% rispetto a dieci anni prima. "La grave diminuzione numerica in corso, mai registrata in precedenza in queste dimensioni, renderà improponibile la corretta gestione e lo sviluppo di un sistema universitario così complesso e articolato come il nostro”, ha dichiarato Andrea Lenzi, presidente del Cun. 

La necessità di ridurre l’invecchiamento del corpo docente, dando più spazio ai giovani, è un problema sollevato anche dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) che ha redatto una lettera/documento per il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Si tratta a mio avviso di un documento importante e innovativo – commenta il rettore Giuseppe Zaccaria – che ha raccolto l’unanimità dei consensi all’interno della Crui, e che sottolinea con forza l’assoluta necessità per il Paese di sbloccare l’emorragia del numero di docenti e i loro drammatico invecchiamento causato da assurdi limiti al turnover”.

Concentrarsi sul problema dell'età invece che vedere il nodo della drammatica diminuzione del corpo docente è però un equivoco ricorrente nella copertura dei problemi dell'università da parte dei maggiori media. Le tematiche dell'istruzione superiore  vengono infatti rappresentate con un quadro in parte sbilanciato su aspetti secondari, in parte risalente a dati non più attuali anche su CorriereTV, dove Roger Abravanel, già dirigente presso l'agenzia di consulenza internazionale McKinsey & Company ed autore del bestseller Meritocrazia, intervistato da Daniele Manca dice che siamo gli unici al mondo ad avere i fuori corso, e che la nostra università laurea persone troppo anziane. Eppure, basta una breve verifica dei dati effettivi per constatare che siamo perfettamente nella media con le altre nazioni Ocse. 

Afferma Abravanel: “La nostra università laurea persone troppo anziane. Il mercato del lavoro vuole dei giovani: a 28 anni, media 27 anni, si è troppo vecchi per il lavoro. E questo perché? Perché noi siamo gli unici al mondo che abbiamo i fuori corso. Negli altri paesi si dice ti devi laureare in questi tre anni e poi su questo avrai il voto, da noi si dice vai avanti e prendi voti migliori, ma non vuol dire niente”. I dati dicono però che in Italia l'età media dei laureati è 26 anni, in linea con la media Ocse che è la medesima; inoltre, nell'80% dei casi l'età dei laureati italiani di primo livello non supera i 28 anni, mentre il dato Ocse generale per la medesima percentuale è di 30. E quella dei fuori corso non può certo essere considerata un’anomalia italiana.

Ma ciò che appare “fuori media” è piuttosto il costo della laurea, perché in Europa solo Regno Unito e Paesi Bassi hanno tasse universitarie più alte delle nostre, mentre siamo agli ultimi posti dell'Ocse per gli interventi di sostegno al diritto allo studio: tra il 2006/07 e il 2011/12, la percentuale degli studenti beneficiari di borse di studio in Germania, Francia e Spagna è aumentata rispettivamente del 32%, 33% e 59% - dato quest'ultimo riferito a  un paese in crisi quanto e più dell'Italia come la Spagna - mentre in Italia è calata del 22%.

Sui fuori corso, poi, l’analisi di Abravanel sembra fondata su elementi  datati. “All'Italia manca il rispetto delle regole e dei tempi. Credo che la scuola sul rispetto delle regole debba dare un segnale forte… Gli studenti fuori corso hanno un costo, anche in termini sociali” dichiarava il ministro Francesco Profumo nel luglio 2012. Una visione già all’epoca confutata da più parti, e in definitiva ingenerosa: perché i fuoricorso, che sono molti meno di quanto si pensi generalmente, di regola sono studenti lavoratori che finiscono per impiegare un tempo maggiore in quanto devono studiare e assieme mantenersi, in mancanza di famiglie abbienti alle spalle. Anche qui dunque, non il problema principale. Perché, è importante non dimenticarlo, l'università italiana in 10 anni (2004-2014) è passata da 338.000 a 260.000 matricole, con una perdita del 30% nel solo ultimo triennio, e il nostro Paese con il 15% di laureati rispetto alla popolazione complessiva si piazza al penultimo posto fra le nazioni Ocse, dove la media è del 31%: oltre il doppio. E questo davvero è un problema per tutti, che sarebbe urgentissimo affrontare.

Donatella Gasperi

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