CULTURA

L'università delle donne. La "femminilizzazione" degli atenei

Nei due precedenti servizi della serie L’università delle donne, le storiche Carlotta Sorba e Alessandra Gissi hanno illustrato da un lato il percorso che ha portato le donne nelle aule universitarie al pari degli uomini, con i decreti Bonghi-Coppino del 1875 e 1876; dall’altro, il modo in cui le studentesse universitarie sono state rappresentate, tra stereotipi e luoghi comuni, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento. È questo, però, il momento in cui qualcosa comincia lentamente a cambiare.

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso l’università cessa di essere un’istituzione d’élite, per diventare una realtà di massa, con una crescita esponenziale di immatricolazioni in tutta Italia. Andrea Martini, ricercatore all’università degli Studi di Verona e curatore con Carlotta Sorba del volume L’università delle donne, spiega che in questo contesto il fenomeno più evidente, e senza precedenti, è la massiccia presenza di studentesse. Sono diversi i fattori che favoriscono il sorgere dell’università di massa: innanzitutto la realizzazione della scuola media unica; l’istituzione di un assegno di studio per chi frequentava l’università e apparteneva a famiglie a basso reddito (il cosiddetto presalario); ancora, la legge che nel 1969 consentiva l’accesso all’università a diplomati provenienti da qualsiasi tipo di istituto, senza le restrizioni che vigevano in precedenza; e infine l’abolizione dell’esame di ammissione alla facoltà di Magistero nel 1968.

Ebbene, qualche dato fornisce la dimensione del fenomeno: se nell’anno accademico 1960-1961 l’Istat rileva circa 70.000 studentesse universitarie in Italia, nel 1975-1976 la cifra sarebbe aumentata di ben 300.000 unità. A Padova, per citare un ateneo su tutti, nel 1966-1967 le immatricolate sono 6.500, nel 1979-1980 più di 26.800.

Guarda l'intervento completo dello storico Andrea Martini. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Martini, tuttavia, non si esime dal proporre alcune osservazioni: “Non dobbiamo osservare questo processo, chiamato femminilizzazione dell’università, con sguardo ingenuo, bensì dobbiamo provare a decostruire tale fenomeno, osservandolo con uno sguardo più disincantato. Ciò che possiamo constatare infatti è certamente un aumento della presenza femminile in tutti gli atenei, Padova compresa, ma il gap tra studenti e studentesse in termini numerici rimane sostanzialmente costante. In altri termini aumentano le studentesse, ma aumentano in proporzioni uguali anche gli studenti. Soltanto all’inizio degli anni Novanta a Padova, come in altre università italiane, il numero di studentesse aumenterà al punto tale da pareggiare il numero degli studenti, sopravanzando addirittura questi ultimi nell’anno accademico 1990-1991”.

Come nei decenni precedenti, del resto, le facoltà più frequentate rimangono quelle che garantiscono uno sbocco nella scuola, dunque principalmente Lettere e Filosofia e Scienze matematiche, fisiche e naturali. A partire dagli anni Settanta, l’orientamento inizia a cambiare e molte studentesse si iscrivono in maniera più significativa anche a Medicina, Giurisprudenza, Economia e Commercio, Scienze politiche e Architettura. Nonostante ciò, al termine degli studi la scelta professionale rimane prevalentemente la stessa: “La trasformazione dell’università in una realtà di massa e la maggiore presenza del genere femminile – scrive Martini – non comportò l’automatica messa in discussione di un immaginario che vedeva le donne votate quasi esclusivamente all’insegnamento o all’assistenza. Per compiere un passo in avanti in tal senso fu necessaria l’attivazione di altri fattori, tra cui l’affacciarsi sulla scena politica di culture femministe e il loro successivo consolidamento”.

Negli ultimi anni i dati mostrano che qualcosa si sta muovendo, secondo Lorenza Perini e Naila Pratelli che ne scrivono nel volume L’università delle donne: aree del sapere scientifico come medicina e biologia vedono un numero sempre piuttosto consistente di iscritte, e i corsi di laurea delle scienze dure, le cosiddette Stem (Science, technology, engineering and mathematics) iniziano ad attrarre via via sempre più studentesse. Secondo i dati dell’Osservatorio Talents Venture del 2019, nel nostro Paese le immatricolazioni di ragazze sono passate dal 14% al 16,3% (contro il 37,3% degli studenti). Si tratta tuttavia di aree del sapere “in cui le donne non riescono facilmente a proiettare il proprio futuro”.

A Padova, in particolare, nell’anno accademico 2018-2019, stando a quanto riferiscono le autrici che prendono in esame il Bilancio di genere dell’ateneo, la presenza di donne nelle aree Stem si attesta in aumento al 22% rispetto ai dati del 2017. Le studentesse dimostrano di avere un percorso di studi più regolare e voti mediamente più alti dei compagni, ma questo nella gran parte dei casi non si traduce in un vantaggio occupazionale né in una parità retributiva. A ciò si aggiunga che tra il personale docente all’università di Padova, le donne rappresentano il 36,6%, una percentuale che scende al 13,7% se si considerano le cattedre scientifiche.

Concludono Perini e Pratelli: “Se è vero che le rappresentazioni stereotipate dei ruoli sociali si possono decostruire soltanto con la pazienza e la determinazione di politiche mirate, è vero anche che ciò che propongono le istituzioni nazionali e locali – in termini di interventi per il riequilibrio della rappresentanza, la parità di accesso allo spazio pubblico e al lavoro e rispetto a un orientamento scolastico mirato a sostenere le potenzialità di ragazzi e ragazze – si sta dimostrando ancora molto parziale e sporadico, non in grado di dare risposte soddisfacenti e in tempi rapidi”.

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