UNIVERSITÀ E SCUOLA

La “migrazione delle matricole” che penalizza le università del Sud

Tra i flussi migratori che interessano l’Italia, uno è meno discusso di altri: gli spostamenti regionali degli studenti universitari. Certo, la tendenza è tradizionale e nota, e va in una sola direzione. Una parte nutrita delle matricole residenti nelle regioni del Sud tende a spostarsi al Centro-Nord; gli studenti del Nord invece rimangono dove sono. Una mappatura analitica degli spostamenti regione-regione degli immatricolati 2015/2016 negli atenei italiani è stata tracciata da Il Sole 24 Ore, che ha elaborato i dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur. Non ne risultano grosse sorprese, ma ora siamo in grado di valutare con maggiore precisione i dettagli di questa migrazione interna. Diversi i fattori in gioco: se gli studenti del Nord possono contare su un elevato numero di atenei a disposizione e su un’amplissima offerta didattica, al Sud (in particolare nelle regioni più piccole) molti giovani decidono, dopo il diploma, per il trasferimento, vissuto spesso come fonte di maggiori opzioni formative e precondizione per una più agevole transizione verso il mondo del lavoro. 

Guardando ai dati generali (riferiti dunque al corrente anno accademico), rileviamo che l’“indice di stanzialità” nazionale (la percentuale di residenti che scelgono un ateneo della propria regione) è in media elevato: oltre il 71 per cento. Quasi tre studenti su quattro, per gli studi universitari, rimangono nel proprio territorio. Ma, come si vedrà, il dato generale offusca differenze profonde. L’analisi delle cifre porta a dividere l’Italia in tre aree distinte. Anzitutto il gruppo delle regioni-calamita, in cui il tasso di stanzialità è tra l’84 e il 90%: Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Campania. Qui troviamo due casi particolari rispetto al nucleo forte del Centro-Nord: la Sardegna, la cui insularità ha probabilmente un peso rilevante nella permanenza dei suoi immatricolati; e la Campania, unica regione peninsulare del Sud ad avere un altissimo tasso di fedeltà degli studenti residenti. Queste sette regioni si caratterizzano per essere i bacini collettori di quasi tutti i propri abitanti; ma al loro interno, un sottogruppo di cinque (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio) riesce anche ad attirare una quota importante di iscritti provenienti da altre regioni. Sono queste le aree nazionali di riferimento per l’immigrazione studentesca, le uniche in grado di intercettare massicci flussi di matricole residenti altrove (come si vedrà, vengono in gran parte dal meridione peninsulare). Nella classifica delle regioni più attraenti per i “forestieri” è in testa l’Emilia-Romagna: nell’insieme delle sue sedi universitarie, il 39% degli immatricolati viene da fuori regione. Seguono il Piemonte (26,7% di fuori regione) la Toscana (24%), il Lazio (22,6%), la Lombardia (22,2%). Da sole, queste cinque regioni attraggono oltre 36.000 matricole non residenti: accolgono quindi il 25% di tutti gli immatricolati delle altre 15 regioni italiane.

 

Il secondo gruppo è quello delle regioni intermedie, con un buon tasso di permanenza dei propri residenti (intorno al 73 – 80%): sono Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria, Sicilia. Se per l’isola si può spiegare la scarsa mobilità dei residenti per ragioni analoghe a quelle della Sardegna, le altre regioni vedono un notevole tasso di “fedeltà territoriale” delle proprie matricole, mentre faticano di più, in genere, ad attrarre iscritti extraregionali. Vi sono però singoli casi interessanti di flussi in entrata da regioni vicine; così, ad esempio, quasi un terzo degli iscritti in Trentino Alto Adige e un quinto degli iscritti in Friuli Venezia Giulia viene dal Veneto. 

C’è poi il terzo gruppo, quello delle regioni di emigrazione studentesca: Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Basilicata, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria. Qui il tasso di stanzialità va dal 30 - 40% circa delle piccole regioni (Valle d’Aosta, Basilicata, Molise) caratterizzate da un’offerta formativa limitata e quindi con scarse possibilità di trattenere i propri giovani, al 60-65% delle regioni più grandi (Trentino Alto Adige, Abruzzo, Puglia, Calabria). Anche qui una presenza anomala, il Trentino Alto Adige, unica regione del Nord (Valle d’Aosta a parte) a presentare un tasso di fedeltà della fascia più bassa. La spiegazione, in questo caso, si deve ricercare nel fortissimo flusso di immatricolati trentini e altoatesini che si spostano per studiare in una regione vicina, il Veneto: uno su quattro passa il confine.

Per riassumere: se in generale la propensione degli studenti italiani a rimanere nella propria regione è elevata, il bilancio dei flussi migratori studenteschi è nettamente a favore del Centro-Nord-Ovest, area in cui si registra un forte tasso di “fedeltà regionale” degli studenti, ma dove soprattutto esiste un nucleo-guida di regioni capaci di assorbire la grande maggioranza degli spostamenti dalle regioni del Sud.

Uno sguardo più nel dettaglio, infine, ai flussi che caratterizzano il Veneto. Il tasso medio di permanenza in regione degli studenti residenti è del 76%. Quel 24% di matricole venete che lascia il territorio si distribuisce quasi esclusivamente in quattro regioni del Nord: Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lombardia. Proviene invece da altre regioni il 18,7% degli immatricolati ad atenei in Veneto. La grandissima parte di questi (85%) si sposta da sei regioni: Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e, in misura minore, Sicilia e Puglia.

Martino Periti

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